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    Predefinito Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    da fare il prima possibile. Da leggere bene di sparare le solite sciocchezze.
    Meglio sarebbe leggere il libro di boldrin e levine.

    La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha alcuni effetti indesiderabili. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta per mantenere alto il prezzo. Malgrado i costi sociali siano enormi, generalmente si pensa che la proprietà intellettuale sia un prezzo da pagare per stimolare l’innovazione. Un libro di Michele Boldrin e Davide K. Levine edito da Laterza e dal titolo significativo ” Abolire la proprietà intellettuale”, che mette in discussione proprio quelle che ci sembrano certezze acquisite.


    Nel recente film di Paolo Sorrentino, “This must be the place”, il protagonista, nel corso del suo viaggio in America, incontra Robert Plath, l’inventore del trolley, la valigia con rotelle e maniglia estraibile.

    UNA STORIA ESEMPLARE

    Robert Plath, che nel film interpreta se stesso, era un pilota delle Northwest Airlines quando, nel 1987, ebbe l’idea di mettere le ruote alle valigie. All’inizio si limitava a vendere le sue rollaboards ai colleghi piloti, ma quando i viaggiatori videro queste valigie molto più comode da trasportare di quelle tradizionali, un nuovo mercato nacque velocemente. Plath decise di lasciare i cieli per fondare Travelpro, un’impresa specializzata nella produzione del nuovo tipo di valigia. Non chiese nessun brevetto per la sua invenzione e Travelpro fronteggiò ben presto la concorrenza degli altri produttori di valigie che adattarono la loro offerta alle nuove richieste dei clienti. Travelpro è sparita sotto il peso della concorrenza degli imitatori? Plath è oggi costretto a fare la comparsa nei film di Sorrentino? No, Travelpro festeggia i suoi 25 anni di attività e Plath viene celebrato sui giornali.
    La storia del trolley ci mostra che gli inventori possono riuscire a ottenere grandi profitti dalle loro idee anche senza la protezione di brevetti e malgrado la possibilità di facile imitazione da parte di altre imprese.

