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Discussione: Centenario.

  1. #1
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Centenario.

    Per quanto la credibilità del Partito Sardo d’Azione sia ormai del tutto scomparsa, anzi, a causa della condotta politica imbarazzante da parte della attuale dirigenza, è stata definitivamente affossata ogni possibilità nell’avere un ruolo coerente e dignitoso nel riscatto istituzionale, sociale, economico, culturale della Sardegna (sempre imho); resta il fatto che il PSd’Az sia stato il riferimento politico più vitale di questi ultimi cento anni, non solo per i sardisti.

    Questa mattina, al Palazzo degli Scolopi (aula del Consiglio comunale) di Oristano, verrà celebrato l’importante anniversario, in tono decisamente dimesso, non solo a causa delle restrizioni dovute alla pandemia.

    A cominciare dalla comunicazione, nel sito ufficiale del Partito, dove compare questo scarno avviso in cui non viene indicata neppure l’ora della diretta streaming su Facebook.


    Solo nella tarda serata di ieri si è appreso che alle ore 11:00, alla presenza del Segretario e Presidente, con l’accoglienza del Sindaco, verrà scoperta una targa che celebra i 100 anni del Partito, fondato il 17 aprile del 1921, nella stessa sede.
    Presumibilmente andrà a sostituire la targa, in lingua sarda, che fu inaugurata in occasione del 70° anniversario dalla nascita del PSd’Az, in cui ero presente. Altri tempi.

    Nonostante questa premessa poco entusiasta, se dovessero esserci degli interventi da remoto in streaming, ne auspico qualcuno “fuori dal coro”, pur trattandosi di una celebrazione e rievocazione storica, pertanto non legata alla attualità politica.
    Se mi sarà possibile, riporterò interventi già pubblicati sulla stampa, in merito.

  2. #2
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Centenario.

    Immagini della cerimonia. No comment.



    Da destra:
    Christian Solinas: attuale Segretario del Partito Sardo d’Azione;
    Antonio Moro: attuale Presidente del Partito Sardo d’Azione;
    Andrea Lutzu: attuale Sindaco di Oristano (Fratelli d’Italia)


  3. #3
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Centenario.




    …un apostrofo rosso tra le parole dAzione…






    Bellieni a parte, il resto è fuffa…

  4. #4
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Centenario.

    Molto meglio la precedente targa, completamente in lingua sarda (variante campidanese), con ben altro auspicio, e soprattutto senza alcuna personalizzazione.

    Sarebbe bastato inserire il simbolo e modificarne la data.




    Questa la targa commemorativa (1991), in ricordo dei 70 anni dalla nascita, apposta 30 anni fa, alla presenza dell’allora Segretario nazionale Efisio Pilleri.

    Ero presente alla cerimonia e ricordo che al termine firmammo una pergamena.

  5. #5
    Sardista po s'Indipendentzia
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    Predefinito Re: Centenario.

    Cronaca della cerimonia.

    https://www.linkoristano.it/prima-ca...ncea-centanni/

    “Sardi e sardisti, contro il virus in trincea come cent’anni fa”

    “Sardi e sardisti, contro il virus in trincea come cent’anni fa”
    Solinas a Oristano celebra un secolo di vita del Psd’Az e invoca il cambiamento


    Una targa commemorativa è stata scoperta all’ingresso della sala riunioni del Palazzo degli Scolopi, oggi sede del Consiglio comunale di Oristano, dove cento anni fa si riunì l’assemblea fondativa del Partito sardo d’azione. A scoprire la targa stamane il segretario nazionale del Psd’Az, Christian Solinas, presidente della Giunta regionale, e il presidente del partito Antonio Moro. Una cerimonia sobria per il centenario, condizionata dall’emergenza coronavirus: in tutto una ventina di militanti, oltre al sindaco di Oristano Andrea Lutzu, che ha rivolto un messaggio di benvenuto.

    Dopo un riferimento all’opera dei padri fondatori del Psd’Az, il segretario Solinas si è soffermato sulla realtà attuale, raffrontandola con quella di cento anni fa, all’uscita dell’Italia e della Sardegna dalla Prima guerra mondiale: “Viviamo, a distanza di 100 anni, ancora una volta, un momento di grave difficoltà per la nostra terra”, ha detto il segretario del Psd’Az. “La nostra sofferenza è quella di essere oggi in prima linea, in trincea, in una Sardegna sofferente per la pandemia. Non solo sotto il profilo sanitario, ma anche sotto il profilo economico, sotto il profilo sociale”.

    “Questa congiuntura”, ha proseguito Solinas, “sta fiaccando, sta provando tutti noi come il resto del mondo. Sappiamo che questa pandemia cambierà per sempre il modo di vedere l’economia, di abitare i territori, di pianificare lo sviluppo, e noi sardisti dovremo essere ancora una volta in prima linea, in una nuova trincea, come le trincee dei nostri padri e le trincee dei nostri predecessori che sono sempre stati davanti, alla testa di un movimento, di un popolo per cercare il riscatto del Popolo Sardo e condurlo – come espresso nel nostro statuto, che credo sia uno dei pochi statuti al mondo, se non l’unico a mettere la felicità del proprio popolo come punto programmatico e obiettivo tendenziale”.

