Tesi N° 12
PARTITDU SARDU
PARTITO SARDO D'AZIONE
TESI CONGRESSUALE
FEDERALISMO
RELAZIONE SUL FEDERALISMO
CAPITOLO I°
RISVEGLIO ETNICO E PROTESTA NAZIONALITARIA IN EUROPA E NEL MONDO
In tutto il mondo vincono, si affermano e si materializzano gli ideali dei piccoli popoli: dall'Europa alle Americhe infatti, dall'ex Unione Sovietica ai Paesi dell'Est “un universo di piccole patrie sta progressivamente modificando la geografia politica del nostro tempo”. (Mario Melis)
E' il momento storico cioè dei popoli minoritari. " delle nazioni senza storia e dominate " (Marx) che rifiutano “il conformismo che appiattisce e cancella tutta la ricchezza delle diversità e serve solo ai poteri che dall'alto calano imperiosi". (Mario Melis)
Questi popoli sviluppano con forza e determinazione la protesta e la lotta contro gli Stati ufficiali moderni, accentrati e tecnocratici, contro il nuovo “leviatano statale ", repressivo e autoritario.
Tale protesta é frutto in gran parte del malcontento causato dal modo discriminatorio con il quale è stata attutata l’incorporazione strutturale delle componenti etniche minoritarie nella economia, nella politica, nella cultura statale metropolitana.
Così Nicos Poulanztas parla di " lacerazione dell'unità nazionale " e lo storico marxista Jan Cheneau afferma che " lo stato-nazione é oggi scosso dall'interno da vigorosi movimenti anticentralistici che rifiutano l'oppressione economica, culturale, linguistica esercitata dall'etnia dominante sui popoli minoritari.
Il risveglio nazionalitario, la protesta e la lotta anticentralista mette in crisi e delegittima lo stato-nazione così come si é venuto a creare nell'ottocento soprattutto in Europa ma non solo - espressione del capitalismo nazionalistico borghese. Che bene o male é stato nel secolo scorso fattore coagulante ed era legato alla fase di ascesa della borghesia e alla formazione da parte di essa di un mercato interno vasto e di uno stato.
Ma il risveglio di tali movimenti etnici non delegittima solo gli stati bensì anche i regimi e le autorità, così che possiamo affermare - almeno in linea generale - che essi hanno una complessiva valenza democratica, progressista e di sinistra e in ogni caso non possono essere liquidati o bollati come fronde campanilistiche e conservatrici e tanto meno reazionarie. Non può essere un caso che i movimenti etno-politici a livello mondiale, siano spesso contigui, anche ideologicamente, a movimenti di controcultura giovanile, ecologici, antinucleari, pacifisti che esprimono non solo il desiderio di trovare maggiore possibilità di realizzazione personale e collettiva in subsocietà organizzate su basi non statali ma etniche, ma anche, esigenze di identità differenza - specificità, di partecipazione, di autonomia, di controllo del territorio, di decentramento.
Pensiamo solo a questo proposito a tutte le problematiche legate a " piccolo è bello ". Lo stato centrale da questi movimenti é visto insieme troppo invadente attraverso le sue articolazioni che entrano anche nel privato del cittadino e totalizzante, ma anche troppo grande remoto e sfasato rispetto ai problemi che la comunità deve affrontare e perciò non riesce ad esprimere fiducia e identificazione.
CAPITOLO II°
COME SI " RIFORMA " LO STATO IN EUROPA
La storia europea in modo particolare, soprattutto a partire dal XIX secolo é caratterizzata da una crescente compenetrazione fra stato e nazione nel senso che gli stati cercano di diventare nazioni e le nazioni stati unitari e indivisibili attraverso la compressione all'interno di uno stato ufficiale delle minorane nazionali e nazionalità diverse da quella maggioritaria.
In Spagna é il caso, per esempio, dei baschi, catalani, galeghi, in Francia dei bretoni, alsaziani, corsi, occitani, fiamminghi: id Inghilterra degli scozzesi, gallesi, irlandesi; nei Paesi Bassi dei frisoni; in Italia dei friulani, valdostani, sud tirolesi, ladini, albanesi e appunto sardi.
