Non sono d’accordo: trovo il termine "fascismo’’ fin troppo limitante e reducistico; "destra radicale’’ invece è un’espressione più completa, che spiega meglio l’eterogeneità di pensiero e azione ad un livello più profondo, direi antropologico.
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ProgettoRazzia
Sulla dicotomia destra/sinistra e sulla sua intrascendibilità, trovo ancora ottimo, a distanza di anni, l’articolo del buon Carlo Galli:
"In verità, tanto la destra quanto la sinistra sono l’espressione del fatto che la politica moderna è strutturalmente indeterminata, che non conosce cioè un’unitarietà di impianti e di fondazioni. È insomma la stessa epoca moderna – proprio in quanto deve rinunciare alla tradizionale idea di Giustizia, ossia di Ordine dell’essere che è già anche ordine politico – a contenere originariamente la possibilità della destra e della sinistra. La struttura categoriale del pensiero che innerva la politica moderna consiste infatti nella centralità del nesso disordine/ordine: da una parte esiste una realtà disordinata, minacciosa, instabile, lo stato di natura, e dall’altra è necessario costruire un artificio che dia stabilità alla politica e che quindi consenta a essa di difendere e di far fiorire l’essenza del soggetto. È questa l’unica normatività che si trova nella realtà naturale, e non è sufficiente a ordinarla immediatamente: è un ideale regolativo che rende indispensabile la mediazione delle istituzioni. E anche se questo ideale può essere concepito come di origine divina, ciò che importa è che non è interpretabile né monisticamente, essendo anzi aperto al pluralismo (la natura umana si sviluppa nella piena autonomia dei molteplici soggetti), né coercitivamente (non sono concepibili istituzioni o agenzie di senso che diano della natura umana una versione obbligante).La percezione del reale come ontologicamente instabile, e l’esigenza dell’artificio politico per far sviluppare e progredire in sicurezza la natura umana, sono i due volti del Moderno, ravvisabili da un’analisi delle costruzioni politico-intellettuali moderne. Interpellata radicalmente, la storia delle idee politiche moderne rientra in questa interpretazione epocale di cosmologia politica: la vera differenza, e al contempo la loro ragion d’essere, fra destra e sinistra sta nella duplicità originaria e strutturale del moderno discorso sull’ordine (o sui semi di ordine) e sul disordine; è la differente radicalità con cui partecipano all’uno e all’altro lato dei due lati del Moderno a fare la differenza fra destra e sinistra. La destra è quindi definita primariamente dalla percezione dell’instabilità del reale: e questa può assumere l’aspetto del disordine naturale, dell’intrinseca nullità oppure della indeterminata plasmabilità della realtà, ma può anche essere la verità nascosta di molti motivi tipici della destra: questa infatti spesso ricorre a forme di pensiero organicistico, o si appella a un Ordine trascendente, a una Legge inesorabile, non disponibile per l’agire emancipatorio dell’umanità. Queste istanze però – e questo è l’elemento decisivo – non sono soltanto minacciose, perché non a misura d’uomo, ma anche minacciate: il roccioso e intransigente fondazionismo sostanzialistico di molte espressioni intellettuali della destra – che vuole la politica stabilmente garantita da (e funzionale a) Dio, Natura, Storia, Tradizione, Valori, Nazione, Razza, Destino, Mercato – si accompagna sempre al tema – da cui si sprigiona l’energia politica – della minaccia che qualcuno o qualcosa reca perennemente all’Ordine, che quindi è politico non tanto perché è naturale e necessario ma proprio perché è instabile e periclitante. La destra non è sinonimo di inerzia, di conservazione, di quietismo. Il filo rosso della percezione, più o meno ossessiva, dell’instabilità del reale in quanto privo di un intrinseco elemento normativo a misura d’uomo, e quindi della sua precaria casualità pre-umana oppure della sua necessaria destinalità oltre-umana (che non è la Contingenza machiavelliana, perché il fiorentino si colloca in una «prima modernità» che sta al di qua del – e guarda oltre il – dispositivo dualistico disordine/ordine del Moderno pienamente sviluppato), è la logica profonda di una complessa fenomenologia, che vede la destra sia perseguire arcigne corazzature autoritarie dell’Ordine politico contro i suoi nemici interni e esterni; sia accettare apertamente il rischio della instabilità con l’individualismo del soggetto economico, che si affida alle logiche del mercato (la cui oggettività sempre mutevole è anch’essa un modello di fondazione instabile della politica), eventualmente da mitigare in un ordine che non può non portare dentro di sé il ricordo della realtà naturale del disordine e cercare, al più, di trasformarlo nella gerarchia (compassionevole o meno, a seconda dei casi) dei forti sui deboli, dei vincitori sui vinti, di chi ha successo sui falliti; sia infine ricorrere a quel radicale modello di instabilità che è il Nichilismo, con cui la destra afferma la inconsistenza del reale in una futuristica creatività immaginativa, o nell’illusorietà della fiction – e anche questa, nella sua festosa artificiale irresponsabilità, non è che la rimozione di un disordine sempre presente. Che pretendano di attingere l’Originario più arcaico o che si proiettino nel Futuro più visionario, che si percepiscano come apertura a un destino di potenza o come strumento di amministrazione dell’esistente e delle sue logiche naturali, che si servano della tecnica per rinsaldare il mondo o che la rifiutino perché lo manipola troppo radicalmente, che professino i Valori più chiusi o che pratichino il nichilismo più aperto, che si manifestino nella ricerca borghese di sicurezza o nel culto fascista della morte, le politiche di destra sono segnate dall’impossibilità di realizzare nell’artificio la norma naturale dell’umanità. Il sobrio realismo della destra storica, il nobile patriottismo cristiano del gaullismo, sono state forme di transizione, frutto di emergenze storiche specifiche, di equilibri politici e economici provvisori, in cui la percezione della minaccia si è trasformata in senso del dovere pubblico, in egemonia reale: il che le rende grandi esperienze umane e intellettuali, ma ne fa anche delle forme contingenti e inattuali. Le sinistre sviluppano invece l’altro lato del Moderno, quell’intrinseco elemento normativo, ma non immediatamente ordinativo, che è la natura umana, che per le qualità innate che vi ineriscono (tradotte, secondo la semantica e la sintassi del discorso politico moderno, nei diritti) è assunta a priori come Valore da affermare, ugualmente, per tutti. La norma – che non implica necessariamente il normativismo – è appunto l’idea che esiste una natura umana, e che è Bene che questa si sviluppi liberamente e in autonomia, emancipandosi da impedimenti e condizionamenti. L’uomo nasce libero ma ovunque è in catene: questa norma può ispirare, politicamente, dirigismo ma anche spontaneismo, coartazione in vista della liberazione ma anche negazione di ogni mezzo (autoritario) che contraddica il fine (libertario). Sulle qualità naturali dell’uomo, sull’analisi degli impedimenti che esse subiscono, sui mezzi per emanciparle, le sinistre si sono divise: ma democratici, socialisti, comunisti, anarchici, libertari, rivoluzionari e riformisti, massimalisti e gradualisti, settari o nazionalpopolari, gli uomini e i partiti di sinistra – pur nelle più aspre contrapposizioni fratricide – sono accomunati dall’idea che tutti gli esseri umani hanno naturalmente diritto a un destino umano, che passa attraverso la loro inclusione razionale e paritaria in uno spazio politico giuridificato, libero da ogni dominio arbitrario, e che ha come fine il fiorire di molteplici programmi di vita, tutti ugualmente degni. Sta in questa uguaglianza di principio il rischio di astratto universalismo che di fatto, ma non necessariamente, alla sinistra pertiene. Così, quando la destra propone ordine, sostanza, stabilità, e anche quando propone la leggerezza della fiction o l’ardire dell’immaginazione, sviluppa sempre il lato della minaccia e dell’instabilità del reale; la dura sottolineatura della necessità della Legge non umana – e della indispensabilità di quella umana, senza la