Originariamente Scritto da
vipera86
La domanda può sonare provocatoria. Ed in realtà vuole essere tale, in quanto vorrei catturare la Vostra attenzione su un vizio di carattere logico ed argomentativo che, a mio avviso, la società commette quando si discute di orientamenti sessuali.
Premetto, a scanso di equivoci, di essere contrario ad ogni discriminazione per ragioni di orientamento sessuale e di ritenere che l'omosessualità e le relazioni omosessuali debbano godere della consueta libertà, ossia negli stessi limiti di quelle etero, e che tale diritto soggettivo si radichi sulla giustizia naturale.
Tuttavia, mi chiedo perché, con notevole insistenza, gli omosessuali fondano il loro (giusto ed inviolabile) diritto al rispetto della loro personalità sulla circostanza che questa inclinazione, a seguito di un mutamento di opinioni da parte degli esperti, è stata depennata dall'elenco dei disturbi psichiatrici dalla comunità scientifica internazionale e, alla data del 17 maggio 1990, è stata qualificata dall'O.M.S. come normale e naturale espressione della sessualità umana. Il 17 maggio 1990, poi, è diventata la giornata mondiale contro l'omofobia, a testimonianza che, nella logica delle associazioni LGBT, la depatologizzazione dell'omosessualità rappresenta la condizione per poter liberamente esprimere tale tendenza e che, di converso, la convinzione che questa tendenza costituisca un devianza della personalità giustifica la discriminazione.
Il ragionamento mi sembra illogico e, paradossalmente, foriero di ulteriori discriminazioni.
Infatti, la ragione per cui l'omosessualità non deve essere repressa o discriminativa risiede semplicemente nella circostanza che essa, sia se espressa individualmente, sia se tradotta in un rapporto di coppia, non fa del male a nessuno e consente all'individuo di vivere un aspetto della propria personalità. Il fatto che, poi, sia anche una condizione sana non dovrebbe rilevare in alcun modo.
Anzi, se, per assurda ipotesi, l'omosessualità fosse davvero una situazione di disagio, la discriminazione degli omosessuali sarebbe ancora più odiosa perché andrebbe a colpire dei soggetti fragili.
Intendo affermare, in buona sostanza, che tra le tante discriminazioni, tutte odiose, quella contro i malati è la più vile ed odiosa. Conseguentemente, trovo singolare ed incomprensibile che gli omosessuali rifiutino (giustamente) le discriminazioni assumendo che il loro orientamento sessuale è sano (il che è senz'altro vero, ma non è certo il motivo per cui gli omosessuali hanno diritto di essere liberi, trovando tale libertà un limite nel solo rispetto del prossimo).
Allo stesso tempo, mi sorprende davvero che, anche oggi, si stigmatizzino alcuni comportamenti sessuali per il fatto di essere considerati dei disturbi da parte della scienza psichiatrica. Al contrario, la persona disturbata dovrebbe essere oggetto di maggior rispetto e tutela, al pari di un debole, oltre a non dover essere discriminata e repressa. Poi, se la condotta patologica degenera in illeciti o in comportamenti incivili va certamente sanzionata, ma non certo perché espressione di una malattia, ma soltanto perché lesiva di terzi (e, in questo contesto, la malattia potrebbe rappresentare, tutt'al più, un'attenuante).
In definitiva, non mi capacito della ragione per cui i disturbi sessuali catalogati nel DSM (a differenza di tutti gli altri disturbi) siano percepiti come ragione di stigmatizzazione etica ad opera della società, piuttosto che come motivo di sostegno a chi ne soffre, sostegno che, ovviamente, può comprendere la cura, ma, del pari, anche a rimanere così come si è e a poter vivere liberamente la propria condizione, anche mostrando la propria anomalia psichiatrica.
Tornando alla tematica degli omosessuali, se, prima del 1990, l'omosessualità fosse stata inclusa nell'elenco dei disturbi psichiatrici per ragioni esclusivamente scientifiche (ossia insensibili a valutazioni di carattere morale) e con l'unico scopo di aiutare le persone omosessuali a vivere meglio, le associazioni omosessuali non avrebbero avuto alcun interesse ad esercitare una pressione sulla comunità scientifica per ottenere la cancellazione della loro tendenza dall'elenco dei disturbi, anzi avrebbero avuto interesse a far sì che rimanesse tale per poter ricevere dalla società il supporto di cui hanno diritto tutte le persone malate (impregiudicata la libertà di essere o di diventare gay).
Se così non è stato significa che la psichiatria non agiva e non agisce tuttora nell'interesse esclusivo della persona, ma per uniformare la persona agli schemi sociali, così opprimendola ulteriormente.
Il che mi sembra un'aberrazione di principio.