Ebbene la tendenza odierna é l'inverso, gli stati unitaristi tendono a riformarsi in stati federali: é già avvenuto in molti stati dell'Est. O comunque si affermano maggiori autonomie in Spagna come nei Paesi Bassi etc. E in Italia?
CAPITOLO III°
AFFERMARSI NELL’ITALIA DELLO STATO UNITARIO E CENTRALISTA
E' uscito recentemente - a cura degli storici del Carria/De Boni un bel volumetto che raccoglie scritti di ben 40 federalisti italiani e sardi. Lussu, Bellieni, Cao, Pilia
In questo si documenta e si argomenta come l'unità d'Italia realizzata, dal regno del Piemonte attraverso la Casa Savoia, I suoi Ministri e il suo esercito, abbia violentato e compresso le varie nazionalità e specificità-particolarità italiane attraverso la piemontesizzazione dei vari popoli della penisola.
C'é di più: tale unità sarà fatalmente accentratrice. In questo senso sembrano profetiche le analisi di molti federalisti Italiani: " smettete una buona volta le speranze di decentramento " - ammoniva Giovanni Bovio, federalista delle sinistra storica, polemizzando con Cavour -, " l'unità é assorbente per sua natura ". E continuava: '* tanto gli é un decentramento unitario quanto una democrazia regia".
E il centralismo infatti si affermerà: frutto, specchio e indice dei rapporti di classe allora esistenti. Esso Infatti si ricollega Ila ristrettezza del ceto politico risorgimentale identificabile nell'alleanza della borghesia agraria - mercantile - bancaria centro settentrionale, con quella terriera del Sud, comprendenti entrambe la maggioranza dei ceti aristocratici della varie regioni.
Tale scelta centralistica Ieri - e purtroppo ancora oggi - ha avuto e ha i suoi sostenitori, di parte conservatrice e liberale ma anche progressista e di sinistra, a tal punto di imporre al senso comune Ilde ' a dello stato unitario e centralizzato come la forma più alta e moderna dì ordinamento statuale.
Ogni altra soluzione diversa da quella centralistica e unitaria - sosteneva qualche anno fa lo storico liberale Rosario Romeo - sarebbe andata a vantaggio delle componenti clericali, perciò anti unitarie, filo borboniche, legittimiste.
CAPITOLO IV°
I MOVMENTI REGIONALISTICI POST UNITARI E FINO ALLA RESISTENZA
Dopo i primi decenni post unitari che registrano anche nel Nord un vigoroso pensiero autonomistico, riflesso anche delle polemiche sull'unificazione, l'istanza autonomistica e regionalistica tende a trasferirsi - non a caso soprattutto nel Sud, con Gaetano Salvemini e Lugi Sturzo in particolare, fino a diventare un segno di contraddizione all'interno degli stessi partiti.
Già nel 1896 in occasione della istituzione dei Commissari civili in Sicilia, si coglie per esempio la distanza che nel partito socialista separa la Federazione di Palermo - decisa a legare la lotta di classe alla rivendicazione dell'autonomismo regionale - e la posizione antiautonomista di Filippo Turati, che interpreta il socialismo del triangolo industriale.
Ma é nel primo dopoguerra che si affermano programmi autonomistici, quando sorgono diversi partiti " regionali ": Il Partito Sardo d'Azione in modo particolare.
Se l'istanza regionalistica parte in prevalenza dal meridione e dal mondo rurale non é un caso. Sono le regioni meridionali a restare estranee allo sviluppo industriale o, se vogliamo, allo sviluppo tout court. Così al problema delle autonomia sarà più sensibile Salvemini che Turati. Sturzo che Meda, Dorso che Gobetti e. tra i comunisti degli anni venti Grieco e Gramsci.
Con il fascismo l'accentramento verrà reso ancor più esasperato e comunque si porteranno a più coerenti conseguenze autoritarie strumenti e tendenze che erano già presenti nel regime liberale.
La breve parentesi “regionalista" sviluppatasi con la Resistenza (pensiamo ai CLN regionali, alle repubbliche partigiane etc.) viene affossata e liquidata nel dibattito alla Assemblea Costituente prima e nel '48 con la vittoria democristiana poi.
