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    Predefinito Il mondo secondo Adolf Hitler

    Un inedito progetto di trattato del 1943 fra Germania, Italia e Giappone, basato sulla teoria dei Grandi Spazi. Al centro del nuovo ordine mondiale le Comunità di Stati, ciascuna imperniata su una nazione guida. L’influenza di Karl Haushofer.

    di Mario G. Losano

    Nell’archivio del ministero degli Esteri a Berlino è conservata la bozza dattiloscritta di un trattato fra gli Stati dell’Asse: il trattato non venne mai ratificato, ma è interessante perché costituisce il tentativo di dare una forma giuridica omogenea alle conquiste territoriali dell’Asse in tutto il mondo. Di questo documento inedito del 1943 viene qui proposta la trascrizione e la traduzione [2].

    Per gli orientalisti esso presenta un duplice interesse. In primo luogo, quel progetto di trattato era una proposta per organizzare i Grandi Spazi, cioè per coordinare il Drang nach Osten del Terzo Reich con lo «spazio al sole» agognato dall’Italia e con la «grande sfera di co-prosperità est-asiatica» del Giappone [3]. In secondo luogo, esso si fondava sulla teoria tedesca dei Grandi Spazi, che a sua volta traeva ispirazione da quanto il suo fondatore – il generale e geografo bavarese Karl Haushofer (1869-1946) – aveva visto in Giappone [4].

    Gli Stati totalitari, nel realizzare i progetti dei loro Grandi Spazi, rischiavano di creare zone di sovrapposizione e quindi di entrare in conflitto fra di loro. Questo rischio era reale, perché l’estensione dei Grandi Spazi non era mai stata precisata. Così i tre Stati alleati dovevano cercare un accomodamento diplomatico, di cui il progetto di trattato qui pubblicato costituisce un tentativo.

    Il 23 febbraio 1943 il Vortragender Legationsrat Kolb aveva ultimato un progetto di trattato fra Germania, Italia e Giappone sulla configurazione dei Grandi Spazi in Europa e nella «Grande Asia Orientale» («Großostasien», nel testo tedesco). Una futura ricerca dovrebbe accertare se gli archivi italiani o giapponesi ne conservano una copia, ovvero se questa proposta di trattato è stata oggetto di qualche traduzione o commento, che spieghi ad esempio perché non si è giunti alla sua ratifica.

    Il progetto di trattato definisce i Grandi Spazi come mega-Stati (Großstaaten), distinti dai mega-popoli (Großvölker) senza qualità di Stato (art. 1).

    Seguendo il nuovo diritto internazionale proposto da Carl Schmitt (ci si tornerà nel prossimo paragrafo), i singoli Stati non sono più formalmente uguali, ma vengono organizzati in comunità all’interno delle quali uno Stato guida esercita la sua supremazia su altri Stati a sovranità limitata. La volontà di questi ultimi conta poco, perché i Grandi Spazi sono sottoposti al volere degli Stati guida o potenze guida (art. 2) e si fondano sull’accettazione dell’ideologia che regge l’intera comunità, cercando però di mantenere l’individualità nazionale (art. 6). Alle potenze guida vengono riconosciuti compiti speciali (art. 8). L’articolo 10 contiene infine una norma che dà ogni potere agli Stati guida perché, secondo quell’articolo, le misure prese dagli Stati guida durante una guerra sono necessariamente in armonia con i princìpi ispiratori del trattato.

