San Tommaso nella Summa Theologica:
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ARGOMENTO 66
IL FURTO E LA RAPINA
Passiamo ora a trattare di quei peccati contrari alla giustizia che danneggiano
il prossimo negli averi: cioè del furto e della rapina.
Sull‘argomento si pongono nove quesiti:
1. Se il possesso dei beni esterni sia naturale per l‘uomo;
2. Se sia lecito possedere come propria una data cosa;
3. Se il furto sia l‘usurpazione occulta di un bene altrui;
4. Se la rapina sia un peccato specificamente distinto dal furto;
5. Se qualsiasi furto sia un peccato;
6. Se il furto sia un peccato mortale;
7. Se sia lecito rubare in caso di necessità;
8. Se la rapina sia sempre un peccato mortale;
9. Se la rapina sia un peccato più grave del furto.
Articolo 1
C. G., III, c. 22; In 1 Polit., lect. 6
Se il possesso dei beni esterni sia naturale per l‘uomo
Pare che il possesso dei beni esterni non sia naturale per l‘uomo. Infatti:
1. Nessuno deve arrogarsi ciò che appartiene a Dio. Ma il dominio su tutte le creature è proprio di Dio, secondo l‘affermazione del Salmo [23, 1]: «Del Signore è la terra», ecc. Dunque il possesso delle cose non è naturale per l‘uomo.
2. S. Basilio [In Lc hom. 6] al ricco della parabola, il quale diceva [Lc 12,18]: «Raccoglierò tutto il grano e i miei beni», rivolge queste parole: «Dimmi, che cosa è tuo? Da dove l‘hai preso per portarlo nel mondo?». Ora, le cose che l‘uomo possiede per natura le può giustamente chiamare sue. Quindi l‘uomo non possiede per natura i beni esteriori.
3. Come scrive S. Ambrogio [De Trin. 1, 1], «padrone è un termine che indica potere». Ma l‘uomo non ha un potere sulle cose esterne: egli infatti non può mutarne la natura. Quindi il possesso delle cose esterne non è naturale per l‘uomo.
In contrario: Nel Salmo [8, 8] si legge: «Tutto hai posto sotto i suoi piedi», cioè dell‘uomo.
Dimostrazione: Le cose esterne possono essere considerate sotto due aspetti.
Primo, nella loro natura: la quale non sottostà al potere dell‘uomo, ma solo a quello di Dio, al cui cenno tutti gli esseri ubbidiscono. Secondo, nell‘uso che di esse si può fare. E sotto questo aspetto l‘uomo ha il dominio naturale sulle cose esterne: poiché egli può usarne a proprio vantaggio mediante l‘intelletto e la volontà, considerandole come fatte per sé; gli esseri meno perfetti, infatti, sono per quelli più perfetti, come sopra [q. 64, a. 1] si è notato. Ed è così che il Filosofo [Polit. 1, 3] dimostra che il possesso dei beni esterni è naturale per l‘uomo. Ora, questo dominio naturale dell‘uomo sulle altre creature in forza della ragione, che lo rende immagine di Dio, viene espresso nella narrazione stessa della creazione [Gen 1, 26]: «Facciamo l‘uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare», ecc.
Analisi delle obiezioni:
1. Dio ha il dominio radicale di tutte le cose. Ma egli stesso ha ordinato, secondo la sua provvidenza, che certe cose servano al sostentamento corporale dell‘uomo. E così l‘uomo ha il dominio naturale su di esse per il potere che ha di servirsene.
2. Il ricco della parabola viene biasimato per il fatto che riteneva radicalmente suoi i beni esterni, come se non li avesse ricevuti da altri, cioè da Dio.
3. La terza obiezione parte dal dominio sulle cose esterne quanto alla loro natura: dominio che appartiene, come si è visto [nel corpo], soltanto a Dio.
