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    Predefinito Effetto Danimarca nella gestione internazionale dell'immigrazione

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    Il mese di giugno si è aperto con l’approvazione da parte del Parlamento danese di una nuova legge sull’immigrazione. Il provvedimento ha come principale obiettivo la chiusura totale dei confini ai migranti. Infatti, per la prima volta, viene stabilito che anche un titolare del diritto di asilo deve essere accolto in un Paese terzo. Negli ultimi giorni in tanti si sono chiesti se questa norma è conforme col diritto internazionale. Una domanda derivante dalla consapevolezza che una legge del genere potrebbe scardinare l’attuale impostazione internazionale dell’accoglienza.
    Cosa ha deciso la Danimarca

    Il governo danese, lo scorso 3 giugno, ha stabilito di chiudere i propri confini con una norma che impone ai migranti di presentare la domanda di asilo in un Paese terzo ma anche che, nel caso in cui sopravvenga l’accettazione della richiesta, sia sempre il Paese terzo in questione ad accogliere il richiedente. Una modalità che corrisponde a un vero e proprio muro lungo i confini e che può creare un importante precedente in ambito internazionale.

    Un esempio per gli Stati in grado di emulare Copenaghen. La norma, nel caso danese, ha trovato ampio consenso all’interno di un Parlamento la cui maggioranza è dominata dal centrosinistra. Qui è proprio il partito socialdemocratico a premere da anni per norme sempre più stringenti sull’immigrazione, a partire dal primo ministro Mette Frederiksen. Quest’ultima si è mossa dal 2019 in poi in modo diametralmente opposto all’orientamento degli altri partiti di centrosinistra in Europa. La nuova legge è quindi stata figlia di un contesto, quale quello danese, maggiormente autonomo dal resto d’Europa e con dinamiche diverse sia sotto il profilo politico che decisionale.
    Le tappe della Danimarca nel contrasto all’immigrazione

    La spinta di Copenaghen verso più autonome politiche migratorie non rappresenta comunque una novità. La Danimarca ha iniziato da tempo un cammino politico volto a ridurre la presenza di migranti sul proprio territorio. A marzo il governo ha varato un altro provvedimento capace di far discutere. Il riferimento è alla dichiarazione relativa alla Siria, considerata adesso un posto sicuro. Un modo per non accettare altri rifugiati provenienti dal Paese arabo, provvedendo contemporaneamente al rimpatrio dei siriani accolti dopo la fuga dalla guerra. Secondo Copenaghen, il conflitto in Siria riguarda adesso soltanto poche regioni e dunque ritornare nel Paese di origine per i suoi cittadini non costituirebbe più un pericolo.

    Una posizione netta e senza mezzi termini che ha fatto sollevare le critiche da parte dell’Unione europea e dell’Onu che hanno espresso preoccupazione per la tutela dei soggetti fragili. Ma il governo è andato comunque avanti. Sulla base della nuova normativa i richiedenti asilo, siano essi siriani o di altre nazionalità, devono presentare personalmente la domanda e aspettare la risposta in un altro Paese extra europeo, il cosiddetto “Paese terzo” per l’appunto. Qui si aprono due possibilità: se la domanda viene accolta, allora il richiedente potrà rimanere nel Paese nel quale ha atteso la valutazione del suo caso; se la domanda viene respinta, scatta il rimpatrio. E la disponibilità da parte di alcuni Stati terzi pare non manchi. La Danimarca infatti ha fatto sapere di essere in trattativa con una decina di Paesi. Fra questi ci sarebbero Ruanda, Egitto, Eritrea ed Etiopia.
    “La Danimarca non viola il diritto internazionale”