quale la vita è troppo pericolosa – ha senso perché il disordine o è senz’altro Legge o la minaccia costantemente: insomma, il dato dominante è la necessità dell’eccezione, ossia l’intrinseca casualità e nullità del reale, che, in linea di principio, rende tutto possibile: la ricorrente polemica contro il relativismo della sinistra cela e rivela un profondo aderire alla relatività del reale, vista come il primo problema e il più grave pericolo. E quando la sinistra propone il mutamento, la lotta continua contro l’ingiustizia, la rivoluzione, ma anche le riforme progressiste, ha in mente la normatività intrinseca della natura umana: il suo «movimento» ha un telos – che si realizza attraverso l’artificio ma che sviluppa un dato di natura –: la pace di stabilità e di sicurezza. La plasmabilità del reale è concepita a sinistra in modo forte ma limitato, come emancipazione e educazione dell’uomo; la sinistra ha in mente un artificio politico (un partito, uno Stato, una rivoluzione) che serve a restaurare la natura umana nella sua autonomia. In linea di principio, per la sinistra non tutto è possibile, poiché – per quanto problematicamente – esiste un grano normativo di ragione (e di dignità) umana nel mondo. Ma mentre la destra è portatrice di un’istanza di immanenza, la sinistra è per la trascendenza.
Entrambe, sinistra e destra, possono sviluppare queste logiche in modo parziale e limitato o in modo illimitato: da entrambe è stata praticata la coercizione estrema (pedagogica o gerarchica) e la lotta paranoica contro il nemico (storico o naturale); resta vero però che la destra è portatrice di un’istanza di immanenza, di accettazione immediata del disordine del mondo (anche se a volte lo vuole legittimare come necessità trascendente), mentre la sinistra si caratterizza per la trascendenza, per la negazione del mondo com’è, e per lo sforzo di realizzarne uno migliore, già scritto come possibilità nell’immanenza; la sinistra interpreta il mondo come ordinabile perché potenzialmente già ordinato intorno alla soggettività, mentre la destra interpreta il mondo come fondato su logiche non antropocentriche, o come infondato. È quindi la sinistra che è orientata dall’idea della possibile sicurezza e stabilità, come esito di politiche di emancipazione, mentre invece per la destra, nonostante l’enfasi che pone sull’Ordine, è politicamente centrale lo spettro pauroso del disordine o di contraddizioni naturali e necessarie. C’è quindi qualcosa di vero nella distinzione fra un’antropologia positiva di sinistra e un’antropologia negativa di destra, anche se si deve sottolineare che ciò vale solo all’interno delle logiche politiche del Moderno, e che la costruzione del «realismo» politico (che nell’antropologia negativa ha uno dei suoi dogmi) come di un’attitudine transepocale che ha origine da Tucidide, Tacito, Machiavelli, Hobbes è un anacronistico gioco prospettico moderno. Allo stesso modo, va complicato il discorso di Bobbio (Destra e sinistra, Donzelli, 1994) sull’uguaglianza come discrimine ultimo fra destra e sinistra; l’osservazione è certo corretta, ma va interpretata come il principale risultato della più radicale differenza fra destra e sinistra, che verte sulla consistenza stessa del reale. Infatti, la destra non può che accettare il disordine come manifestazione primaria dell’instabilità e della casualità del mondo umano, e quindi non può non essere un pensiero della disuguaglianza, che del disordine naturale è di fatto la prima conseguenza sociale e politica. L’ordine della destra è in realtà un conflitto permanente, di cui le gerarchie sociali politicamente rinforzate danno una soluzione solo transitoria e anch’essa casuale: l’uguaglianza come valore normativo è esclusa dall’orizzonte delle destre, la cui potenza consiste nel combinare variamente l’intrinseca instabilità e frammentazione del reale – accettata come naturale, e amplificata per via legale. Mentre non l’unificazione livellatrice ma almeno la delegittimazione delle differenze sociali e politiche – insieme alla valorizzazione di quelle esistenziali e individuali – è l’asse che orienta la politica delle sinistre".