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    Predefinito Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

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  2. #2
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    non credo, non furono solo reazione all'abisso bolscevico, furono anche il tentativo di creare una Terza Via. comunque sono state scritti classici fiumi di inchiostro sul tema...

  3. #3
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Citazione Originariamente Scritto da Kurtz Visualizza Messaggio
    non credo, non furono solo reazione all'abisso bolscevico, furono anche il tentativo di creare una Terza Via. comunque sono state scritti classici fiumi di inchiostro sul tema...
    Può darsi per il Fascismo ma il NS, a mio avviso, fu arricchito idealmente anche dalla componente Voelkisch.

  4. #4
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Rivoluzione conservatrice, Nietzsche e la “sfericità” della Storia

    by Giovanni Balducci


    Tra l’immediato primo dopoguerra e l’ascesa al potere del Nazionalsocialismo, in quella informe Babele che fu la Repubblica di Weimar, ebbe a registrarsi il sorgere di idee in netta controtendenza rispetto allo spirito del tempo, che almeno dal Rinascimento faceva della storia il campo di conquista di concezioni della vita di stampo progressista e rivoluzionario rispetto a ciò che sino ad allora era inteso come lo stato normale delle cose.

    Per designare questo fiorire di idee in rivolta venne coniato il termine “rivoluzione conservatrice” (Konservative Revolution), utilizzato per la prima volta il 10 gennaio 1927 dallo scrittore tedesco di origine ebraica Hugo von Hofmannsthal, durante una conferenza a Monaco di Baviera dal titolo La letteratura come spazio spirituale della nazione, ma che incontrerà fortuna grazie all’opera La rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932. Una guida, di Armin Mohler, un’imponente bibliografia di circa 400 pagine, in cui si fa luce sul pensiero e sugli autori del contesto rivoluzionario-conservatore.

    Gli ideali della Konservative Revolution ebbero molti sostenitori di tutto rispetto nell’alveo delle scienze storiche, filosofiche e della cultura in genere, basti pensare ad Ernst Jünger, Martin Heidegger, Oswald Spengler, Carl Schmitt, Thomas Mann, Gottfried Benn, Rainer Maria Rilke, Max Scheler, e a chi indubbiamente fu per molti versi il padre spirituale e l’antesignano di questo movimento: Friedrich Nietzsche, dal quale i rivoluzionario-conservatori mutueranno la propria «immagine del mondo» (Weltbild) basata su alcune fondamentali “idee guida”, tra cui la concezione “sferica” della storia, opposta alla concezione “lineare” cara ai progressisti. Per i pensatori della Rivoluzione Conservatrice, infatti, la storia non è da intendersi quale progresso infinito e indefinito, bensì quale “eterno ritorno”, ciò «significa che agli occhi del conservatore-rivoluzionario in ogni momento tutto è contenuto, che presente, passato e avvenire coincidono». Per citare il Nietzsche dello Zarathustra:

    «Tutto va, tutto ritorna; eternamente ruota la Ruota dell’Essere. Tutto muore, tutto di nuovo fiorisce; eternamente trascorre l’Anno dell’Essere. Tutto crolla, tutto è nuovamente composto; eternamente si ricostruisce la medesima Casa dell’Essere. Tutto si separa, tutto si saluta di nuovo; eternamente resta fedele a se stesso l’Anello dell’Essere. In ogni momento l’Essere comincia; attorno ad ogni Qui si avvolge la Sfera del Là. Il centro è dappertutto. Curvo è il sentiero dell’Eternità»

    Il pensiero dei rivoluzionario-conservatori vedeva la sua elaborazione e si diffondeva in circoli, cenacoli letterari, partiti, associazioni legate ai Freikorps, società segrete a carattere esoterico (si ricordi la Thule Gesellschaft). Da un punto di vista strettamente politico, al centro delle idee che facevano capo alla rivoluzione conservatrice, v’era innanzitutto una forte avversione verso il progressismo positivista, la demonìa capitalista, l’egualitarismo di matrice giacobina, e lo spettro comunista, cui i teorici della Konservative Revolution opponevano l’idea di una rivoluzione, da intendersi, com’ebbe a chiarire Julius Evola, nella doppia accezione «di una rivolta contro un dato stato di fatto» e «di un ritorno, di una conversione – per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro». L’intento dei rivoluzionario-conservatori era infatti quello di opporsi al “tramonto dell’Occidente”, restaurando l’ordine tradizionale: «fare tabula rasa delle rovine del XIX secolo e a stabilire un nuovo ordine di vita».