    “Consentitemi di partecipare”, ha concluso Solinas, “anche i sentimenti di gioia e di riconoscenza per tutti i sardisti che in questi 100 anni consentono a noi di essere qui oggi, perché con la loro passione, con il loro impegno, con la loro abnegazione hanno tenuto sempre accesa questa istanza, questa passione, questo progetto politico”.

    A Palazzo degli Scolopi era presente stamane anche il presidente del Psd’Az, Antonio Moro. “Qui 100 anni fa i padri fondatori del Psd’Az individuarono i pilastri su cui si sono poggiati l’azione, il pensiero e il programma del Partito Sardo d’Azione”, ha detto Moro. “Un programma ancora oggi attuale, quando parla di sovranità popolare, di autonomia, di libero commercio e della questione sociale. Sono i temi all’ordine del giorno della politica sarda”.

    Da due anni il Psd’Az è alla guida della Regione Sardegna. “Il partito ha raccolto la sfida del governo della nostra isola”, ha detto ancora Moro, “non dimenticando tematiche centrali come la lingua, il federalismo e il cammino per condurre il popolo sardo alla libertà, alla felicità e all’indipendenza”.

    “Per questo oggi”, ha concluso il presidente del Psd’Az, “nell’anno del centenario, penso sia doveroso confermare l’appello all’unità del partito. È questa la premessa necessaria per far sì che si possa sperare nell’unità vera del popolo sardo”.
    Sabato, 17 aprile 2021



    Articolo per il 70° anniversario, scritto da Manlio Brigaglia per “Il Messaggero Sardo”

    http://www.regione.sardegna.it/messa..._aprile_32.pdf

  6. #6
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    Predefinito Re: Centenario.

    Tratto dai contatti su Facebook. 17/04/2021

    Francesco Casula

    Ricorre oggi il CENTESIMO Anniversario della nascita del Partito sardo d'azione.
    L'Autonomismo dei Sardisti

    Scrive Lussu in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di Giustizia e Libertà: “Gli autonomisti della Sardegna si chiamavano autonomisti perché per autonomia intendevano dire federalismo, non già decentramento... D’ora innanzi adoperando la terminologia “Federalismo’ non ci saranno più equivoci”.

    E precisa: “Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra
    Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Lussu esprime in questo passo, modernamente, con precisione e lucidità – e ancora oggi di grande attualità - la discriminante vera fra autonomia/decentramento e federalismo. E quando afferma che per fare chiarezza politica “non basta più dire «autonomia», bisogna dire «federazione»” non lo sostiene per una questione lessicale e terminologica, ma di sostanza. La visione autonomistica, anche di un nuovo autonomismo, magari rimpolpato - e regionalistica, aggiungo io - dello Stato è ancora tutta dentro l’ottica dello stato ottocentesco, unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere dal “centro” alla “periferia”.

    O, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe limitare e parziali alla Regione che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continuando ad essere utilizzata come un terminale di politiche, sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari - o meglio federati, aggiungo io - di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da “Federalismo” di Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin”. In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell’Ottocento - che Lussu critica in quanto “unica e assorbente” - di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale.

    Ma Lussu non si limita a disegnare in astratto il futuro stato federale, gli stati membri e le rispettive competenze, “sulla rappresentanza all’estero, sulla politica estera, sull’organizzazione armata dello Stato, sul sistema monetario: non vi possono essere
    questioni, la competenza è della Confederazione” . Così come sarà della Confederazione il codice penale, civile e commerciale e la stessa istruzione pubblica superiore, mentre tutte le altre materie saranno di esclusiva competenza degli Stati federati.
    Dicevo che Lussu non si limita a disegnare in astratto lo Stato federale ma individua con precisione e nettezza anche l’ente, il soggetto che dovrà costituire lo stato membro o federato: la regione. E lo argomenta così: “La regione in Italia è una unità morale, etnica, linguistica e sociale, la più adatta a diventare unità politica... La provincia al contrario non è che una superficiale e forzata costruzione burocratica. La provincia può sparire come è venuta, in un sol giorno, la regione rimane. La terra, il clima, le acque, la posizione geografica, antiche influenze commerciali, rapporti e attitudini particolarmente sviluppati da tempo, contribuiscono a dare a ogni regione una sua economia caratteristica e quindi una vita sociale chiaramente distinta”.

    Da questo passo - che ho citato testualmente - emerge non solo che per Lussu il futuro stato federato dovrà identificarsi con la regione ma che egli fonda il suo federalismo sulla identità etno-linguistica. Vi è di più : descrivendo la regione Lussu ci dà - al di là delle sue intenzioni - un ritratto compiuto della “nazione”, modernamente intesa e da non identificare con lo stato; identificazione operata invece dalla cultura ottocentesca, che purtroppo permane ancora e che permeava profondamente la visione di Lussu tanto da indurlo a parlare di “nazione mancata”, intendendo a mio parere “stato mancato”.