CAPITOLO V°
NASCITA DELLO STATUTO SPECIALE DELLA SARDEGNA
L'autonomia regionale della Sardegna nasce in questo clima di restaurazione imposto dalla vittoria del blocco conservatore e moderato con cui convergono - almeno su questo versante - anche le forze di sinistra. A tal punto che Emilio Lussu nell'Assemblea Costituente a Roma ma anche in Sardegna si trova nettamente in minoranza, così la sua posizione federalista fu battuta e ai sardi invece che un leone fu dato un gatto: uno statuto cioè che non va al di là di una mera emanazione di norme " di integrazione e attuazione " delle leggi dello stato;
Uno Statuto che già nel '48 nasce depotenziato debole e monco. Cui dobbiamo aggiungere il fatto importante che in questi 45 anni di storia subirà un processo di progressivo svuotamento e di compressione, prima di tutto dall’esterno, da parte dello stato centrale, la cui pratica quotidiana di limitazione dell'autonomia regionale attraverso gli interventi del governo, della burocrazia e delle sue articolazioni centraliste é sotto gli occhi di tutti.
Ne abbiamo avuto in questi giorni scorsi, un esempio emblematico con il rigetto della legge sulla cultura, il cui obiettivo vero era quello di attentare ancor più alle prerogative della Regione sarda riconosciutegli dallo Statuto (art. 5) in merito alla scuola, alla lingua e alla cultura.
Ma responsabili di tale svuotamento sono anche - perché non dirlo? - le forze politiche sarde o meglio le succursali romane in Sardegna dei partiti italiani che non hanno saputo e spesso non hanno voluto usare gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l'autonomia regionale offriva. Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione. Non solo: nato come Statuto Speciale, é stato devitalizzato e omologato così che oggi risulta di fatto spesso dotato di meno poteri delle regioni a statuto ordinario costituitesi nel '70 é rappresenta ormai un ostacolo alla realizzazione dell’autogoverno. C'é di peggio: é di copertura alla gestione centralistica della regione da parte dello stato.
CAPITOLO VI°
FALLIMENTO DELL’AUTONOMIA
Per questo dobbiamo ormai considerare definitivamente consumato il fallimento storico della cosiddetta autonomia - Francesco Masala opportunamente la chiama eteronomia - e con essa dello stato unitario.
L'esperienza storica di questi '45 anni ha infatti dimostrato che gli attuali rapporti giuridici - politici - istituzionali fra stato e Sardegna codificati dallo Statuto, non hanno scalfito per niente il centralismo statale, paradossalmente lo hanno perfino favorito e ai sardi hanno consentito solo il succursalismo e l'amministrazione della propria dipendenza perché la Regione sarda - a parte rari colpi di reni di qualche esponente politico sardo - ha di fatto operato come struttura di decentramento burocratico e centro di raccordo e di mediazione fra gli Interessi degli ascari locali e la rapina colonialista.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: a livello economico, sociale, ambientale e culturale.
E' all'interno di questo sostanziale fallimento della “autonomia" che occorre situare la ricontrattazione su base federale, partendo dalla identità nazionale dei sardi, del rapporto Sardegna Stato italiano; superando quindi la concezione unitarista e statolatrica per la creazione di uno stato plurinazionale e plurietnico.
All'ordine del giorno non vi é quindi una nuova autonomia, sia pure rimpolpata e rinnovata e neppure il cosiddetto stato delle regionI, incapace comunque di fronteggiare la massiccia offensiva degli apparati centrali e accentratori. Vi sono invece forme più compiute di autogoverno e di rapporto paritario delle diverse articolazioni istituzionali In ambito italiano e internazionale: ovvero lo Stato Federale o se si vuole una Federazione degli Stati delle nazionalità e delle etnie.