    6xmddttulpz3_s4Può dirsi che la Rivoluzione conservatrice tedesca abbia rappresentato il fertile terreno culturale da cui germinò il movimento nazionalsocialista. Tuttavia, dopo il 1933 solo alcuni sostenitori della Konservative Revolution aderirono al nazismo (è il caso di Carl Schmitt), mentre altri esponenti ne presero le distanze, ritirandosi (come Gottfried Benn) o diventandone oppositori (come Thomas Mann). Ha scritto Armin Mohler:

    «i seguaci della Rivoluzione Conservatrice possono essere definiti all’epoca come i trotzkysti del nazionalsocialismo. Così come succede per tutti i grandi movimenti rivoluzionari, comunismo compreso, troviamo, da un lato, un grande partito di massa dalla pesantezza uniforme e, dall’altra, una miriade di piccoli circoli caratterizzati da una vita spirituale intensa, che non esercitano che una debole influenza sulle masse, e che, da un punto di vista della formazione di partiti, riuscivano al massimo a provocare delle scissioni marginali all’interno del grande partito, si dedicavano soprattutto all’organizzazione di sette esplosive e di piccoli gruppi elitari assai poco coerenti. Quando il grande partito fallisce, allora suona l’ora delle eresie trotzkyste».

    Similmente in Italia, il coevo movimento fascista si proponeva l’intento di modificare la società, creando uno “Stato-società” basato sulle corporazioni, rettificando l’ideologia dello “Stato-popolo” di matrice giacobina, e distinguendosi nettamente dallo “Stato-classe” attuato dalla rivoluzione bolscevica in Russia. Ciò doveva essere raggiunto attraverso la rivoluzione, come risulta dal Programma di San Sepolcro del 1919: «Noi non abbiamo bisogno di metterci programmaticamente sul terreno della rivoluzione perché, in senso storico, ci siamo dal 1915». Quella fascista, in effetti, fu proprio una “rivoluzione conservatrice”, com’ebbe a sostenere Renzo De Felice. Tuttavia fascismo e Rivoluzione conservatrice costituiscono certamente due concetti non sovrapponibili, come non sovrapponibile alla Konservative Revolution fu il nazismo: partito di massa, che fece ampio ricorso ad una moderna propaganda e ad un razzismo basato sui presupposti del darwinismo anglosassone.

    Ma certamente dopo la disfatta bellica della Germania nazionalsocialista e la capitolazione del regime fascista, in Europa, in ambito strettamente politico, non ci sono più stati grossi tentativi di riportare in auge concetti rivoluzionario-conservatori, e la rivoluzione conservatrice è rimasta solo un grande sogno eretico di pensatori coraggiosi come un Jean Thiriart, un Armin Mohler, un Alain de Benoist, o un Marcello Veneziani in Italia. Malgrado tutto, però, l’interesse per gli autori della Rivoluzione Conservatrice non si è mai sopito, e diviene sempre maggiore in questi tempi di crisi economica e morale. Auspichiamo che le loro idee vengano rispolverate e rimeditate dalle élites intellettuali e (soprattutto) politiche più avvedute, e che non rimangano solo il donchisciottesco sogno di pochi.

  5. #5
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Il fascismo fu una rivoluzione conservatrice?

