Pablo Iglesias sconfitto a Madrid: l’addio alla politica dell’uomo che non ha fatto la rivoluzione
Nato rivoluzionario, morto socialdemocratico; ha coltivato il mito di se stesso, tra citazioni (il Trono di Spade, Gramsci, Kant), e toni messianici. Gran seduttore, con una enorme percezione di sé, era adorato ed è diventato il più detestato dei politici spagnoli: dopo la batosta a Madrid è stato costretto a lasciare la politica
Era convinto di vivere in una puntata del Trono di Spade. Sosteneva di ispirarsi a Daenerys Targaryen, la Khaleesi, Madre dei Draghi, Distruttrice di Catene, che libera gli schiavi proclamando: «Non sono io che vi ho liberato, la libertà vi appartiene». Per alcuni Pablo Iglesias era un fenomeno, per altri un mitomane. Più banalmente: è nato rivoluzionario, è morto socialdemocratico.
All’inizio lo accusavano di prendere i soldi da Chavez. Di sicuro si riconosceva nella sinistra latinoamericana, chiudeva i comizi cantando «El pueblo unido» a pugno chiuso, disprezzava apertamente Felipe Gonzalez e il socialismo di casa, che aveva costruito la democrazia e il benessere della Spagna. Citava volentieri anche Gramsci, nel suo italiano perfetto. Intendiamoci: Iglesias è un uomo molto intelligente. Ha colto per primo la stanchezza degli spagnoli per i vecchi partiti. Ed è stato il primo politico post-moderno: nato dal talk-show che conduceva, la Tuerka; dai social; e dall’occupazione della Puerta del Sol, la piazza centrale di Madrid, dove sono sorti il movimento degli Indignados e l’idea della Casa di Carta, la fiction dove i ladri sono buoni e le guardie cattive, tranne una che si unisce ai ladri (anche la Casa di Cartapiace molto a Iglesias, meno però del Trono di Spade).
Nei sondaggi Podemos è arrivato a essere il primo partito di Spagna. Alla vigilia delle elezioni del 2016, Pablo parlava di Sorpasso – in italiano, come nel film con Gassman e Trintignant che si schiantano in macchina – sui socialisti. Ma la realtà l’ha sempre deluso.
Nel frattempo gli è successo di tutto. Si è lasciato con la compagna, un’altra star mediatica, la comunista Tania Sanchez, e ha fatto tre figli con un’altra donna, Irene Montero, promuovendola a numero 2 del partito. Ha perso il suo braccio destro, Juan Carlos Monedero, autore del saggio dal delirante titolo «Innamorarsi di un camminante delle nevi ma sposare un Lannister», accusato più prosaicamente di evasione fiscale e traffici finanziari con il Venezuela. Ha subito una scissione: Íñigo Errejón, già suo vice, ha fondato un movimento che ora a Madrid ha preso più del doppio dei suoi voti. Soprattutto, Iglesias è il leader con il più alto tasso di disapprovazione: ha ancora i suoi fan, sempre di meno; ma il resto degli spagnoli lo detesta. Per anni ha continuato a vincere duelli tv – nei duelli tv è quasi imbattibile –e a cambiare linea.
Dalla Revolucion è passato al riformismo. Un po’ come Tsipras, il premier greco che è stato il suo punto di riferimento reale, mentre Gramsci, Berlinguer, il Che e appunto la Regina Khaleesi erano quelli immaginari. Così ha smesso di proporre di uscire dalla Nato, nazionalizzare «le imprese strategiche», ristrutturare — cioè non pagare — il debito pubblico, riportare la pensione a sessant’anni. Non ha più detto che Felipe VI «ha l’unico merito di essere il figlio di un monarca scelto da un dittatore»; però si è presentato da lui in jeans, per la gioia dei fotografi.
È andato al governo dopo aver chiarito che non sarebbero stati toccate, oltre alle immagini del re, le basi militari e l’ora di religione. Ha elogiato i poliziotti ansiosi «di arrestare i banchieri ladri». La spregiudicatezza con cui ha alternato toni anarcoidi e rassicuranti, invettive e sorrisi è impressionante; ma è tutta dentro un tempo segnato dalla rivolta contro le istituzioni, i partiti, i sindacati, le élites anzi le caste, in Spagna particolarmente predatrici e corrotte a livelli pressoché italiani.glesias non è antipatico, anzi. È un seduttore. Riconosce tutti i suoi interlocutori, o almeno è abilissimo a farlo credere: «Certo che mi ricordo di te…». Si veste al discount e fa in modo che si sappia. Talora scioglie in pubblico i lunghi capelli per poi legarli nel codone da tanguero: El Coleta è il suo soprannome.
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