    EFFETTI COLLATERALI DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

    Proprio questa idea è al centro del libro Abolire la proprietà intellettuale che Michele Boldrin e David K. Levine hanno appena pubblicato per Laterza.
    La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha degli indesiderabili effetti collaterali. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta, al fine di mantenere alto il prezzo. Se il prodotto è un farmaco che può salvare la vita di persone ammalate, ridurre la quantità venduta si traduce in più morti. Il secondo costo è quello di rendere più difficili nuove innovazioni laddove esse siano basate su un’idea già brevettata. Malgrado i costi sociali siano enormi, la proprietà intellettuale gode di buona stampa perché si pensa che sia un male inevitabile, un prezzo da pagare per stimolare l’’innovazione. Senza brevetti o copyright, si crede, nessuno avrebbe incentivo a innovare perché altre imprese imiterebbero il nuovo prodotto, inondando con il loro output il mercato e facendo crollare il prezzo. Il libro di Boldrin e Levine sfida questa radicata convinzione. Lo fa innanzitutto mostrando come ci siano stati periodi storici in cui le innovazioni sono state numerose e di grande impatto e la creatività artistica abbia dato frutti memorabili anche in assenza di proprietà intellettuale: gran parte degli autori di musica classica le cui opere sono ancora suonate nei nostri teatri non erano protetti dal copyright, per esempio. Lo fa in secondo luogo mostrando come ci sia ormai una vera e propria industria finalizzata a ottenere dei brevetti solo al fine di ottenere rendite da future invenzioni, i Ghino di Tacco dell’era moderna. E, una volta dato lo scossone alle nostre convinzioni, Boldrin e Levine non si sottraggono al compito di rispondere alla domanda principale. Se l’innovazione può essere imitata senza costi e se richiede investimenti iniziali considerevoli, non è forse vero che i profitti dell’innovatore saranno negativi? E, anticipando questo esito, chi mai vorrà vestire i panni del nuovo Archimede? Più concretamente, chi vorrà scrivere un album musicale se la musica sarà scaricata su internet? Chi vorrà mettere a punto e testare un farmaco se poi anche le altre case farmaceutiche potranno venderlo senza avere sostenuto i costi della ricerca?
    La risposta di Boldrin e Levine è che l’imitazione è tipicamente costosa e richiede tempo. Per imitare è necessario capire le caratteristiche dell’innovazione e servono risorse per dotarsi di un’’adeguata capacità produttiva. Esiste pertanto un periodo temporale in cui l’innovatore realizza profitti anche in assenza di brevetti. E, come mostra il caso di Robert Plath, spesso anche nel lungo periodo il prezzo non scende fino a quello dei mercati perfettamente concorrenziali. Anche laddove l’imitazione è veramente istantanea e il costo di duplicazione essenzialmente nullo, come nel caso della musica, non c’è ragione per pensare che la creatività sia soffocata dalla mancanza di profitti. Deve semplicemente adattarsi il modello di business, ad esempio con un maggior ruolo dei concerti e del merchandising, come spiegavano già anni fa i due autori difendendo Napster dai suoi critici.
    Per quello che riguarda il settore farmaceutico altri economisti, come Michael Kremer di Harvard, hanno esaminato la possibilità di usare strumenti alternativi ai brevetti per dare incentivi all’’innovazione. Un esempio riguarda i vaccini ed è l’advance market commitment, vale a dire una somma prestabilita messa a disposizione da parte di uno sponsor (pubblico o privato) per ogni persona vaccinata fino al raggiungimento di una soglia, oltre la quale il vaccino viene venduto al suo costo marginale.
    Il libro di Boldrin e Levine è scritto in modo non tecnico, accessibile a chiunque abbia voglia di ragionare. È ricco di esempi e storie interessanti. Molti non troveranno nelle sue pagine l’arma atomica contro la proprietà intellettuale. A fine lettura si può anche rimanere non completamente convinti dalle tesi esposte. Ma i due autori fanno nel modo migliore quello che ci si deve aspettare dagli economisti: illustrare i meccanismi economici rilevanti per l’analisi di un fenomeno, sfidare punti di vista consolidati, mettere in discussione quelle che ci sembrano certezze acquisite, chiedersi “perché?”. Questa funzione ha un valore inestimabile oggi, quando vediamo spesso economisti pieni di certezze su un canale televisivo e altri, con certezze opposte, con una semplice pressione sul telecomando.La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha alcuni effetti indesiderabili. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta per mantenere alto il prezzo. Malgrado i costi sociali siano enormi, generalmente si pensa che la proprietà intellettuale sia un prezzo da pagare per stimolare l’innovazione. Un libro di Michele Boldrin e Davide K. Levine edito da Laterza e dal titolo significativo ” Abolire la proprietà intellettuale”, che mette in discussione proprio quelle che ci sembrano certezze acquisite.


    Nel recente film di Paolo Sorrentino, “This must be the place”, il protagonista, nel corso del suo viaggio in America, incontra Robert Plath, l’inventore del trolley, la valigia con rotelle e maniglia estraibile.

    UNA STORIA ESEMPLARE

    Robert Plath, che nel film interpreta se stesso, era un pilota delle Northwest Airlines quando, nel 1987, ebbe l’idea di mettere le ruote alle valigie. All’inizio si limitava a vendere le sue rollaboards ai colleghi piloti, ma quando i viaggiatori videro queste valigie molto più comode da trasportare di quelle tradizionali, un nuovo mercato nacque velocemente. Plath decise di lasciare i cieli per fondare Travelpro, un’impresa specializzata nella produzione del nuovo tipo di valigia. Non chiese nessun brevetto per la sua invenzione e Travelpro fronteggiò ben presto la concorrenza degli altri produttori di valigie che adattarono la loro offerta alle nuove richieste dei clienti. Travelpro è sparita sotto il peso della concorrenza degli imitatori? Plath è oggi costretto a fare la comparsa nei film di Sorrentino? No, Travelpro festeggia i suoi 25 anni di attività e Plath viene celebrato sui giornali.
    La storia del trolley ci mostra che gli inventori possono riuscire a ottenere grandi profitti dalle loro idee anche senza la protezione di brevetti e malgrado la possibilità di facile imitazione da parte di altre imprese.

