Originariamente Scritto da
Giò
«È innegabile (...) l'esistenza di tutta una rete di complicità tra il capo del NSDAP da un lato e dall'altro numerosi e influenti imprenditori, e ben poche cose sono altrettanto certe come il fatto che il partito ha ricavato, da questi legami, vantaggi materiali e vasto prestigio. Ma, ciò che tornò a suo beneficio, prima era andato, per un periodo non minore e in misura notevolmente maggiore, agli ormai disgregantisi partiti di centro. Ma né l'incremento di voti del primo né le perdite registrate invece dai secondi, possono essere spiegati alla luce delle sovvenzioni. Più volte Hitler ha lamentato l'atteggiamento reticente degli imprenditori (...). Ancora nell'aprile del 1932, egli si dichiarava costernato per il fatto che il DVP, ormai in liquidazione, riceveva dall'industria sovvenzioni maggiori del suo partito, e quando, verso la fine di quell'anno, Walter Funk intraprese un viaggio nel territorio della Ruhr alla ricerca di finanziamenti, riuscì a ottenere un unico contributo, oscillante tra ventimila e trentamila marchi. In generale, può dirsi che l'entità di questi aiuti viene ampiamente sopravvalutata. Anche a ritenere realistica una valutazione di un afflusso complessivo di circa sei milioni di marchi a tutto il 30 gennaio 1933, è certo che neppure una somma di entità doppia un'organizzazione partitica con circa diecimila gruppi locali, una vasta burocrazia, un esercito privato di quasi mezzo milione di uomini, senza contare le dodici campagne elettorali del 1932, tutte condotte con ampio dispendio di mezzi, avrebbe potuto finanziarsi: come risulta dalle informazioni fornite da Konrad Heiden, il bilancio annuale del NSDAP all'epoca oscillava tra settanta e novanta milioni di marchi, ed erano appunto cifre di quest'entità a permettere a Hitler di dichiararsi a volte, scherzosamente, uno dei massimi dirigenti economici tedeschi. Non è certo un caso che la teoria della congiura, persino da parte dei suoi sostenitori più seri, faccia ricorso a concetti ampi quanto imprecisi, intesi a istituire una comunione tra "il" grande capitale e il NSDAP, mentre, sul piano della polemica pseudoscientifica, Hitler diviene, con assoluta serietà "il candidato faticosamente spinto in alto e pagato a caro prezzo" di una "cricca nazista" capitalista, agente tra le quinte, di cui il Führer sarebbe stato il "public relations manager". Al contrario, esistevano evidentissime divergenze di interessi tra i singoli imprenditori e le varie categorie degli stessi. Sia i grandi esportatori che i circoli borsistici e i proprietari dei grandi magazzini, nonché l'industria chimica e le antiche famiglie di imprenditori come i Krupp, gli Hoesch, i Bosch e i Klöckner, nei confronti del partito di Hitler, almeno prima del 1933, mantenevano un atteggiamento di riserbo, promosso perlopiù da considerazioni d'ordine economico: per non parlare degli imprenditori ebrei, i quali erano in numero tutt'altro che insignificante. Otto Dietrich, che aveva procurato a Hitler almeno una parte dei contatti con la grande industria renano-westfalica, lamentava, in un suo documento dell'epoca, la riluttanza, da parte dell'economia, "a riporre fiducia in Hitler...nel momento della nostra più dura lotta". Ancora agli inizi del 1932, erano individuabili "cospicui focolai di resistenza economica", e il celebre discorso pronunciato da Hitler il 26 gennaio 1932 all'Industrieklub, il Circolo degli industriali, di Düsseldorf, era inteso appunto a superare queste diffidenze. I mezzi finanziari, che vennero concessi al partito in seguito a tale iniziativa, se valsero a sanare le difficoltà più urgenti, non raggiunsero però l'entità sperata. Una petizione rivolta, alla fine del 1932, a Hindenburg, perché nominasse Hitler cancelliere, da Schacht, dal banchiere von Scröder e da Albert Vögler, restò senza seguito, perché la maggioranza degli imprenditori invitati a farlo si rifiutarono di apporvi la loro firma. L'industria pesante, lamentava Schacht in una lettera a Hitler, ben meritava il proprio nome, nel senso