    Il ritratto che Lussu delinea della regione si attaglia in modo particolare alla Sardegna che “deve essere nello stato italiano all’incirca quello che è il cantone nella confederazione svizzera e il land nella repubblica federale tedesca”. Ma anche alla Sicilia perché “godevano di una situazione di privilegio in quanto il mare era sufficiente a risolvere ogni contestazione territoriale”. Ma in genere per tutte le regioni prevede un’organizzazione federale “a un dipresso come i «paesi» in Germania, le «province» in Austria e i «cantoni» in Svizzera”. Scrive a proposito della Svizzera in I discorsi del rientro-Lussu 1944: “Io ho conosciuto molto da vicino la Svizzera, la piccola grande democrazia organizzata in
    Stato federalistico, la più antica che l’Europa conosca. Ebbene, è a quel tipo d’organizzazione federalistica dello Stato democratico che la Sardegna aspira”.

    Quanto alla questione del nome delle entità che dovrebbero costituire lo stato federale: regioni, repubbliche, stati federati, territori autonomi, Lussu non ha dubbi: avrebbero dovuto chiamarsi “repubbliche federate”. E così argomenta: “Io propendo per la denominazione di ‘repubblica’ perché questa è la più rispondente a mettere in evidenza la parte di sovranità conquistata e a dare più popolarmente coscienza dell’attività autonoma e distinta nel seno della intera comunità italiana”. A chi obiettava che per diventare «stato» le nostre regioni sarebbero troppo piccole rispondeva: “Lo sarebbero come stati indipendenti, - io preciserei ‘separati’-, non lo sono come stati federati.” E aggiunge: “Nella Confederazione svizzera non vi è un solo cantone più grande delle più piccole delle regioni italiane”. Non era quindi il criterio del territorio - secondo Lussu - ad impedire a una regione di essere l’unità di base di uno stato federale. Inoltre l’autore di Un anno sull’altipiano ricordava a questo proposito che nulla vietava a due o più regioni che avessero interessi comuni o unità di vita economica di unirsi in un solo stato federale.

  7. #7
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    Predefinito Re: Centenario.

    Tratto dai contatti su Facebook. 17/04/2021

    A Foras - Contra a s'ocupatzione militare de sa Sardigna

    IL PSD'AZ COMPIE CENT'ANNI, DALLA CHIUSURA DEI POLIGONI AGLI ACCORDI COI GENERALI

    Oggi cade il centenario dalla fondazione del PSdAz, che avvenne ad Oristano nel 1921, ad opera dei reduci della prima guerra mondiale.

    Uomini che all'interno della tragedia di una guerra assurda e inutile, avevano maturato una nuova e più profonda coscienza di appartenere ad un popolo distinto e della necessità di lottare per la propria emancipazione.

    Ci pare una ricorrenza importante perché si trattò del primo partito di massa operante in Sardegna, che contribuì ad avvicinare alla politica una popolazione sottomessa da secoli e ostaggio dello sfruttamento, della miseria e dell'analfabetismo.

    La stessa bandiera dei Quattro mori è diventata il simbolo della Sardegna soprattutto per la popolarità che acquisì dopo essere stata scelta dagli ex combattenti come bandiera del partito, listata a lutto in ricordo di chi non aveva mai fatto ritorno dalle trincee.

    Questi cento anni di storia del Partito Sardo sono stati complessi e anche contraddittori, ondeggiando fra autonomismo e indipendentismo; attività antifascista, camice grige, trattative col regime e confluimenti parziali nel PNF; periodi di contestazione e di lotta alternati con altri di letargo o di connivenza totale con gli apparati dello stato.

    È emblematico della contraddittorietà della politica sardista il suo atteggiamento riguardo alla problematica delle basi e dei poligoni militari che occupano la Sardegna.

    Negli anni 70 e 80 il psdaz si fece portavoce delle rivendicazioni dei comuni maggiormente gravati dal peso dei poligoni e in particolare la giunta regionale a guida sardista di Mario Melis pretese una riduzione importante di questo gravame e la chiusura del poligono di Teulada.

    Anche fino ad anni recenti quel partito continuò ad esprimere posizioni contrarie all'occupazione militare, come in un documento ufficiale diramato in occasione della grande manifestazione di Capo Frasca del 2014, dove si scriveva che "il sistema coloniale delle servitù militari deve essere interamente smantellato senza alcun distinguo ed a prescindere da inconsistenti e strumentali differenziazioni".

    Purtroppo si tratta di posizioni lontanissime dalla pratica politica attuale della giunta regionale a guida sardista di Cristian Solinas.

    La giunta Solinas ha mostrato in questi anni di essere compiacente e perfettamente inserita in quel "sistema coloniale", contribuendo attivamente alla strategia dell'esercito italiano di normalizzare la presenza militare e di integrarla in ogni ambito della società sarda, attraverso la firma di diversi protocolli di cooperazione fra le istituzioni civili e quelle militari.

    Così mentre ad esempio vengono aperte scuole per piloti dell'aeronautica e si prevede un addestramento della protezione civile all'interno dei poligoni, le rivendicazioni di una riduzione sostanziale delle servitù e di chiusura dei poligoni sono scomparse dall'agenda politica del Partito Sardo d'Azione.