La visione autonomistica e regionalistica dello stato infatti é ancora tutta dentro l'ottica dello stato unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere nella " periferia ". O più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe parziali alla regione che comunque In questo modo continua a esercitare una funzione di scarico, continua ad essere utilizzata come un terminale di politiche sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale. E c'é di peggio: soprattutto in momenti di acuta crisi economica e finanziaria dello stato - é il caso odierno - la regione e il potere locale servono di fatto, da un lato come strumenti per costruire allargare e gestire il consenso intorno alle scelte centralistiche del potere centrale; dall'altro come gabellieri dello stato, ponendosi in questo modo come controparti rispetto alla popolazione e ai suoi bisogni e perdendo così credibilità in quanto riassorbiti, sic et simpliciter, nel circuito dell'organizzazione dall'alto del potere.
CAPITOLO VII°
FEDERALISMO E INDIPENDENZA
Il Federalismo - almeno quello sardista - si muove in una logica diversa e per molti versi opposta. Non prevede cioè la dislocazione di parziali limitati poteri - che rimarrebbero comunque articolazioni dello stato unitario e centralista - dal centro alla " periferia ". Né che la Regione Sarda - come finora é successo - sia la rappresentanza in sede regionale e periferica della Amministrazione statale. Prevede invece che essa diventi l'Ente esponenziale della comunità sarda ovvero di un popolo che si riconosce unito da identiche tradizioni, medesimi costumi ed usi normativi, lingua e cultura. Di un popolo insomma che ha una peculiare e specifica identità nazionale: é questo fra l'altro il presupposto teorico e politico del federalismo sardista.
Di qui la battaglia: a) da una parte per smantellare il potere concentrato dello stato, per scardinare i meccanismi di una struttura istituzionale frutto del processo unitario della borghesia italiana ottocentesca che attraverso il centralismo statuale e amministrativo ha attuato ed attua una distribuzione in eguale delle ricchezze e un drenaggio delle risorse dalle aree più povere verso le più ricche;
b) dall'altra per ottenere per la nazione sarda tutti quei poteri, competenze e sovranità necessarie per potersi autogestire, autogovernare, autodeterminarsi: in una parola per essere indipendenti.
Il federalismo implica dunque l'indipendenza: altrimenti è vana chiacchera, flatus vocis. Federalismo (da foedus) evoca e significa patto: e i patti si fanno, fra soggetti uguali altrimenti il non rispetto e la prevaricazione é inevitabile.
" La disarticolazione dello stato nazionale unitario deve dar luogo a una forma nuova e diversa di stato di stati. In cui per stati non si intendono più gli stati nazionali degradati da enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parti o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri.
(Bobbio, introduzione a Silvio Trentin, federalismo 1987)
La ragione tecnica - cito sempre Bobbio di una simile scelta di organizzazione politica " si fonda su una volontà anti autocratica e democratica nei casi di governi dispotici. Ma é attuale anche in ipotesi di stati democratici quando é incrinato il rapporto fra governanti e governati da un esasperato centralismo e da un notevole scollamento fra i cittadini e le istituzioni centrali '*.
Oltre che - é il nostro caso - quando un'etnia maggioritaria e dominante, quella italiana, comprime e rende subalterna un'etnia minore, come quella sarda.
Lo stato federale insomma a cui pensiamo é quello in cui il potere sovrano originario e non derivato spetta a più enti a più stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, di un unico potere e soggetto singolare per far capo a più soggetti e poteri plurali.
Con altrettanta chiarezza sosteniamo anche che la sovranità-indipendenza cui pensiamo non é in solitudine e non significa separazione, scissione, secessione. Deve avere anzi un forte segno di apertura internazionale, di solidarietà con tutti quelli che lottano in Italia come nel mondo, contro qualsiasi forma di oppressione e di discriminazione.
Si tratta inoltre di una indipendenza che non rifiuta superiori livelli, anche Istituzionali di integrazione e di interdipendenza, in Italia come in Europa, necessari oggi per affrontare i problemi socio-economici, ambientali, culturali, tecnologici a dimensione continentale e mondiale connessi:
a) alla diffusione delle nuove tecnologie e allo sviluppo del capitalismo delle multinazionali;
b) al crescente grado di interdipendenza e di integrazione raggiunto dall'economia dei singoli paesi e delle singole aree e regioni:
c) al carattere internazionale assunto dai flussi e dallo scambio di materie prime, di prodotti manufatti, tecnologie e capitale:
d) alla importanza soverchiante infine che acquistano le economie su scala e le imprese che non producono solo per il mercato locale ma per mercati più ampi e lontani.