    De Felice, Nolte e Sternhell sono come noto i tre grandi storici del fascismo. C’è indubbiamente della polemica politica contingente in questo dibattito ma, d’altra parte, gli stessi storici citati hanno in certi casi mutato posizione in base al contesto politico. Si pensi a Renzo De Felice, verso cui gli italiani dovrebbero avere quella gratitudine che purtroppo non vediamo, avendo egli mirato in continuazione alla pacificazione interna e al superamento della guerra civile. Ebbene, se nella famosa Intervista rappresentava il movimento fascista come una manifestazione della “sinistra rivoluzionaria” o neo-risorgimentale, nella monumentale biografia mussoliniana finiva più realisticamente per considerare il fascismo come una rivoluzione conservatrice europea.


    Tale giudizio fu pure quello di Carl Schmitt, in fondo, per il quale tanto il fascismo italiano quanto il falangismo tradizionalista spagnolo si caratterizzarono come le rivoluzioni conservatrici del ‘900. Nolte stesso non fu esente da spostamenti di paradigma e cambiamenti di prospettiva: la iniziale sintesi storiografica del ‘900 come “epoca del fascismo” diverrà successivamente l’epoca dei soli nazismo e bolscevismo che si sarebbero contesi il dominio mondiale. Nello storico tedesco, eccezionalmente informato quanto alla Rivoluzione russa e alla storia del nazionalsocialismo, vi è però una scarsa conoscenza della dottrina del fascismo.

    Rivolta contro l’illuminismo
    Lo stesso Zeev Sternhell esagera, come gli è stato da più parti rimproverato, l’influsso della destra francese di fine Ottocento sulla formazione di Mussolini leader del fascismo. Nonostante ciò l’intuizione sternhelliana che rappresenta in definitiva il fascismo come la vittoria concreta della “mitologia politica”, del conservatorismo mitico, ma storicista e progressivo, di una ideocrazia tradizionale, ma pragmatista e realistica, sul razionalismo illuministico e scientifico rimane probabilmente la più brillante ed avanzata teoria sul fascismo che la storiografia antifascista abbia prodotto. La filosofia politica storicista, conservativa-eroica e antilluminista di Vico e di Benedetto Croce è per il nostro un motivo ideologico fondamentale della grande rivolta fascista contro il progressismo e lo scientismo egemoni da circa tre secoli. Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra Fredda, importante saggio sternhelliano, è al riguardo senza dubbio un grande classico sulla rivoluzione conservatrice europea, ben più de La tentazione fascista di Tarmo Kunnas caro a De Felice. Perciò il Croce ideologo neo-vichiano degli anni ’10 e ’20, con le sue note tentazioni antisemite e con il suo attacco radicale alla “mentalità massonica” della sinistra laicista liberalistica, è per lo storico israeliano al tempo stesso il Maurras e il Sorel della destra conservatrice italiana: lo statista è tale, nel pensiero crociano, se conservatore rivoluzionario, se incarnazione dell’anima nazionale, altrimenti è di fatto un mero burocrate o un economicista socialista. La Scuola di mistica fascista vide non a caso nello storicismo antiprogressista di Vico, ben diverso dal progressismo neo-luterano di Hegel, la filosofia precorritrice del fascismo.

    La dottrina del fascismo
    Ciò che va comunque rimproverato sia alla storiografia sia ai polemisti contemporanei è che, se si sforzano di delucidare il progetto leninista alla luce degli scritti del rivoluzionario marxista, quello nazista alla luce del Mein Kampf, quello liberale alla luce di Locke e Hobbes, non fanno lo stesso con il regime fascista. Mussolini annunciò infatti al mondo quale fosse la strategia del fascismo, attraverso il suo scritto La dottrina del fascismo, corsi universitari di storia e dottrina del fascismo furono la base della vita politica del regime nella formazione pedagogica delle nuove generazioni. Augusto venne descritto come il primo fascista della storia, un concetto che ha fatto riflettere il marxista Canfora; Cicerone, Vico, Guicciardini, Machiavelli, Savonarola furono oggetto di notevoli e agguerriti corsi scientifici. Nel prezioso saggio citato emerge tra l’altro il nodo concettuale fondamentale: vi si annuncia esplicitamente il “secolo della destra” come concezione dello Stato ideocratico antagonista “del mito della felicità e del Progresso indefinito” (II, 7), “il secolo di destra” come secolo della “democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria”, conservativa e corporativistica, negazione assoluta delle astratte e utopistiche ideologie illuministiche: socialismo, democraticismo, liberalismo, tre varianti di una medesima ideocrazia progressistica e scientifica (II, 9).