Articolo 2
C. G., III, c. 127; In 2 Polit., lect. 4
Se sia lecito a un uomo possedere in proprio qualcosa
Pare che a nessuno sia lecito possedere delle cose in proprio. Infatti:
1. Tutto ciò che è contro il diritto naturale è illecito. Ora, secondo il diritto naturale tutto è comune, e la proprietà privata è incompatibile con tale comunanza. Quindi è illecita l‘appropriazione di qualsiasi bene esteriore.
2. S. Basilio [cf. a. prec., ob. 2] afferma: «Quei ricchi che considerano loro proprie le cose comuni di cui si sono impossessati per primi sono come uno che, arrivando per primo al teatro, impedisse agli altri di entrare, riservando a se stesso ciò che è destinato al godimento di tutti». Ma precludere agli altri la via per impossessarsi dei beni comuni è cosa illecita. Quindi è illecito appropriarsi di un bene comune.
Dimostrazione: Due sono le facoltà dell‘uomo rispetto ai beni esterni.
La prima è la facoltà di procurarli e di amministrarli. E da questo lato è lecito all‘uomo possedere dei beni propri. Anzi, ciò è anche necessario alla vita umana, per tre motivi.
Primo, perché ciascuno è più sollecito nel procurare ciò che appartiene a lui esclusivamente che non quanto appartiene a tutti, o a più persone: poiché ognuno, per sfuggire la fatica, tende a lasciare ad altri quanto spetta al bene comune; come capita là dove ci sono molti servitori. -
Secondo, perché le cose umane si svolgono con più ordine se ciascuno ha il compito di provvedere a una certa cosa mediante la propria cura personale, mentre ci sarebbe disordine se tutti indistintamente provvedessero a ogni singola cosa. -
Terzo, perché così è più garantita la pace tra gli uomini, accontentandosi ciascuno delle sue cose. Infatti vediamo che tra coloro che possiedono qualcosa in comune spesso nascono contese.
L‘altra facoltà che ha l‘uomo sulle cose esterne è il loro uso. Ora, da questo lato l‘uomo non deve considerare le cose come esclusivamente proprie, ma come comuni: in modo cioè da metterle facilmente a disposizione nelle altrui necessità. Di qui il comando dell‘Apostolo [1 Tm 6, 17 s.]: «Ai ricchi di questo mondo raccomanda di fare del bene, di essere pronti a dare».
Analisi delle obiezioni:
1. La comunanza dei beni viene attribuita al diritto naturale non perché questo imponga di possedere tutto in comune e nulla in privato, ma perché la distinzione delle proprietà non dipende dal diritto naturale, bensì da una convenzione umana la quale, come si è già notato [q. 57, aa. 2, 3]*, rientra nel diritto positivo. Per cui il possesso privato non è contro il diritto naturale, ma è un suo sviluppo dovuto alla ragione umana.
2. Chi, arrivando per primo al teatro, preparasse la strada per gli altri, non agirebbe in maniera illecita: agirebbe invece illecitamente se escludesse gli altri. Parimenti il ricco non agisce in maniera illecita se, impossessandosi per primo di un bene che prima era comune, ne fa partecipi gli altri; pecca invece se irragionevolmente ne impedisce l‘uso agli altri. Da cui le parole di S. Basilio: «Perché tu abbondi, e l‘altro è invece ridotto all‘elemosina, se non perché tu ti faccia dei meriti con l‘elargizione, mentre l‘altro attende di essere coronato col premio della pazienza?».
3. Le parole di S. Ambrogio: «Nessuno dica proprio ciò che è comune», si riferiscono all‘uso della proprietà. Leggiamo infatti subito dopo: «Quanto sopravanza alla spesa è frutto di rapina».
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*Dalla Questione 57 citata, in uno dei due articoli citati il 3, c'è questo passo che trovo emblematico:
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«Se infatti si considera in modo assoluto un dato terreno, non si vede perché debba appartenere a uno più che a un altro; se però si tiene conto delle esigenze della coltivazione e del suo pacifico uso, allora si vede, stando alla dimostrazione del Filosofo [Polit. 2, 2], che esso è fatto per essere posseduto da una persona determinata.»