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    Predefinito M. Mazzanti (Fiamma Futura): "Fini vuole un partito leggero..."

    Fini vuole un partito leggero, leggero fino all'inconsistenza
    Pubblicato mercoledì, ottobre 06, 2010 da Fiamma Futura
    di Massimiliano Mazzanti
    Fini vuole un partito leggero, leggero fino all'inconsistenza | Fiamma Futura

    Adesso, il partito di Gianfranco Fini esiste. Non è ancora strutturato, ma ha un nome e un progetto ben preciso: Futuro&Libertà – la & commerciale è quanto di più appropriato si possa accostare al nuovo movimento – e gli interessi personali del presidente della Camera.
    Non è pregiudizio verso Fini, questo mal considerare il “neonato”, ma la logica conseguenza da trarre dalle sue prime parole sull’organizzazione che si vorrebbe dare al soggetto politico scissosi dal PdL. Fini ha detto di non voler un partito “pesante”, di non volere “colonnelli”, di non voler “ripetere gli errori di An”. Già, ma quali errori? Soprattutto, quali di quegli errori derivarono dall’attività – a lui contraria – dei “colonnelli”? Se una cosa si può rimproverare ancor oggi a Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli o Gianni Alemanno è proprio quella di essere sempre stati, alla fine, proni al volere del leader. Ci provò Francesco Storace a organizzare un po’ di dissenso, in An, ma ciò gli valse solo il divorzio da Alemanno e la successiva scelta di dividersi definitivamente dal partito che aveva contribuito a creare.
    Quando la sudditanza di Fini verso soggetti esterni ad An – che oggi sappiamo incredibilmente chi fossero –, i quali gli suggerivano di accentuare le spinte laiciste e moderniste, portarono An al disastro del referendum sulla “Legge 40”, solo Alfredo Mantovano tenne ben ritta la spina dorsale e chiese, senza tanti complimenti, a Fini di farsi da parte. Insomma, che fastidio hanno mai dato i “colonnelli” a Fini?
    La memoria non sarà dote di chi fa politica, ma nessuno ha dimenticato come, quando azzardarono qualche commento irriguardoso (a modo di vedere di Fini stesso) verso il capo, alla presenza di un giornalista mascherato da avventore di bar, Fini strigliò pubblicamente, quasi fossero scolaretti impenitenti, i suoi maggiori collaboratori, additandoli al pubblico ludibrio dentro e fuori An. Dunque, perché oggi l’ex-leader di An vuole un “partito leggero” e senza “colonnelli”?
    Perché vuole ancor meno controllo di quanto poco già ne dovesse sopportare in Alleanza nazionale. Quel controllo minimo che ha permesso a qualcuno di denunciare, per esempio, l’allegra gestione dei beni immobili e mobili del partito. Tutto per il “capo”, nessuno contro il “capo”. E “capo” è la parola giusta, per chi ha usato – tutti si arrabattano sulla casa di Montecarlo, ma il gesto peggiore è questo – la sua carica istituzionale per favorire alla Rai una società fittizia della suocera. Due milioni di euro grazie al leader di un partito che, solo qualche anno or sono, invitava la gente a non pagare il canone!
    “Capo”, dunque, ma di una “banda” che ha bisogno del potere e vuole conquistarlo senza la minima preoccupazione per i problemi e le esigenze degli italiani: poltronisti, affaristi, gente senza arte né parte che ha bisogno come dell’aria che respira di spazi istituzionali per arricchirsi alle spalle del popolo.
    Certo, anche qualche brava persona, qualcuno che ha fatto prevalere il sentimento di amicizia antica alla ragion politica, ma, nel complesso, un “lupanare partitico” della peggior specie, che riporta alla memoria quella decadente Prima repubblica che la Destra italiana aveva l’orgoglio di aver contribuito ad abbattere.
    Un partito tanto leggero che s’annuncia, appunto, inconsistente.
    Chi andrà in un tale caravanserraglio, chi darà loro la delega in bianco del voto?
    Qualcuno ci sarà pure, ma che tristezza! La grande storia del Msi e la grande speranza che fu costruita intorno ad An – la Destra dal “ghetto” al “ponte di comando” – svenduta ai personali disegni di un uomo che non prova il senso del ridicolo, quando si fa fotografare in posa regale con la “famiglia” resa ricca della mirabolanti performances sentimentali della “figlia prodigio”. Dalla tragedia alla farsa, insomma, come insegnavano i libri che non legge più nessuno, nel mondo degli I- pod, I-pad e dominato dalla canzonette. Chissà da quale si sarà fatto ispirare Fini? Forse, da quella di Claudio Baglioni, il cui ritornello suonava: “…una storia va a puttane, sapessi andarci io…”. Chissà….

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