    A quanto pare lo stesso Comipa, organismo di controllo con funzioni consultive, non è ancora stato neppure convocato da parte del presidente Solinas, mentre la giunta mostra ottimi rapporti di collaborazione con i generali.

    Oggi, mentre viene celebrato ad Oristano il centesimo anniversario dalla fondazione del Partito Sardo, pensiamo che sia doveroso denunciare l'azione politica degli attuali "sardisti" come totalmente estranea e in contrasto con gli interessi del popolo sardo.

  8. #8
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    Predefinito Re: Centenario.

    Tratti dai contatti su Facebook. 17/04/2021

    Alessandro Gervasi

    100 ANNI DI STORIA E DI LOTTA TRADITI
    A conferma della cessione della Bandiera ai nemici colonizzatori , oggi Solinas e il Presidente-ragazzino delle commissioni hanno inaugurato la targa della vergogna . Una targa tutta in italiano con il Sindaco di Oristano in fascia tricolore e anfitrione dello stato oppressore a testimonianza di un de profundis dell'indipendentismo sardista e della lingua sarda. Perchè tra le tante amenità, pronunciate solo in italiano , Solinas ha richiamato l'importanza dell'Art. 1 dello Statuto del Partito , non per evidenziare il diritto all'Indipendenza ma per sottolineare il richiamo al generico diritto dei sardi di raggiungere la "felicità" ! Senza alcun riferimento a chi per secoli ha negato la libertà dei Sardi !

    Bregungia prus manna non poriara narrere ! Su Populu Sardu teniri su deretu de si liberai de sa forca italiana e de bivi liberu in domu sua . Aintru de unu Stadu Sardu indipendenti , democraticu e republicanu chene oppressores italianos ! Sardigna non est Italia e a foras is traitoris !




    Andrìa Pili

    16-17 Aprile 1921-2020 Anniversario nascita PSdAz al Congresso di Oristano.

    Dai lineamenti di programma politico approvati in quella sede, scritti da Camillo Bellieni: "Il Partito Sardo d'Azione deve essere partito di popolo, deve ricercare di dare coscienza di sé al proletariato affinché sappia redimersi spiritualmente ed economicamente..."; "Il Partito Sardo non può non trovarsi strettamente a fianco delle masse popolari, di cui si studia di intendere con amore e senza spirito demagogico, i bisogni, le esigenze, le speranze. Perciò riteniamo che ogni sforzo del Partito con la costituzione di cooperative di produzione e di lavoro (...) debba attendere ad elevare le condizioni economiche e morali dei lavoratori non tralasciando alcun mezzo atto a determinare e rinvigorire lo spirito di classe, nella convinzione profonda che si dovrà congiungere ad un avvenire in cui la produzione tutta sarà dei lavoratori per i lavoratori, in un regime sociale di eguaglianza economica..."

    Il Direttorio Generale del Partito (tra cui vi era Emilio Lussu), due settimane dopo, si appellò ai "Contadini di 350 villaggi" dichiarando apertamente la sua ostilità "contro la cricca coccortiana", ovvero la vecchia classe dirigente liberale in crisi: "Lo spettro grigagno di Francesco Cocco Ortu si erge sui cieli di Sardegna, simile ad un'antica figurazione della febbre, dominatrice dei nostri piani acquitrinosi (...) Egli vuole intossicare l'anima della giovane Sardegna, insozzare la nostra bandiera, vuole ridurre il popolo sardo ad una schiera di secondini e di guardie regie, vuole strapparne il cuore palpitante per offrirlo in omaggio, sanguinoso viscere, a Giovanni Giolitti, che inquieto segue d'oltre mare quanto avviene nell'isola".



    Armungia. Anni 20. PSd'Az


    "Il Partito Sardo d'Azione deve essere partito di popolo, deve ricercare di dare coscienza di sé al proletariato affinché sappia redimersi spiritualmente ed economicamente..."; "Il Partito Sardo non può non trovarsi strettamente a fianco delle masse popolari, di cui si studia di intendere con amore e senza spirito demagogico, i bisogni, le esigenze, le speranze. Perciò riteniamo che ogni sforzo del Partito con la costituzione di cooperative di produzione e di lavoro (...) debba attendere ad elevare le condizioni economiche e morali dei lavoratori non tralasciando alcun mezzo atto a determinare e rinvigorire lo spirito di classe, nella convinzione profonda che si dovrà congiungere ad un avvenire in cui la produzione tutta sarà dei lavoratori per i lavoratori, in un regime sociale di eguaglianza economica..."