    EFFETTI COLLATERALI DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

    Proprio questa idea è al centro del libro Abolire la proprietà intellettuale che Michele Boldrin e David K. Levine hanno appena pubblicato per Laterza.
    La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha degli indesiderabili effetti collaterali. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta, al fine di mantenere alto il prezzo. Se il prodotto è un farmaco che può salvare la vita di persone ammalate, ridurre la quantità venduta si traduce in più morti. Il secondo costo è quello di rendere più difficili nuove innovazioni laddove esse siano basate su un’idea già brevettata. Malgrado i costi sociali siano enormi, la proprietà intellettuale gode di buona stampa perché si pensa che sia un male inevitabile, un prezzo da pagare per stimolare l’’innovazione. Senza brevetti o copyright, si crede, nessuno avrebbe incentivo a innovare perché altre imprese imiterebbero il nuovo prodotto, inondando con il loro output il mercato e facendo crollare il prezzo. Il libro di Boldrin e Levine sfida questa radicata convinzione. Lo fa innanzitutto mostrando come ci siano stati periodi storici in cui le innovazioni sono state numerose e di grande impatto e la creatività artistica abbia dato frutti memorabili anche in assenza di proprietà intellettuale: gran parte degli autori di musica classica le cui opere sono ancora suonate nei nostri teatri non erano protetti dal copyright, per esempio. Lo fa in secondo luogo mostrando come ci sia ormai una vera e propria industria finalizzata a ottenere dei brevetti solo al fine di ottenere rendite da future invenzioni, i Ghino di Tacco dell’era moderna. E, una volta dato lo scossone alle nostre convinzioni, Boldrin e Levine non si sottraggono al compito di rispondere alla domanda principale. Se l’innovazione può essere imitata senza costi e se richiede investimenti iniziali considerevoli, non è forse vero che i profitti dell’innovatore saranno negativi? E, anticipando questo esito, chi mai vorrà vestire i panni del nuovo Archimede? Più concretamente, chi vorrà scrivere un album musicale se la musica sarà scaricata su internet? Chi vorrà mettere a punto e testare un farmaco se poi anche le altre case farmaceutiche potranno venderlo senza avere sostenuto i costi della ricerca?
    La risposta di Boldrin e Levine è che l’imitazione è tipicamente costosa e richiede tempo. Per imitare è necessario capire le caratteristiche dell’innovazione e servono risorse per dotarsi di un’’adeguata capacità produttiva. Esiste pertanto un periodo temporale in cui l’innovatore realizza profitti anche in assenza di brevetti. E, come mostra il caso di Robert Plath, spesso anche nel lungo periodo il prezzo non scende fino a quello dei mercati perfettamente concorrenziali. Anche laddove l’imitazione è veramente istantanea e il costo di duplicazione essenzialmente nullo, come nel caso della musica, non c’è ragione per pensare che la creatività sia soffocata dalla mancanza di profitti. Deve semplicemente adattarsi il modello di business, ad esempio con un maggior ruolo dei concerti e del merchandising, come spiegavano già anni fa i due autori difendendo Napster dai suoi critici.
    Per quello che riguarda il settore farmaceutico altri economisti, come Michael Kremer di Harvard, hanno esaminato la possibilità di usare strumenti alternativi ai brevetti per dare incentivi all’’innovazione. Un esempio riguarda i vaccini ed è l’advance market commitment, vale a dire una somma prestabilita messa a disposizione da parte di uno sponsor (pubblico o privato) per ogni persona vaccinata fino al raggiungimento di una soglia, oltre la quale il vaccino viene venduto al suo costo marginale.
    Il libro di Boldrin e Levine è scritto in modo non tecnico, accessibile a chiunque abbia voglia di ragionare. È ricco di esempi e storie interessanti. Molti non troveranno nelle sue pagine l’arma atomica contro la proprietà intellettuale. A fine lettura si può anche rimanere non completamente convinti dalle tesi esposte. Ma i due autori fanno nel modo migliore quello che ci si deve aspettare dagli economisti: illustrare i meccanismi economici rilevanti per l’analisi di un fenomeno, sfidare punti di vista consolidati, mettere in discussione quelle che ci sembrano certezze acquisite, chiedersi “perché?”. Questa funzione ha un valore inestimabile oggi, quando vediamo spesso economisti pieni di certezze su un canale televisivo e altri, con certezze opposte, con una semplice pressione sul telecomando.La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha alcuni effetti indesiderabili. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta per mantenere alto il prezzo. Malgrado i costi sociali siano enormi, generalmente si pensa che la proprietà intellettuale sia un prezzo da pagare per stimolare l’innovazione. Un libro di Michele Boldrin e Davide K. Levine edito da Laterza e dal titolo significativo ” Abolire la proprietà intellettuale”, che mette in discussione proprio quelle che ci sembrano certezze acquisite.