La questione " nazionale 01 sarda si risolve quindi dentro quest'ottica, in termini attuali e moderni, certo attraverso l'ottenimento dell'indipendenza, ma senza chiusure localiste In una cornice plurinazionale, non distaccando la Sardegna dall'Italia nel cui alveo storicamente é ormai Incorporata, ma federandosi con essa e collocandosi nel flussi di rapporti materiali e culturali internazionali.
Si risolve in altre parole in una entità sovrana cui spettino tutte le competenze, non delegate allo stato federale, ad iniziare dalla gestione delle sue risorse: prime fra tutte la Lingua e la Cultura autoctona.
CAPITOLO VIII°
STATO FEDERALE E STATI MEMBRI: RISPETTIVE SPETTANZE E POTERI
Si discute molto oggi - non solo fra gli addetti ai lavori - sulla ripartizione delle competenze fra gli organi federali e gli organi statali. Vi é chi tende a ridurre quasi a zero le competenze federali, altri che tendono ad ampliarle, vi è chi attribuisce allo stato federale le competenze tradizionali: i rapporti internazionali, le finanze federali, la moneta, la difesa. Altri invece mettono in discussione anche tali poteri. Da parte mia i questa sede non voglio addentrarmi in tale ginepraio tecnico-istituzionale di questioni. Dico solo, per esempio a proposito della difesa, da pacifista, che occorre battersi per un modello di difesa popolare, non violenta, strettamente legata con il proprio territorio. E mi pare quindi logico che la competenza primaria andrebbe agli stati federati e non allo stato federale.
A proposito invece della moneta c'é da porsi un quesito: perché delegare tale spettanza allo stato federale nel momento in cui si va verso la moneta europea?
E persino a proposito dei rapporti internazionali e il commercio in primis, perché la Sardegna non dovrebbe allacciare direttamente rapporti economici e culturali con i Paesi del Mediterraneo senza passare per il centro federale?
Una spettanza credo comunque che occorra attribuire allo stato federale: quello della solidarietà e sussidiarietà.
Da questo punto di vista condivido in toto quanto sostenuto da Stefano Rodotà: " allo stato federale deve permanere Il compito primario di riequilibrare le zone svantaggiate del Paese rispetto ai territori privilegiati, potendo a tal fine operare un prelievo fiscale differenziato e intervenendo in modo diretto per lo sviluppo in tali zone Rodotà, Repertorio 1992, pag. 110).
A questo proposito mi pare abissalmente distante dalla nostra concezione federalista l'ideologia e il progetto leghista tutto giocato sulla difesa degli interessi territoriali forti contro gli interessi deboli.
Questa infatti pare a me essere la discriminante che ci separa da Bossi, più e oltre che le differenze rispetto alle fondamenta teoriche del federalismo: che noi sardisti fondiamo sulla nostra identità etno-nazionale, mentre i leghisti, economicisticamente, sul concetto di territorio.
Non voglio addentrarmi neppure sulle questioni - oggi molto dibattute riguardanti la trasformazione del Senato della Repubblica in Camera delle regioni. Vorrei piuttosto soffermarmi, sia pure succintamente.su due questioni attinenti alla concezione federalista che a mio parere rivestono oggi la massima importanza: la prima riguarda i poteri della Regione, da codificare speriamo in tempi brevi, in un Nuovo Statuto Regionale; la seconda attiene al federalismo esterno o interstatuale, ovvero al federalismo europeo.
CAPITOLO IX
POTERI DELLA REGIONE POTERI DEGLI ENTI LOCALI
Quando si sostiene che i sardi devono disporre di tutti i poteri e le sovranità necessarie per l'autogoverno, l'autogestione e l’autodeterminazione occorre evitare di pensare alla concentrazione dei poteri nell'Ente Regione, a scapito e contro le autonomie locali: in altre parole occorre evitare di riproporre un neo-centralismo a base regionale.