    Nel 1934, dinanzi all’assemblea quinquennale del regime, Mussolini afferma la grande battaglia storico-spirituale tra le due grandi correnti: democrazia, socialismo, liberalismo e massoneria da una parte (illuminismo franco-kantiano e materialismo marxista), destra conservatrice rivoluzionaria dall’altra. “La Dottrina” conclude sottolineando l’universalità della dottrina del fascismo che rappresenterebbe spiritualisticamente “un momento della storia dello spirito umano” (II, 13). Tale universalismo da un lato avrebbe dovuto significare “risorgimento imperiale” italiano, dall’altro, fatto ben più significativo (II, 6), offensiva globale contro le ideologie razionaliste ed illuministiche.

    Uno scontro epocale
    La grande faglia, la grande frattura storica contemporanea che Mussolini prevede non è tra comunisti e anticomunisti, marxisti rivoluzionari ebrei e antisemiti, liberali e antiliberali: il grande conflitto sarebbe tra un conservatorismo storicistico fondato sul mito e sull’antirazionalismo e l’ideologia pseudoevoluzionistica-scientifica della sinistra laicista egemone.

    Roma declinava la guerra civile europea e mondiale su basi non etnico-culturali geopolitiche (scontro di civiltà) né classiste (lotta di classe) ma ideocratiche: anti-progressiste, mitico-conservatrici e storiciste. Sternhell parla a tale riguardo del fascino segreto e della sorprendente attualità della dottrina fascista. Lo stesso “statalismo” pedagogico fascista diventa un mezzo verso il fine, la civiltà anti-materialistica e anti-utilitarista del lavoro, e quelle che De Felice considera una serie di rotture di paradigma (leggi razziali, Repubblica sociale italiana) non sarebbero state invece per Sternhell che mutamenti tattici d’un medesimo e coerente fine dottrinario: ultraconservatore e antiprogressistico.

    Il fascismo è finito nel 1945?
    Che questo messaggio ideocratico fascista sia immediatamente scomparso dopo il 1945, come sostiene il De Felice, lascia effettivamente più d’un dubbio. Di certo, la stesso recentissima teoria dello Sternhell che fa tout court del conservatorismo antilluminista della Russia di Putin e delle democrazie europee di Visegrad o dell’ultratradizionalismo dell’iraniano Ahmadinejad delle forme di nuova destra fascista avrebbe meritato da parte del pensatore israeliano un maggior e più ragionato approfondimento. E’ d’altra parte anche vero che l’ultra-progressismo occidentale delle varie sinistre rivoluzionarie post o neo-sessantottine costituisce oggi in Europa il punto storico, post-modernista, di più radicale affermazione di quel messianismo neo-illuministico e scientista che fu la bestia nera del fascismo mussoliniano. Il sociologo russo Sorokin avvertì decenni fa che l’Europa occidentale sarebbe andata in rovina non per il “progresso tecnologico” ma per il sovversivismo ideologico della sinistra nichilista globalista e laicista.