    Nel recente film di Paolo Sorrentino, “This must be the place”, il protagonista, nel corso del suo viaggio in America, incontra Robert Plath, l’inventore del trolley, la valigia con rotelle e maniglia estraibile.

    UNA STORIA ESEMPLARE

    Robert Plath, che nel film interpreta se stesso, era un pilota delle Northwest Airlines quando, nel 1987, ebbe l’idea di mettere le ruote alle valigie. All’inizio si limitava a vendere le sue rollaboards ai colleghi piloti, ma quando i viaggiatori videro queste valigie molto più comode da trasportare di quelle tradizionali, un nuovo mercato nacque velocemente. Plath decise di lasciare i cieli per fondare Travelpro, un’impresa specializzata nella produzione del nuovo tipo di valigia. Non chiese nessun brevetto per la sua invenzione e Travelpro fronteggiò ben presto la concorrenza degli altri produttori di valigie che adattarono la loro offerta alle nuove richieste dei clienti. Travelpro è sparita sotto il peso della concorrenza degli imitatori? Plath è oggi costretto a fare la comparsa nei film di Sorrentino? No, Travelpro festeggia i suoi 25 anni di attività e Plath viene celebrato sui giornali.
    La storia del trolley ci mostra che gli inventori possono riuscire a ottenere grandi profitti dalle loro idee anche senza la protezione di brevetti e malgrado la possibilità di facile imitazione da parte di altre imprese.