    Tra i primi a reagire duramente contro l’ultima legge danese, è stato l’Alto Commissario dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati, Filippo Grandi: “Copenaghen – si legge nelle sue dichiarazioni – sta provando ad eludere le sue responsabilità, contraddicendo la lettera e lo spirito della Convenzione sui Rifugiati del 1951 e del recente Global Compact”. Il riferimento è a due documenti considerati pilastri del diritto internazionale riguardo alle politiche migratorie. Nel primo si sancisce il principio dell’obbligo di protezione dei rifugiati che si trovano all’interno del proprio territorio. Nel secondo invece, entrato in vigore nel luglio 2020, gli Stati aderenti, tra cui la Danimarca, si fanno carico di una equa ripartizione delle responsabilità di protezione internazionale. Violare lo spirito di questi due trattati, come ha dichiarato Grandi, vuol dire violare le norme e dunque porsi in una posizione di illegalità?

    “La Danimarca, ironia della sorte, è stato il primo Paese nel 1951 a ratificare la Convenzione sui Rifugiati – ha dichiarato su InsideOver una fonte diplomatica esperta di diritto internazionale – la questione è sicuramente delicata, ma si può partire da un fatto: da parte di Copenaghen non c’è una violazione del diritto”. Il perché è presto detto: buona parte dei richiedenti asilo in Danimarca sono siriani, iracheni, così come cittadini di origine curda. Copenaghen è legittimata a rifiutare la loro domanda di asilo: “Lo può fare – ha sottolineato la fonte – perché il governo non considera più i territori di origine di questi richiedenti come zone di guerra. Per le autorità danesi un soggetto che torna ad abitare nelle aree di Damasco o di Aleppo non corre alcun pericolo per la propria incolumità”. La questione semmai è più di ordine politico: “L’interpretazione data dalla Danimarca sull’attuale situazione in Siria – ha infatti concluso la fonte – potrebbe apparire un po’ rigida e forzata. Ma è una questione politica, non legale”.

    Se questa circostanza è vera per il diritto internazionale, si può dire lo stesso in ambito europeo? La Commissione nei giorni scorsi è intervenuta con una dura nota nei confronti della nuova legge danese, dando manforte alla posizione dell’Unhcr. Oltre ad esprimere preoccupazione però, Bruxelles non ha minacciato interventi. Segno di come anche su questo fronte la Danimarca forse si è mossa nell’alveo della legalità. E in effetti, a Copenaghen sui settori relativi alla Giustizia e agli Affari Interni i patti europei hanno riconosciuto quello che in gergo viene definito “opt-out”, ossia una deroga. Il governo dunque può operare con una certa autonomia rispetto ai documenti europei, limitando il raggio d’azione di Bruxelles.
    Il memorandum con il Ruanda

    La nuova legge danese per avere effetti pratici deve però essere agganciata agli accordi bilaterali con Paesi terzi. Per Copenaghen cioè è necessario sottoscrivere dei patti con i quali un determinato Paese terzo si accolla sia di ospitare i richiedenti asilo e sia gli eventuali titolari del diritto di asilo a cui la Danimarca ha chiuso i confini. Il primo passo in tal senso potrebbe essere stato rappresentato da un memorandum stretto dal governo danese con quello ruandese il 27 aprile scorso. Cinque pagine di documento con i quali sono stati delineati intendi comuni in materia di asilo e immigrazione. Sotto il profilo politico, l’accordo potrebbe essere il preludio a un’intesa più dettagliata volta a fare del Ruanda il Paese in cui accogliere i richiedenti asilo in Danimarca.

    Ed è proprio questo tipo di accordo, ancor prima che la legge danese in sé, a rappresentare un possibile precedente internazionale. Dopo Copenaghen, altri governi potrebbero muoversi in questa direzione, attuando accordi direttamente con i Paesi terzi. In tal modo verrebbe riscritta la storia degli ultimi decenni in fatto di immigrazione: l’accoglienza dei rifugiati da principio inderogabile si trasformerebbe in un mero tabù infranto e sostituito dal riposizionamento dei migranti in Paesi terzi.

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    Predefinito Re: Effetto Danimarca nella gestione internazionale dell'immigrazione

    In un mondo ideale è così che si comporta la sinistra

 

 

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