    Antoni Flore Motzo

    Maturità politica, di questo abbiamo bisogno.
    Misconoscere il ruolo del Partito Sardo d'Azione nella formazione di una sensibilità diffusa indipendentista, nella riscoperta di una identità nazionale sarda, di un Noi collettivo capace di andare oltre l'interesse familiare e quello del "mondo paese" - dominanti in Sardegna - è un errore enorme.
    Altrettanto sbagliato è pretendere di giudicare la storia con le lenti della contemporaneità, senza comprendere che i percorsi di riscoperta e di riaffermazione delle comunità storiche sono lenti e graduali, figli di innumerevoli tentativi, di moltissimi fallimenti, utili e funzionali comunque al risveglio complessivo delle coscienze.
    Senza Antonio Simon Mossa chiameremmo ancora l'Italia "Continente" e il Sardo "dialetto". Con il sardismo musicale di Piero Marras e Paolo Pillonca abbiamo capito che la nostra specificità poteva parlare la lingua della modernità. Erano tutti sardisti questi e fanno parte del nostro essere Sardi e indipendentisti.
    Perché il sardismo è stato passione di massa, febbre collettiva travolgente, sentimento forte di un popolo che ha sperato nel riscatto della propria sorte, che ha creduto in una Sardegna più giusta e libera.

  9. #9
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    Predefinito Re: Centenario.

    http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=18632

    14 mar 2021

    Interviste sui cento anni del Partito sardo.
    La seconda, a Salvatore Cubeddu.


    L’Unione Sarda ha iniziato la pubblicazione di una pagina settimanale sulla storia del Partito Sardo d’Azione nell’anno centenario della sua fondazione (1921 – 2021). Con qualche giorno di ritardo le riprodurremo. Questa è la seconda nella sua versione originaria, troppo lunga per gli spazi consentiti al giornale (con l’autorizzazione dell’intervistato, il giornalista ha dovuto sintetizzarne alcune parti).

    -Il Psd’az nasce da una guerra sanguinosa. Che cosa succede nelle trincee della prima guerra mondiale?

    R. I centomila giovani sardi (la Sardegna contava allora 800 mila abitanti) si sono conosciuti tra loro fuori della Sardegna in quello che viene ricordato come uno dei maggiori macelli della storia umana, la strage di più di venti milioni di giovani. Quindi hanno avuto modo di confrontarsi con gli altri (i nemici ‘austro ungarici’ e gli italiani di altre regioni), hanno sofferto insieme (circa 14.000 morti, più migliaia di feriti), hanno imparato a fraternizzare e deciso che da allora in poi la Sardegna non sarebbe dovuto restare più la stessa.

    -Qual è il contesto economico e sociale della Sardegna nel 1921?

    I nostri nonni abitavano in grande misura i 370 paesi, dove vivevano di agricoltura e di pastorizia, accompagnati dai mestieri ad esse complementari (artigianato per la sussistenza). Nelle città viveva la parte maggiore dei possidenti, la burocrazia, il grande commercio, in parte con caratteri coloniali nella cerealicoltura e nello sfruttamento dei minerali. Tornati dalla guerra chiedevano terra e lavoro. E libertà, chiamandola ‘autonomia’.


    -Che cosa succede ad Oristano il 17 aprile del 1921?


    Nella ex-cappella del collegio degli Scolopi (oggi è la sede del consiglio comunale), dopo che il giorno 16 si è discusso e deciso sugli aspetti assistenziali e organizzativi degli ex combattenti, si apre il congresso dei rappresentanti del costituendo Partito Sardo d’Azione, che idealmente si ricollega ai primi azionisti dell’età risorgimentale italiana. Sappiamo tutto, nome delle sezioni ed i rispettivi delegati. Ci sono tutti i capi. Camillo Bellieni viene eletto direttore (sta per segretario politico) del Partito e Luigi Battista Puggioni quale capo dell’Associazione dei Combattenti.

    -Due grandi leader: Lussu e Bellieni.


    Lussu viene congedato quando gli amici sassaresi e nuoresi di Camillo Bellieni e di Luigi Oggiano hanno già avviato l’organizzazione assistenziale degli ex-combattenti e si avviano a promuovere la loro presenza nell’economia (distribuzione delle terre incolte, cooperazione, richiesta di zona franca, …) e nella società politica (i tema dell’allargamento del nuovo partito d’azione a tutta la società sarda; la proposta istituzionale dell’autonomia in un’Italia federale; la promozione dalla Sardegna in tutt’Italia di partiti regionali.
    Emilio Lussu è l’eroe già esaltato dai soldati in guerra e atteso quale leader del riscatto dei Sardi nei confronti delle ingiustizie della storia.

    -Quali sono gli altri uomini della semina sardista?

    Sono tanti. Intanto i deputati Pietro Mastino, Mauro Angioni e Paolo Orano. Il congresso verrà presieduto dall’ingegnere sassarese Salvatore Sale. Alcuni altri nomi: A. Balboni, C. Adami, S. Saba, S. Siotto A. Senes, A. Corda, D. Pinna, F. Dore, A Businco, G. Paazzaglia, L. Oggiano, Pala, M. Angioni, D, Giacobbe, A. Putzolu, Manca, T. Mulas, P. Pili, G. Mura, S. Pisano, E. Pisani, Melis, e intellettuali quali Egidio Pilia e Umberto Cao, autori di due importanti saggi sull’‘autonomia’; Armando Businco, Agostino Senes. L’esecutivo allargato del partito sarà composto da C. Bellieni, P. Pili, il colonello Pisani, Egidio Pilia, V. Caddeo, M. Eustachio, I. Cossu, L. Oggiano, V. Mesina, L. B. Puggioni, Alfredo Graziani.
    Rappresentano la migliore gioventù che offrisse in quel momento la Sardegna, i più generosi, i più appassionati e, quasi sempre, i più preparati, nelle città come nelle centinaia di paesi dove da soli i reduci si erano organizzati. La guerra aveva fatto anche un regalo ai Sardi: aveva formato e messo alla prova una nuova classe dirigente, rispettata e stimata, attraverso i giovani ufficiali di complemento. Fino alla metà degli anni Settanta dello scorso secolo è da quella esperienza che arriva il meglio della dirigenza politica sarda.