    Mikhail Rakosi

  6. #6
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    La perlustrazione di quella galassia culturale e ideologica che è stata la Rivoluzione Conservatrice è diventata negli ultimi anni un punto importante della riflessione sull’Europa del XX secolo. Ernst Nolte, in un suo piccolo libro, intitolato La rivoluzione conservatrice nella Germania della Repubblica di Weimar, pubblicato da Rubbettino e curato da Luigi Iannone, svolge una rapida, ma esauriente indagine su alcuni dei protagonisti di quella stagione di pensiero. Che ebbe come comune fondamento una critica radicale alla società liberaldemocratica egemone in Occidente, esprimendo da una parte la volontà di restaurare la Germania – dopo il crollo del 1918 – nei suoi diritti mondiali e, dall’altra, una visione della storia anti-progressista. In questo senso, si può dire con Nolte che la Rivoluzione Conservatrice sia stata uno dei movimenti più rilevanti contro la modernità, ma che, al tempo stesso, gli sia mancata una vera ispirazione politica. Rimase una spinta intellettuale, certo importante, ma incapace di intercettare le motivazioni politiche che agitavano le masse. E senza masse, si sa, qualunque rivoluzione è difficilmente realizzabile.

    Nolte sceglie di presentarci alcuni tra i maggiori rappresentanti di quel colto e innovativo movimento, inquadrandoli in brevi “medaglioni”, sintetici quanto esaustivi. Ma prima, lo storico tedesco fa una panoramica storica, cercando di inquadrare il retroterra da cui scaturirono le varie posizioni. E rileva che l’elemento più importante che accomuna quegli intellettuali, quasi tutti già attivi prima del 1914 e imbevuti di nazionalismo, fu senz’altro il trauma vissuto in occasione della Rivoluzione bolscevica.

    Da una parte, essa scatenò il terrore in quanti – come Klages o Spengler – vedevano minacciata da vicino l’identità europea e rimasero fortemente impressionati dalla volontà di annientamento dell’Occidente proclamata da Lenin. Da un’altra parte, questo evento drammatico attirò l’attenzione e una certa simpatia da parte di alcuni, come Niekisch e per un periodo Jünger, che vedevano balenare a Oriente nuove possibilità politiche. Essi avvertirono la Russia sovietica come una macchina distruttiva che, finalmente, avrebbe contribuito a eliminare dalla scena il liberalismo e il mondo borghese, visti quasi sempre come il fulcro della decadenza della civiltà e l’avvento del dominio del mercantilismo economicista. E formulavano scenari in cui una Germania socialista e nazionalista avrebbe potuto affiancare l’URSS in un finale regolamento di conti contro l’Occidente capitalista.

    In uno sguardo più generale, Nolte non manca di fare un cenno al fatto che gli ideali della Rivoluzione Conservatrice tedesca erano comuni a larga parte dell’Europa. E cita Enrico Corradini, che già all’inizio del Novecento aveva parlato per suo conto di “socialismo nazionale” ed aveva rovesciato l’idea marxista di lotta di classe, lanciandosi nella teorizzazione di una “lotta di classe” tra nazioni: le povere e proletarie – tra cui in primis l’Italia – contro le ricche che dominavano il mondo. Ma anche in Francia si muoveva qualcosa di singolare. Ad esempio, una certa alleanza tra Sorel, teorico della violenza rivoluzionaria fondata sul mito popolare, ma ostile al socialismo marxista, e Maurras, il leader dell’Action Française, movimento monarchico e reazionario. Intrecci strani, opposti che si toccavano, contaminazioni nuove. Era questo il terreno ideologico trasversale su cui si muovevano i rivoluzionari conservatori. Tra i quali figurava anche il Thomas Mann prima-maniera, che nelle sue Considerazioni di un impolitico, scritte durante la guerra, riprese tra l’altro la dicotomia spengleriana fra Kultur germanica, tradizionale e creativa, e Zivilisation occidentale, decadente, priva d’anima, fondata su diritti astratti. Mann del resto, lo sappiamo, già col suo capolavoro sulla saga dei Buddenbrook, aveva manifestato una concezione pessimistica circa le sorti del mondo borghese-capitalista, afflitto da un’interiore malattia di disgregazione. Si trovò pertanto a condividere con naturalezza la prognosi infausta che formulò Spengler, col suo monumentale Tramonto dell’Occidente.