Il potere regionale (e domani dello stesso stato federato) deve infatti essere il più dissimile possibile dal potere dello stato che noi abbiamo storicamente conosciuto, e può esistere quindi solo nella forma del più articolato e reale autogoverno del popolo sardo.
Proprio per l'esperienza cui abbiamo assistito in questi 45 anni di autonomia regionale e in questi 132 anni di stato unitario e centralista, occorre perciò pensare a un potere diffuso, decentrato, distribuito, ubiquitario. Non solo quindi al potere dell'ente regione ma degli enti locali di dimensione subregionale, soprattutto i comuni e le provincie, rivisitate riformate e trasformate in distretti - senza Prefetti! - che incorporino le tradizionali regioni storiche sarde.
C'é di più: il concetto di autonomie locali deve estendersi anche a quelle articolazioni democratiche di base che pur non essendo istituzionalizzate si pongono come rappresentative di interessi generali della collettività.
In questo senso ritengo che il nuovo Statuto debba espressamente prevedere forme di riconoscimento, sostegno e promozione di organismi popolari che realizzino in forme nuove e dinamiche la partecipazione delle popolazioni nella gestione del potere.
CAPITOLO X°
FEDERALISMO EUROPEO
Al federalismo europeo voglio dedicare un breve cenno e solo per sottolineare che i sardisti, europeisti da sempre, ancor più che nel passato devono oggi sostenere e battersi per l'unità europea cui non ci sono alternative. Epperò occorre anche dire che bisogna opporsi ai processi dominanti attuali per imboccare altri percorsi: non stiamo infatti andando verso l'unificazione dei popoli e delle culture per confrontarsi dialogare ed arricchirsi ma verso la semplice brutale unificazione dei mercati.
L'obiettivo é la creazione di un grande mercato europeo in cui merci servizi e fattori produttivi possano circolare a condizioni analoghe a quelle esistenti all'interno di uno stesso Paese. In termini generali l'unificazione economica corrisponde alla necessità del grande capitale europeo e alla dimensione delle sue industrie e delle sue finanze: solo su scala continentale infatti vi sono le dimensioni di mercato, i mezzi finanziari, le capacità tecnologiche e scientifiche per reggere l'urto della economia USA e Giapponese.
L'unità politica é sostanzialmente assente: e sappiamo bene che senza interventi e correttivi politici, affidando tutto al mercato e alla concorrenza selvaggia vince il più forte. Come sta succedendo: il più forte fra gli stati e, all'interno di ogni singolo stato, il più forte fra le regioni.
Tali processi accentueranno ancor più le distanze fra le aree deboli e quelle più forti, accentueranno ancor più vecchie e nuove disuguaglianze.
Ma la stessa unità politica non può bastare se essa si dovesse risolvere in un semplice potere interstatuale, gestito dai vertici degli stati che non cedono al potere sovranazionale una sola parte delle rispettive sovra-nità.
Quello che occorre é un potere unitario e collegiale dei popoli, delle regioni delle nazionalità, delle etnie.
Ma un federalismo di tal fatta - cioè un federalismo esterno - é possibile che avanzi in Europa se si afferma in Italia e negli altri stati il federalismo interno.
CAPITOLO XI
CONTRDDIZIONI E NOVITA’ NEI PARTITI ITALIANI RISPETTO AL FEDERALISMO
E' compito primario, e fondamentale di un Partito /Movimento nazionalitario ed etnico come il PSD'AZ, la battaglia per l'ottenimento del binomio indipendenza-federalismo. Oggi più di ieri le condizioni sono favorevoli. Non solo perché nel mondo i movimenti etno-politici vincono e si affermano. Non solo perché lo stato unitario e centralista é ormai un ferro vecchio, arrugginito e inservibile: anche dal punto di vista economico é fonte di inefficienza e corruzione. Ma perché i valori dell'autonomia della specificità, della differenza, del decentramento, del federalismo, dell'indipendenza, sia pure in forme diverse e in gradi diversi sono penetrati nella coscienza della gente e persino all'interno dei partiti tradizionalmente unitaristi e statalisti. Pensiamo solo al fatto che sostanzialmente tutti partiti italiani presenti in Sardegna, almeno a parole hanno riconosciuto la natura etno-nazionale della questione sarda: in questa direzione si é pronunziato più di una volta lo stesso Consiglio regionale sardo.