    -I sardisti si dividono quasi subito di fronte alla scelta di confluire nel partito fascista?

    Il 28 ottobre 1922, mentre è in corso a Roma la marcia che (con la classe dirigente e il re) avrebbe consegnato il governo ai fascisti, a Nuoro era in corso quella che sarebbe stata la maggiore manifestazione anti-fascista della vicenda sarda. Coincideva con il terzo congresso del PSd’A (ancora non c’era la ‘z’). La sera, nella casa di Pietro Mastino, una quindicina di dirigenti avevano all’odg cosa fare se il re avesse comunque dato l’incarico a Mussolini. Nonostante alcuni chiedessero l’immediata mobilitazione dei reduci (“Chi potrà mai ritogliere al pastore e al contadino sardo la libertà che egli avrà salvato a casa sua con le armi?…”) la maggioranza decise di attendere notizie. Bellieni ci informa che a Lussu, quando salendo sul treno a Macomer venne a conoscenza dell’incarico reale a Mussolini, gli si inumidirono gli occhi. Ancora non sapeva che anche lui aveva perso quell’occasione che qualche decennio dopo avrebbe voluto recuperare attraverso la sua ‘Teoria dell’insurrezione’.

    -Che cosa succede in quel momento?

    Dopo la fatidica ‘notte di Nuoro’ il fascismo mandò dal Continente gli squadristi ad Olbia e un battaglione di carabinieri a Cagliari accompagnati da un incrociatore. Un poliziotto costrinse Lussu in ospedale ferendolo al collo. La sede e gli impianti del giorale-quotidiano sardista ì’Il Solco’ venne dato alle fiamme. Intanto il nuovo governo offriva disponibilità politica ed economica ad una Sardegna dove il fascismo sarebbe stato rappresentato dagli uomini degli ex-combattenti.
    Ancora il fascismo non era conosciuto come noi oggi lo conosciamo e le divaricazioni interne ai sardisti furono incoraggiate e strumentalizzate. Ma non tutte le adesioni possono considerarsi nei termini in cui le giudicheremmo oggi. Bellieni, ad esempio, fu da subito più lucido di Lussu, ma non tardarono a ritrovarsi insieme nell’antifascismo.

    -Quali sono gli aspetti più caratterizzanti dell’esperienza sardista?

    Una nuova esperienza di fratellanza (il ‘fortza paris!’), l’autonomia quale sinonimo di libertà e di democrazia, la fiducia nel futuro. In sintesi: l’apice delle virtù civili applicate alla Sardegna (libertà, eguaglianza, fraternità) e la versione laica del messaggio cristiano (fede in se stessi e impegno creativo nel successo del proprio ruolo nella storia dei popoli, la possibilità di considerare l’altro sardo quale ‘fratello’).

    -Tu hai studiato e ricostruito in due volumi la storia sardista. Quanto è stato difficile ricomporre le tessere di un mosaico e sfaccettato?


    E’ stato un piacere e un onore, studiare il mio popolo che cerca il protagonismo nella storia.

    -Che cosa ci sarà nel terzo volume?

    La storia del Partito sardo e della Sardegna dal 1976 al 1995, i venti anni che hanno visto il nuovo spirare del ‘vento sardista’, con i Sardi che chiamano nuovamente il Partito sardo a riprendere in mano la crisi della prima autonomia, coeva della crisi delle realizzazioni della prima rinascita, operando per la difesa dei caratteri della sardità (lingua e cultura) e di una nuova promozione e organizzazione delle istituzioni sovrane del Popolo sardo (indipendenza e federalismo). Oltre alla riorganizzazione di un’economia. Pagina dopo pagina si presenta il ‘chi’, il ‘come’ e il ‘perché’ molto di questo sia ancora irrisolto, nonostante la ricchezza delle idee e delle generosità messe in campo. Arriverà nelle librerie prima della ricorrenza del centenario.

    -Nel Psd’az è sempre stato un partito con tensioni e dolorose spaccature. Come spiegare questa accesa dialettica?

    Il Partito Sardo d’Azione è davvero il partito dei sardi, anche nei loro difetti. E il rapporto di sudditanza con l’esterno aggrava il tutto.

    -Sei stato anche dirigente sardista, vicesegretario nazionale. Che cosa ti resta di quella esperienza politica?

    Ai sardisti e ai sardi resta ‘sa Die de sa Sardigna’, la Fondazione Sardinia e, personalmente, la stima verso tanti amici che tali sono rimasti.

    -Che cosa dire a un giovane di oggi. Come spiegargli in sintesi 100 anni di storia del Psd’Az?