    Proprio Spengler radicalizzò l’ostilità a tutte le forme del progressismo. Paragonata alla primavera di energie vitali da cui sbocciarono nella storia le maggiori civiltà, la civilizzazione occidentale, cosmopolita e marcia dentro, non era se non un lungo inverno di idolatria per tutto quanto è corrosivo e superficiale: dal mito del progresso tecnico alla febbre per il profitto, fino all’edonismo senza freni. Nolte scrive che «Spengler giunge a una sorta di condanna a morte per questo tipo di civilizzazione, facendola apparire come l’opposto della vita». Era un mondo fradicio di cui lo storico verificò, specialmente in Prussianesimo e socialismo, l’attuazione delle due più terribili minacce portate alla civiltà europea, entrambe di matrice marxista: la lotta di classe proletaria e la «rivoluzione mondiale di colore», che con rara anteveggenza Spengler pronosticò lucidamente.

    Spengler è in generale piuttosto noto anche a livello divulgativo. Non è così per Ludwig Klages – di cui in Italia solo negli ultimi anni si è pubblicata qualche traduzione dei suoi libri – che rappresenta un vero unicum nell’universo rivoluzionario conservatore. Fu una sorta di mistico della natura, che credeva ai magnetismi cosmici, ma con venature razzialiste e sovrumaniste. Per lui l’uomo sarebbe potuto tornare alla purezza originaria soltanto immergendosi nel «grandioso accadere universale», dal quale, come scrive Nolte, «hanno origine quelle opere della Kultur che si fondono, come in sogno, con il “vortice di suoni” del pianeta». Insomma, un metafisico. Ma non troppo. Anche lui, come molti altri, giudicò il giudeo-cristianesimo colpevole di aver provocato la frattura tra uomo e natura, già presente nella Bibbia, che insegnò all’uomo a contrapporsi al creato con intenti di dominio, compiendo così un «sanguinoso sacrilegio alla vita». E il capitalismo, che giudicava un frutto anch’esso del cristianesimo, era da Klages messo al centro di un violento atto d’accusa. Questo inusuale studioso di psicologia, grafologo e filosofo, fu un naturista e un ecologo con molti decenni di anticipo sugli odierni movimenti “verdi”. Scrisse, già dagli anni Venti, parole di soprendente capacità profetica. Denunziò che il capitalismo stava compiendo degli scempi a danno dell’integrità della terra – parlò degli «scarichi velenosi delle fabbriche che avvelenano le acque della terra» – e vaticinò che, se nulla gli si opponeva, il progressismo avrebbe ridotto il mondo «a un’unica Chicago». Straordinaria visione del “villaggio globale”. E c’è da chiedersi cosa mai avrebbe detto circa il recente procedere dell’urbanizzazione selvaggia e gli attuali massicci dissesti dell’ambiente…

    Dopo Klages, è la volta di Jünger. In poche pagine, la collaudata capacità di sintesi di Nolte ne viene confermata. Interessanti sono gli accenni – che dovrebbero far riflettere i molti teorizzatori di un Jünger mite letterato antinazista – alle parole che l’autore dell’Arbeiter scriveva, quando ricopriva il ruolo di aggressivo pubblicista dalle colonne dei giornali nazionalisti. Più volte, in questa sua militanza, si trovò a collaborare strettamente con i nazisti, di cui condivideva larga parte dell’ideologia. Ad esempio, è da Nolte ricordata quella sobria paginetta scritta da Jünger nel 1923 sul “Völkischer Beobachter”, quotidiano hitleriano, in cui il futuro “resistente” diceva alcune cose innocue e dal tipico marchio “democratico”: «L’idea della vera rivoluzione è quella nazionalistica… il suo vessillo è la croce uncinata, la sua forma d’espressione la concentrazione della volontà in un unico punto, la dittatura». Questa rivoluzione doveva sostituire «l’azione alla parola, il sangue all’inchiostro, il sacrificio alle retorica, la spada alla penna». Nolte rimarca i contatti tra Jünger e gli “eretici” nazionalbolscevici, secondo la sua teoria della “vicinanza al nemico”, e ribadisce che quella di Jünger era un’ideologia della guerra, per altro non mancando di sottolinearne un certo più o meno velato antisemitismo.