    EFFETTI COLLATERALI DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

    Proprio questa idea è al centro del libro Abolire la proprietà intellettuale che Michele Boldrin e David K. Levine hanno appena pubblicato per Laterza.
    La proprietà intellettuale, cioè il monopolio sui prodotti frutto delle innovazioni, ha degli indesiderabili effetti collaterali. Il principale è che il monopolista riduce in modo inefficiente la quantità venduta, al fine di mantenere alto il prezzo. Se il prodotto è un farmaco che può salvare la vita di persone ammalate, ridurre la quantità venduta si traduce in più morti. Il secondo costo è quello di rendere più difficili nuove innovazioni laddove esse siano basate su un’idea già brevettata. Malgrado i costi sociali siano enormi, la proprietà intellettuale gode di buona stampa perché si pensa che sia un male inevitabile, un prezzo da pagare per stimolare l’’innovazione. Senza brevetti o copyright, si crede, nessuno avrebbe incentivo a innovare perché altre imprese imiterebbero il nuovo prodotto, inondando con il loro output il mercato e facendo crollare il prezzo. Il libro di Boldrin e Levine sfida questa radicata convinzione. Lo fa innanzitutto mostrando come ci siano stati periodi storici in cui le innovazioni sono state numerose e di grande impatto e la creatività artistica abbia dato frutti memorabili anche in assenza di proprietà intellettuale: gran parte degli autori di musica classica le cui opere sono ancora suonate nei nostri teatri non erano protetti dal copyright, per esempio. Lo fa in secondo luogo mostrando come ci sia ormai una vera e propria industria finalizzata a ottenere dei brevetti solo al fine di ottenere rendite da future invenzioni, i Ghino di Tacco dell’era moderna. E, una volta dato lo scossone alle nostre convinzioni, Boldrin e Levine non si sottraggono al compito di rispondere alla domanda principale. Se l’innovazione può essere imitata senza costi e se richiede investimenti iniziali considerevoli, non è forse vero che i profitti dell’innovatore saranno negativi? E, anticipando questo esito, chi mai vorrà vestire i panni del nuovo Archimede? Più concretamente, chi vorrà scrivere un album musicale se la musica sarà scaricata su internet? Chi vorrà mettere a punto e testare un farmaco se poi anche le altre case farmaceutiche potranno venderlo senza avere sostenuto i costi della ricerca?
    La risposta di Boldrin e Levine è che l’imitazione è tipicamente costosa e richiede tempo. Per imitare è necessario capire le caratteristiche dell’innovazione e servono risorse per dotarsi di un’’adeguata capacità produttiva. Esiste pertanto un periodo temporale in cui l’innovatore realizza profitti anche in assenza di brevetti. E, come mostra il caso di Robert Plath, spesso anche nel lungo periodo il prezzo non scende fino a quello dei mercati perfettamente concorrenziali. Anche laddove l’imitazione è veramente istantanea e il costo di duplicazione essenzialmente nullo, come nel caso della musica, non c’è ragione per pensare che la creatività sia soffocata dalla mancanza di profitti. Deve semplicemente adattarsi il modello di business, ad esempio con un maggior ruolo dei concerti e del merchandising, come spiegavano già anni fa i due autori difendendo Napster dai suoi critici.
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    https://www.lavoce.info/archives/274...intellettuale/
    Il fascismo è morto: Benito La Russa è il nostro nuovo vice Presidente della Repubblica. Wow!
    No banner coockie - Meloni: "no ai fondi europei, meglio l'aiuto del FMI"
    ---------------------------------
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  2. #2
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Proprietà intellettuale e brevetti sono fondamentali per stimolare l'innovazione.
    Andate avanti così che in Italia di intellettuale resterà ben poco.

  3. #3
    Socialista Democratico
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Una delle pochissime cose su cui sono d’accordo con Bodrin

  4. #4
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Citazione Originariamente Scritto da Infinity Visualizza Messaggio
    Proprietà intellettuale e brevetti sono fondamentali per stimolare l'innovazione.
    Andate avanti così che in Italia di intellettuale resterà ben poco.
    Palle, dati alla mano riducono l'innovazione, la ostacolano proprio.
    Il fascismo è morto: Benito La Russa è il nostro nuovo vice Presidente della Repubblica. Wow!
    No banner coockie - Meloni: "no ai fondi europei, meglio l'aiuto del FMI"
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    Idioti!!!!!!!!!!!!