E in Italia non é solo Miglio a teorizzare che: " solo una repubblica regionale a fortissima autonomia può garantire un sano e regolare sviluppo dell'economia".
E' il Presidente della Camera Napolitano a dichiarare che: “occorre riscrivere l’articolo 117 della Costituzione per una riforma in Senso regionalista dello stato perché mi pare difficile mantenere uno stato centralista ".
E' l'attuale Ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese a sostenere che: “sono le stesse condizioni attuali della Pubblica Amministrazione a imporre un radicale cambiamento in senso regionalistico dello stato. Bisogna rovesciare la piramide: dopo la riforma, al centro non resterà quasi nulla, solo alcune funzioni importanti come l'ordine pubblico, la politica estera, la difesa. Al centro ci saranno funzioni di supporto, tutto il resto deve essere decentrato” (Le citazioni sono tratte da Repubblica del 5 settembre 1993 sul Convegno Sviluppo economico e Riforma della costituzione ").
Pur con limiti e arretratezze politiche e culturali, posizioni interessanti emergono anche da forze politiche tradizionalmente ostili al federalismo: così Occhetto pur difendendo ancora a spada tratta l'unità nazionale parla di Il costruzione di uno stato regionale di ispirazione federale ". Tortorella denuncia in modo molto netto la bancarotta di una concezione sbagliata della unità d’Italia e sostiene che " la sinistra non nasce statalista e burocratica ma sfortunatamente lo é diventata", D'Alema parla " di uno stato non più obeso e flaccido ma snello e autorevole in grado di guidare l'economia e di ripensare l'unità nazionale ". (Le dichiarazioni virgolettate sono tratte dal Manifesto del 15 settembre 1993 e sono state pronunciate al convegno " Sullo Stato " organizzato da Critica Marxsta
CAPITOLO XII
PARTITO SARDO COME MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE
Un Partito/Movimento nazionale deve stare attento a quanto si muove dentro le altre forze politiche sul versante federalismo-indipendenza-autonomia-regionalismo: non per appiattirsi ma per portare a livelli più avanzati queste posizioni interessanti ma ancora arretrate, per far emergere e moltiplicare il sardismo diffuso e presente anche negli altri partiti. Le stesse alleanze elettorali devono avere questo segno e questa discriminante: i nostri compagni di viaggio sono quelli che hanno e sono disposti ad accettare il più alto livello possibile di sardismo.
Epperò occorre anche essere consapevoli che un obiettivo ampio e arduo come il federalismo ha bisogno soprattutto del consenso della popolazione e della mobilitazione del popolo sardo per creare - partendo dai suoi bisogni materiali e spirituali - un movimento politico e sociale di massa, vasto popolare e unitario in grado di combattere e sconfiggere la classe dominante lo stato centralista e le sue articolazioni burocratiche sindacali e partitiche.
Soprattutto quei partiti statalisti compromessi con il regime della corruzione e di Tangentopoli che ormai sono “un'espressione sempre più palese di ristrette oligarchie di potere che hanno assalito, conquistato e depredato la diligenza dello stato”. (Italo Ortu)
Un Partito/Movimento di liberazione nazionale e sociale se non fa questo Un Partito/Movimento semplicemente si omologa agli altri partiti entrando nel mercato della politica come mera gestione e riducendosi ad essere una delle tante macchine (o macchinette) elettorali in cerca di qualche poltrona e- di qualche prebenda per un ceto politico di Mandarini che vuole solo conservare il proprio status e i propri privilegi.
Ben altro é il compito del Partito Sardo: nato per combattere le clientele e la corruzione delle camarille e dei printzipales: per difendere gli interessi dei pastori dei braccianti e dei contadini; ma soprattutto per rivendicare l'autonomia della Sardegna, ha oggi il compito storico di liberare l'Isola dalla subalternità e dalla soggezione perché " non succeda più che i più forti esercitino il potere e i più deboli vi si adattino". (Tucidide, dal Dialogo fra i Melii e gli Ateniesi)