    Nolte completa il suo quadro con altri stimolanti ritratti di protagonisti della Rivoluzione Conservatrice, tra cui anche Schmitt o i meno noti Moeller van den Bruck, August Winnig, Ernst Niekisch e i fratelli Strasser, e vi comprende anche tre intellettuali che furono, per così dire, tra i “padri spirituali” di quel movimento, come Ludwig Woltmann, Max Scheler e Eduard Stadtler. Figure che attraversarono i primi decenni del Novecento provenendo dalle più svariate culture – cattolicesimo, socialdemocrazia, radicalismo nazionalista – e dalle più svariate classi sociali, dal benestante al semplice artigiano. Tutti si misurarono con le prorompenti energie ideologiche dell’epoca, e in qualche modo operarono delle coniugazioni. Alcuni misero l’accento più sul nazionalismo, altri sul socialismo, ma non ve n’è uno che non fosse concorde che il “nemico principale” – per dirla con de Benoist – fosse l’Occidente con la sua devastante applicazione del capitalismo di rapina e con il suo degradante cosmopolitismo. E nessuno di essi trascurò il valore innovatore e socialmente decisivo del nazionalismo. Persino Winnig, socialdemocratico, e persino Niekisch, filo-bolscevico, che nel 1919 fece parte dei consigli operai, misero l’accento sull’importanza di tutelare gli aspetti identitari della nazione.

    Alcuni di essi, a un certo punto della lotta, assunsero atteggiamenti di un tale radicalismo che lo stesso Hitler venne considerato l’elemento moderato e bilanciatore all’interno del complesso movimento nazionalista. Con ciò, la Rivoluzione Conservatrice portò alla maturazione delle idee e all’evoluzione politica un contributo non marginale. Che fu sempre antiliberale e insieme anticomunista. Lo stesso Niekisch, che dopo il 1945 sarà chiamato a far parte della Volkskammer della DDR, prima di patire la prigione sotto il Terzo Reich fino al 1936 aveva potuto liberamente pubblicare la sua rivista filobolscevica “Wiederstand”. C’entrava il fatto che egli, se vide con simpatia certi lati del bolscevismo, non fu mai comunista, e della Russia sovietica dava un’interpretazione tutta sua. Secondo Niekisch, infatti, come scrive Nolte, «l’ideale comunista sarebbe stato il mantello di cui si sarebbe ricoperto l’impulso vitale nazionale russo nel suo estremo bisogno di affermarsi».

    Molti rivoluzionari conservatori confluirono nel partito nazionalsocialista, ma molti altri no. Ci furono fenomeni di fiancheggiamento, ma anche, come nei casi di Winnig o di Niekisch, di finale ostilità. Da tutto questo ribollire di posizioni, da quel laboratorio di idee che fu la Rivoluzione Conservatrice si ricava oggi la lezione, come afferma Nolte, che fenomeni di peso mondiale come il Nazionalsocialismo, ed ivi compresi i movimenti che rimasero a lungo nella sua orbita ideologica, devono essere osservati con «una visione più ampia», così da meglio comprendere gli intrecci di pensiero e la complessità delle sintesi che vennero tentate.

    Di Luca Leonello Rimbotti

  7. #7
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Può darsi per il Fascismo ma il NS, a mio avviso, fu arricchito idealmente anche dalla componente Voelkisch.
    I pensatori della KR tedesca furono marginalizzati sotto il Nazionalsocialismo; quei pochi che riuscirono ad essere cooptati dentro al Terzo Reich in seguito ne uscirono insoddisfatti.
    "Si vis pacem, para bellum"