    C’era una volta, meno di centocinquanta anni fa, un popolo che non si sentiva sicuro di essere tale e al quale si insegnava che era italiano, che doveva pagare le tasse nella misura in cui le versavano i cittadini della Pianura Padana e lo si obbligava a fare il servizio militare per costruire l’indipendenza e l’unità dell’Italia. E, mentre nei paesi civili imperversava la Belle Epoque, i Sardi venivano studiati per ricavare dalla misura dei loro crani le ragioni della loro abitudine a delinquere. Qualche anno dopo, quei giovani decorati con la medaglia d’oro al valore militare a favore della Patria italiana, decisero di far finire questa storia (si rifiutarono di fare servizio di ordine pubblico contro gli operai che a Torino occupavano le fabbriche, guidati anche dal nostro Antonio Gramsci) e di mettersi insieme a pensare il mondo guardandolo dalla loro reale condizione e dai propri diritti di popolo sovrano nella propria terra. Era necessario che ci credessero fino in fondo, che restassero uniti, che continuassero a sperare anche nei tempi difficili. Tutto questo è ancora all’ordine del giorno. Resta tanto da fare. L’attività politica in Sardegna può essere ancora una grande cosa e una bellissima avventura. Per fortuna abbiamo il sardismo!

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    Predefinito Re: Centenario.

    Il testo che segue avrebbe meritato una discussione a parte, così come tutti gli scritti e gli interventi di Michele Columbu.
    Non mi è dato conoscere né la datazione né la circostanza in cui fu espresso, o se esiste in qualche pubblicazione.
    In realtà è stato inserito da Anna Maria Cherchi, storica militante sardista negli anni del “vento” in quanto segretaria di Carlo Sanna durante la sua guida del PSd’Az, nel suo profilo facebook ma ancora prima nel blog personale e datato 21 maggio 2015.
    Ho chiesto ad Anna Maria l’autorizzazione (concessa) a postarlo nel forum, così come un altro testo eloquente sulla “Storia del P.S.d’A”, in corso di trascrizione.
    Il racconto, in chiave ironica, a tratti caustica, ma profondo come solo Michele Columbu sapeva trattare, denota anche l’abisso culturale e politico che separa l’attuale dirigenza dai valori e principi che storicamente hanno caratterizzato il P.S.d’A.

    So che, in occasione del centenario dalla nascita del Partito, era previsto un incontro pubblico in cui gli ex Segretari ed ex Presidenti sarebbero intervenuti per esprimere un loro bilancio sulla politica “sardista” di questi ultimi cento anni; ma che a causa delle restrizioni è stata rimandata….
    Non so se e quando ci sarà questa celebrazione.
    Di sicuro tra gli ex dirigenti, l’intervento di qualcuno di essi non sarà omologato con l’attuale segreteria.
    Sapremo aspettare.



    “I VERI SARDISTI”
    di Michele Columbu

    Dopo aver raccontato qualche tempo fa la storia dei “veri sardi”, che molti avranno dimenticato, ora, per completezza, parlerò dei “veri sardisti”.

    Dicevo, che una volta c’erano i Sardi, in Sardegna; poi vennero i Cartaginesi, dichiararono sinceramente di essere i “veri sardi”.

    Nessuno mise in dubbio la loro parola fino al giorno in cui si presentarono i Romani, con un bel po’ di legioni e di cani, e dimostrarono, armi alla mano, che i Cartaginesi altro non erano se non un popolo di imbroglioni e di impostori.
    Perché i “veri sardi” sapete chi erano? Eh, i Romani.

    Morti i Romani, tanti altri popoli venuti dal “corno della forca” come si dice da queste parti, occuparono la Sardegna; con la complicità di alcuni furbi indigeni, che presto furono premiati col titolo di feudatari e di baroni, essi pure, uno dopo l’altro, divennero i “veri sardi”.
    Questo spiega come certi duchi, fra i più tonti d’Europa, a un tratto, e senza loro colpa, vennero a chiamarsi re di Sardegna.

    Quanto a noi, i semplici Sardi, non si sapeva più chi cavolo fossimo.
    Incipit hic la storia dei “veri sardisti”.

    C’era una guerra fra l’Italia e l’Austria.
    I Sardi, che non si sapeva chi erano, per ordine del re, furono riconosciuti italiani e, mediante vagoni-bestiame, peraltro gratuiti, furono mandati a combattere contro eserciti di contadini Ungheresi, Tirolesi e Serbo–Croati.
    Organizzati in gran parte in una sola brigata, la Sassari, dovettero credere di essere i soli “Italiani” sul fronte delle Alpi.
    Fu quello il tempo glorioso in cui le sentinelle, per non farsi fregare dal nemico, se arrivava un capitano di ispezione gli dicevano: frimincue, si ses italianu faedda sardu!

    Intanto scoprivamo di esistere e cominciavamo a capire che Logudoro e Campidano erano la medesima Sardegna, valorosa e sofferente, come Gallura e Ogliastra, Sulcis e Gerrei, Montiferru e Mandrolisai.
    Al diavolo dunque la questione dei “veri sardi”!