  5. #5
    Super Troll
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Citazione Originariamente Scritto da markk Visualizza Messaggio
    palle, dati alla mano riducono l'innovazione, la ostacolano proprio.
    sono d'accordo anche io..soprattutto èerchè le nuove invenzioni sono solo bufale adattamenti di precedenti scoperte,,,mettere le ruote ad una valigia che brevetto sarebbe stat0??? è solo un adattaMEnto di una carriola fatta a forma di valigia,,, comunque ce ne sono migliAia di questi brevetti che innovazioni non sono ma semplici modifiche dell'esistEnte,,, e ci sono casi di multinzionali che ora stanno brevettando persino piante che esistono spontaneamente in natura ma solo in poche quantità e in determinati luoghi,,ma se coltIvate possono crescere ovunque.
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    voi nazifascisti di oggi e i vostri servi siete solo gli ayatollah E I TALEBANI dell'occidente..

  6. #6
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Citazione Originariamente Scritto da Infinity Visualizza Messaggio
    Proprietà intellettuale e brevetti sono fondamentali per stimolare l'innovazione.
    spiegaglielo a Sabin, adulto vaccinato...
    Una Cina, una Yugoslavia, una Russia, una Corea, una Palestina, un'Irlanda. E zero USA

  7. #7
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Non sono contrario a priori a proprietà intellettuali e brevetti, anzi.

    Però trovo che le attuali tutele siano eccessive.
    Non è possibile che i diritti d'autore durino 70 anni e che i beneficiari arrivino alla 3° generazione. Un periodo di 20-25 anni direi che è più che sufficiente.
    Per quanto riguarda i brevetti, io fisserei un tetto (ovviamente da stabilire) di ricavi, raggiunto il quale il brevetto diventa libero.
    Se si tratta di innovazioni che riguardano i bisogni primari delle persone poi, come nel caso dei vaccini, gli stati liquidano immediatamente chi detiene il bravetto con una cifra forfettaria (anche questa da stabilire), qiundi il brevetto viene rilasciato e messo a disposizione dei vari paesi.
    Se non replico ai tuoi messaggi probabilmente è perchè sei nella mia lista degli ignora(n)ti.

  8. #8
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Però trovo che le attuali tutele siano eccessive.
    Assolutamente.
    La Disney ha grandi responsabilità al riguardo.
    Hitler or Hell.

  9. #9
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Non preoccupatevi che tanto è già da tempo che i vostri amici cinesi scopiazzano di tutto strasbattendosene le balle di ogni brevetto.

  10. #10
    Viva l'Italia
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    Predefinito Re: Abolire la proprietà intellettuale e i brevetti

    Citazione Originariamente Scritto da markk Visualizza Messaggio
    ........ Se il prodotto è un farmaco che può salvare la vita di persone ammalate, ridurre la quantità venduta si traduce in più morti. .........
    Scusa, ma questo esempio così specifico, di cosa si tratta in realtà? Chi non ha prodotto farmaci salvavita sufficienti per alzare il prezzo e facendo morire le persone? Non ne ho mai sentito parlare di una cosa del genere. Hai dei link che la confermino?

    Detto ciò, l'esempio banale della valigia con le ruote non corrisponde alla realtà di prodotti che per essere inventati hanno bisogno di tantissima ricerca, ricerca che fanno le persone le quali hanno costi. Se si togliesse il brevetto nessuno spenderebbe più una lira, di cui non vedrebbe alcun ritorno, per fare ricerche visto che finirebbero probabilmente per non avere alcun ritorno economico neppure per sostenere i costi.
    Tanto più nel campo dei farmaci laddove molte ricerche avviate e dai costi enormi, finiscono abbandonate perchè verificano che non funzionano come si erano aspettati. Le più note ricerche abbandonate di recente sono state quelle sull'Alzhaimer. Ovvero una marea di soldi buttati al vento, soldi e tempo dei ricercatori che non sono serviti a niente.
    Quindi chi pensano che farà ancora queste cose visto che, trovando un nuovo farmaco, essi non avranno più diritto a produrlo da soli (per altro per un periodo limitato di anni) in modo da coprire i costi sia di quella ricerca che di quella andata a male?
    Il sonno della ragione genera mostri.


    Divergevano due strade in un bosco, ed io...io presi la meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta.

 

 
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