  8. #8
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Se intendiamo la KR tedesca, direi che il fascismo non può esserne definito "figlio" per evidenti motivi: per quanto sulla sua nascita abbiano influito anche correnti culturali d'origine straniera, il fascismo è figlio del contesto storico, politico e culturale italiano e la KR si sviluppò contemporaneamente alla nascita e all'ascesa del fascismo in Germania, peraltro in maniera autonoma. Non ci può essere un rapporto di filiazione, tutt'al più di vicinanza e di affinità su alcune tematiche ed istanze, dettate dal fatto che entrambi furono fenomeni figli della "crisi" del primissimo dopoguerra. È interessante comunque notare che il fascismo, indipendentemente dalla KR tedesca, fu definito da diversi suoi esponenti un fenomeno di "conservazione rivoluzionaria" o, appunto, di "rivoluzione conservatrice".
    Riguardo invece al rapporto tra nazionalsocialismo e KR, se n'è parlato molto: punti di contatto ci furono, così come è innegabile che il clima culturale della KR abbia avuto un "peso" nell'affermazione del nazionalsocialismo, ma non è facile stabilire in quale misura. Per certi versi, il nazionalsocialismo tedesco è stato una "volgarizzazione" di alcune parole d'ordine e di determinate idee elaborate dalla KR, ma non credo che questo sia sufficiente per stabilire un rapporto di filiazione diretta fra NS e KR.
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Citazione Originariamente Scritto da Giò Visualizza Messaggio
    Se intendiamo la KR tedesca, direi che il fascismo non può esserne definito "figlio" per evidenti motivi: per quanto sulla sua nascita abbiano influito anche correnti culturali d'origine straniera, il fascismo è figlio del contesto storico, politico e culturale italiano e la KR si sviluppò contemporaneamente alla nascita e all'ascesa del fascismo in Germania, peraltro in maniera autonoma. Non ci può essere un rapporto di filiazione, tutt'al più di vicinanza e di affinità su alcune tematiche ed istanze, dettate dal fatto che entrambi furono fenomeni figli della "crisi" del primissimo dopoguerra. È interessante comunque notare che il fascismo, indipendentemente dalla KR tedesca, fu definito da diversi suoi esponenti un fenomeno di "conservazione rivoluzionaria" o, appunto, di "rivoluzione conservatrice".
    Riguardo invece al rapporto tra nazionalsocialismo e KR, se n'è parlato molto: punti di contatto ci furono, così come è innegabile che il clima culturale della KR abbia avuto un "peso" nell'affermazione del nazionalsocialismo, ma non è facile stabilire in quale misura. Per certi versi, il nazionalsocialismo tedesco è stato una "volgarizzazione" di alcune parole d'ordine e di determinate idee elaborate dalla KR, ma non credo che questo sia sufficiente per stabilire un rapporto di filiazione diretta fra NS e KR.
    Possiamo a mio avviso dire che molte idee (soprattutto quelle voelkisch) costituirono buona parte della Weltanschauung della NSDAP.

  10. #10
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    Predefinito Re: Fascismo e Nazionalsocialismo: figli della Rivoluzione Conservatrice?

    Furono senza dubbio legati a doppio filo. Poi come dice Giò che sugli aspetti storici è autorità inappellabile, l'aspetto geografico e cronologico rende impossibile un rapporto di filiazione, però vale moltissimo un rapporto di prossimità. Si respirava un clima molto particolare, cento (e ormai più) anni fa: c'era una percezione di decadenza molto più acuta di oggi, probabilmente, e allo stesso tempo montava la minaccia rossa da Oriente. La decadenza oggi ha un sapore agrodolce per la maggior parte delle persone, all'epoca era agro e basta, e si colorava di impellente e catastrofica minaccia. Sbaglia Kurtz quando afferma che il legame non c'è perchè NS e F non furono soltanto reazioni al bolscevismo, e non perchè i due furono anche altro, poichè questo è certamente vero, ma perchè anche la KR fu ben altro.
    Possiamo dire che tutti questi movimenti furono figli del medesimo "brodo primordiale", costituito da: senso di minaccia, di decadenza, di rovina; disagio socio-economico; cultura del rifiuto della modernità (nel suo senso illuministico).
    Dicono che viaggiare sviluppa l'intelligenza. Ma si dimentica sempre di dire che l'intelligenza bisogna averla già prima.-.G. K. Chesterton

 

 
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