    Quando il Presidente del Consiglio dei Ministri, nel 1918, dichiarò solennemente che l’Italia non avrebbe dimenticato mai il suo debito di riconoscenza verso il popolo sardo, i nostri guerrieri quelli scampati miracolosamente alle mitragliatrici e alle baionette austriache, non si fidarono molto: perché anche i governi italiani sembravano austriaci e, soprattutto, erano stati sempre bugiardi come i Cartaginesi, come i Romani, come tutti gli altri invasori, ivi compresi i più tonti d’Europa.

    Costituito dunque il Partito Sardo d’Azione, col suo programma di autonomia e di rinascita, ebbero il coraggio di affermare che i “veri sardi” non potevano essere che i sardisti. E furono subito moltissimi, e in tutte le contrade dell’isola rifiorì una primavera di risolutezza, di consapevolezza e di speranze non più sentite.

    Sull'altra sponda, intanto, in Italia, si propagavano i velenosi tentacoli di una dittatura la cui pericolosità fu avvertita troppo tardi dagli stessi italiani.

    In Sardegna il Partito Sardo contrastava il passo al fascismo e appariva inespugnabile con manganelli e olio di ricino.

    Allora, come un cavallo di troia, mandarono un combattente che fra i reduci godeva di un grande prestigio militare: questi fu il generale Asclepio Gandolfo.
    Il quale Asclepio, dimostrandosi all'altezza della missione, si dichiarò subito entusiasta del programma sardista e dell’autonomia.
    “Ma da soli non ce la farete mai, dice; perciò unitevi alle milizie fasciste, forza paris, e domani mattina mettiamo mano alla rinascita, a tal fine ho con me un piccolo assegno del duce, un miliardo di lire, più che sufficiente per cominciare i lavori” coloro che si ostinavano a diffidare di ogni dono dei governi italiani (ricordando forse l’Eneide: “timeo danaos et dona ferentes”) gli risposero a c’intrai, che in sardo suona, suona pressappoco, “vaffanculo” espressione un po’ volgare ma coraggiosa e ricca di nobili significati politici al tempo in cui fu pronunciata.

    Altri sardisti credettero onestamente al generale; oppure erano dei fetidi topi travestiti da uomini – come se ne incontrano tanti, ancora ai giorni nostri, in tutti i partiti politici e nelle comunità umane in generale – e passarono al partito di Mussolini proclamandosi “veri sardisti”.

    In seguito parteciparono alla politica guerriera e imperialista di otto milioni di biciclette con un solo pneumatico, lo spazio mortale, il bagnasciuga eccetera.
    Trascorsero gli anni – il tempo fugge veloce alla testa degli uomini ingiusti - e - i “veri sardisti” annegarono miseramente, chi nel mare nostrum e chi in pozzanghere di fiumicelli senza nome.

    Venne l’8 settembre del 1943: l’imbroglio del comunicato Badoglio, “tutti a casa”, il re d’Italia s’imbarca tanto di fretta che remerebbe con le mani.

    Poi americani, francesi, canadesi, neri, con le loro jeep per le povere strade della Sardegna: cioccolato, benzina, sigarette.
    C’è la democrazia, passata è la tempesta, odo gli opportunisti far festa: nascosti gli stivali e la sahariana nera, si mescolano agli antifascisti degli esili e delle carceri, applaudono, si commuovono, piangono.

    Ecco l’alto commissario, di statura così così, di cultura così così, il buon generale Pinna, la sua buona volontà: che altro poteva fare un generale dell’aria chiamato a governare una regione terra-terra?
    I sardisti si ritrovarono e si riorganizzarono col loro vecchio programma, con la stessa bandiera, col medesimo grido di guerra: forza paris.

    I partiti italianisti allora ci cantarono la canzone autonomia, autonomia, rinascita, rinascita. Grazie. Non c’è più bisogno di sardisti i “veri sardisti” siamo noi.

    Anche all'interno del Partito Sardo d’ Azione, che si rifiuta di sparire, compaiono due correnti: una sardista e una più sardista.
    Quest’ultima, un giorno che si discuteva di sardismo, persa la pazienza, uscì dal partito sbattendo la porta e si gettò dentro il partito socialista italiano.
    Nella foga, qualcuno passò da parte a parte e riparò lontano.
    Il Partito Sardo d’Azione subì, o per malformazioni congenite, o per infezioni sopravvenute. Divenne magro e fioco: nessuno allora sentì la vocazione di dichiararsi “vero sardista” eppure smentendo tutti i profeti, questo vecchio partito dalle buone radici non moriva, barcollava sotto i colpi degli ingenerosi e degli ingrati, ma non si arrendeva; simile a quel pugile che abbiamo visto al cinema, poveretto e glorioso che, alla quindicesima, si arrabbia e abbatte il mostruoso avversario.

    Larghe fasce di veri sardisti per la verità affiorano or si or no anche in altri partiti di chiara fama, che accolgono impetuosamente le principali proposizioni del Partito Sardo come la zona franca, il problema della lingua, dell’autonomia effettiva, delle servitù militari eccetera, eccetera, e affermano di averle ereditate dai bisnonni.

 

 
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