che prendeva le proprie decisioni con pesante lentezza. La teoria di un preciso patto strumentale tra Hitler e il grande capitale, non è neppure in grado di spiegare come mai i milioni di elettori siano stati reperiti tanto tempo prima dei milioni di marchi dell'industria; quando Hitler pronunciò il suo discorso di Düsseldorf, il suo partito contava oltre ottocentomila membri e una schiera di elettori oscillante tra i sei milioni e mezzo e i tredici. Erano questi a costituire la sua base, e il "forte sentimento anticapitalistico da cui questa era impregnata" obbligava Hitler ad atteggiamenti di cautela e di riguardo assai più che non verso gli imprenditori riluttanti e ostinati. Agli industriali, egli non sacrificò molto di più di Otto Strasser, troppo propenso a ragionare, e che d'altro canto riusciva odioso a lui stesso, e giustificò nei loro confronti la partecipazione dei suoi seguaci allo sciopero dei metallurgici di Berlino con la speciosa affermazione che scioperanti nazionalsocialisti erano pur sempre meglio di scioperanti marxisti. Ma il problema, al quale la tesi secondo cui il partito di Hitler sarebbe stato al soldo del capitale fornisce meno di ogni altro una risposta, è proprio quello di cui vorrebbe costituire la soluzione, vale a dire perché questo movimento di massa di nuovo tipo, sorto dal nulla, potesse così agevolmente soverchiare la sinistra tedesca, con la sua vasta tradizione e con la sua splendida organizzazione. E quest'incapacità è anch'essa la conseguenza della teoria del "demonismo" di Hitler oppure dell'ortodossia marxista, e nell'uno come nell'altro caso un'espressione dell'insufficienza delle sinistre in fatto di razionalismo, per così dire di un "antisemitismo di sinistra". Tuttavia, un conto è parlare di una collusione cospiratoria "della" industria col nazionalsocialismo, e tutt'altra cosa invece sottolineare l'atmosfera di "benevolenza" o addirittura di simpatia, di cui era circondato il nazionalsocialismo. Erano numerose le forze che, in campo industriale, mostravano un interesse, aperto anche se malvolentieri tradotto in pratica, per un cancellierato di Hitler, e molti, pur non essendo affatto disposti a garantirgli sostegno materiale, ne approvavano il programma; costoro non ricollegavano, a tale loro atteggiamento, concrete aspettative economiche, né rinunciarono mai del tutto alla diffidenza nei confronti delle tendenze socialistiche e antiborghesi all'interno del NSDAP; nell'estate del 1933, un gruppo di industriali simpatizzanti istituì addirittura un apposito ufficio, col compito di combattere il radicalismo economico dell'ala sinistra del partito. Ma, nel complesso, gli imprenditori non avevano mai preso davvero sul serio la democrazia borghese con le sue conseguenze, cioè le sue esigenze e i diritti delle masse: la repubblica non era riuscita a divenire il loro Stato. E l'idea dell'ordine che Hitler prometteva di riportare in Germania, agli occhi di molti di loro, faceva il paio con l'autonomia dell'imprenditore, i privilegi fiscali e la fine dello strapotere dei sindacati. (...) Forse in nessun'altra zona della struttura sociale tedesca, i residui fossili dell'autoritarismo statale élitario sono sopravvissuti con altrettanta tenacia come nella cerchia degli imprenditori, pur così tesa al progresso tecnologico, e il cui modernismo in questo campo andava di pari passo con una concezione sociale addirittura precapitalistica. L'effettiva corresponsabilità del "capitale" all'ascesa del NSDAP va ricercata non già in una comunanza di obiettivi, e neppure in oscuri complotti, bensì nel clima antidemocratico, inteso al superamento del sistema prodotto dal capitale stesso. Indubbiamente, i suoi portavoce si facevano delle illusioni sul conto di Hitler: ne scorgevano soltanto la mania per l'ordine, il rigido culto dell'autorità, di cui egli si faceva portatore, i suoi risvolti reazionari. Per tale motivo, sfuggiva loro la particolare atmosfera avveniristica di cui Hitler era pure circonfuso» (Joachim Fest, Hitler, Rizzoli, 1974, pp. 373-375).