Questo articolo - una vera e propria inchiesta, in realtà - pubblicato oggi su Repubblica, è molto interessante e istruttivo, ma è accessibile solo agli abbonati al giornale. E' molto lungo, quindi lo riassumo in breve riportandone tra virgolette qualche stralcio.

Tutto prende l'avvio da un articolo del 4 marzo scorso di John Foot, storico e saggista inglese specializzato in storia italiana, pubblicato sulla prestigiosa rivista "London Review of Books", dove vengono spiegate le ragioni per cui migliaia di giovani e brillanti ricercatori italiani lasciano il nostro Paese per scegliere di fare la loro carriera universitaria all'estero. John Foot racconta una storia esemplare: quella di Agnese Rapposelli, brillante studentessa prima e candidata poi ad un posto di ricercatrice nel Dipartimento di Statistica dell'università di Chieti-Pescara.

Sono anni che Agnese, con tutte le carte in regola per ottenerlo, aspetta quel posto senza mai riuscire a ottenerlo nonostante sette ricorsi al Tar, uno al Consiglio di Stato, uno, straordinario, al presidente della Repubblica e due denunce in Procura. La mattina del 29 maggio 2019 Agnese va nello studio universitario del prof. Roberto Benedetti, fiorentino di 56 anni e ordinario della cattedra di Statistica economica presso l'università di Chieti-Pescara, per l'ennesimo colloquio. Ma stavolta registra di nascosto la conversazione con il professore...

Lui, presidente della commissione che dovrà esaminare gli aspiranti ricercatori, le ricorda: "Il posto te l'ho offerto due anni fa e te lo rioffro adesso, purché ritiri l'ultimo ricorso firmato". In cambio, il professore le garantisce quel posto di ricercatrice, finalmente: "Tu sei più che matura e brava per ambire a una cosa del genere, quindi ti aiuto ad ottenere quello che tu da sola non potresti ottenere". Il professore parlerà con la collega ostica e con gli altri colleghi. "Devo metterli a posto - dice - perché anche loro hanno degli interessi". Insomma, farà un lavoro di tessitura ampio, per il quale servono diversi complici: "Io, oltre a me stesso, rappresento tutto un sistema", aggiunge. "Io non sono figlio di professori universitari, però le cose, per ottenerle, ho dovuto imparare qual è il sistema". E chiarisce: "La mia non è una minaccia, ma se non ritiri quel ricorso è assai difficile che tu vinca il concorso". Già, l'università non tollera i ricorsi. Ma Agnese respinge l'offerta: "La mia morale non me lo permette, questa non è università" e le sue parole mettono sul chi vive il professore: "Non ti sto offrendo nulla di illegale", dice. "Semplicemente, tu c'avresti il tuo bando sul tuo dipartimento senza pestare i piedi a nessuno". Il commiato ha un tono vagamente minaccioso, nel caso lei non accettasse l'offerta: "È ben ovvio che in qualsiasi occasione io ti posso andare contro, lo devo fare, perché tu mi stai creando dei problemi", conclude Benedetti. Agnese esce dalla stanza del prof e torna a lavorare (ha un contratto in scadenza, con l'università) e a studiare. Il Tar del Lazio, due volte, il Tar Abruzzo, tre volte, e il Consiglio di Stato nelle sentenze finora emesse, le daranno sempre ragione. Ma nei tre successivi concorsi Agnese arriverà regolarmente seconda.

Intanto, la conversazione, registrata clandestinamente, tra Roberto Benedetti e Agnese Rapposelli viene depositata alla Procura di Pescara dagli avvocati dell'aspirante ricercatrice. Ed è un ascolto istruttivo (per gli abbonati a Repubblica, si può ascoltare qui), perché definisce con esattezza quello che è il pane quotidiano nell'università italiana: i concorsi pubblici per diventare ricercatore o professore - ma anche per ottenere un assegno di ricerca, o una borsa di studio - sono gestiti dall'università secondo schemi di convenienza, protezione, favori, interesse economico, familismo. Spesso, per scegliere il miglior ricercatore e il docente più qualificato non si guardano i titoli conseguiti, i lavori pubblicati, le esperienze internazionali, la ricerca realizzata, la qualità dell'insegnamento. Al contrario, si impone al prescelto di entrare in una graduatoria parallela - "un sistema", come lo definisce Benedetti - che consentirà il suo ingresso definitivo in facoltà. Se e quando accadrà e a quali condizioni, lo decidono i baroni al vertice dell'ateneo.



L'articolo integrale e la registrazione della conversazione sono qui:
https://rep.repubblica.it/pwa/longfo...69148-P1-S1-T1