    Partendo da questa concezione, il progetto non definisce i diritti degli Stati che fanno parte del Grande Spazio senza esserne però lo Stato guida. Secondo l’art. 9, il trattato conferisce tutti i diritti alle potenze guida, ma riconosce ai restanti Stati a sovranità limitata il diritto di denunciare il trattato stesso, uscendo così dal Grande Spazio. Ovviamente si tratta di una possibilità teorica, perché il progetto non garantisce la piena sovranità, né dice fino a che punto possa spingersi l’ingerenza dello Stato guida nei riguardi dei restanti Stati del suo Grande Spazio. Anzi, qualunque sia il tipo di ingerenza (in tempo di guerra, precisa il progetto di trattato, che è appunto del 1943), l’intervento dello Stato guida è sempre lecito in base al già ricordato articolo 10, vera e propria clausola di chiusura che legalizza ogni misura presa dallo Stato guida. In fondo, questa concezione estendeva al globo terracqueo il modo di procedere che il nazionalsocialismo aveva già adottato all’interno della Germania. Nel suo discorso del 1933 al Reichstag Hitler era stato esplicito: «Il governo del Reich prenderà tutte le misure atte a garantire, d’ora in avanti e per sempre, l’omogeneità delle intenzioni politiche nel Reich e nei Länder». Infatti l’anno dopo i parlamenti dei Länder vennero disciolti e i Länder stessi – fino ad allora Stati sovrani d’una federazione – vennero trasformati in province alle dirette dipendenze del governo centrale.

    La sensazione che oggi si ricava da questo documento è che si tratti più di un’esercitazione che di un vero e proprio strumento preparatorio per un incontro diplomatico. D’altra parte, dei Grandi Spazi si parlava e si scriveva soprattutto in termini di propaganda politica, il che non giovava certo alla precisione concettuale. Per questo Mathias Schmoeckel osserva ironicamente che i documenti ufficiali sui Grandi Spazi sembrano articoli di dottrina, e viceversa 5.

    Il fondamento geopolitico della teoria dei Grandi Spazi

    La teoria dei Grandi Spazi sorge nel contesto della geopolitica tedesca, che si era andata sviluppando soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Con Karl Haushofer (1869-1946) la geopolitica esce dall’ambito delle riflessioni politiche o accademiche per divenire una teoria che guida o giustifica l’azione politica: in particolare, quella nazionalsocialista. Per Haushofer la geopolitica è una «scienza applicata»: applicata cioè dai politici. Era quasi inevitabile che, in una vita a cavallo delle due guerre mondiali, dovessero susseguirsi luci e ombre: ombre ancora oggi non tutte diradate.

    Però Haushofer visse veramente nell’occhio del ciclone, tanto da poter essere con ragione considerato una delle figure più enigmatiche e forse una delle eminenze grigie più importanti del XX secolo. Nato da una famiglia bavarese aristocratica e conservatrice, entrò nell’esercito bavarese e intraprese anche la carriera universitaria, fino a quando venne richiamato allo scoppio della prima guerra mondiale. Due eventi influirono in modo decisivo sulla sua formazione. Sul piano scientifico, la missione in Giappone dall’ottobre 1908 al giugno 1910 impresse un particolare sigillo alla sua visione della geopolitica. La scoperta dello scintoismo come religione di Stato (Kokka Shintô), già nel corso della sua preparazione al soggiorno in Giappone, fu per lui un’illuminazione che lo accompagnò per tutta la vita. Vi scopriva la divinizzazione dei princìpi statali (la natura divina dell’imperatore colpì particolarmente Haushofer e influì nella costruzione del mito del Führer), lo stretto controllo dello Stato sulla religione (con i santuari shintô trasformati in organizzazioni governative e i sacerdoti in funzionari statali) e infine la depurazione delle tradizioni autoctone dalle influenze straniere. Sul piano politico, sin dal 1919-20 egli fu legato da una stretta amicizia con il luogotenente di Hitler, Rudolf Heß, con le cui sorti dovevano indissolubilmente – e tragicamente – intrecciarsi le vite di Karl Haushofer e di suo figlio Albrecht. Dopo il fallito colpo di Stato del 1923 a Monaco, Heß si rifugiò per qualche tempo nella casa di Haushofer, che lo convinse a costituirsi. Imprigionato con Hitler nella vicina città di Landsberg, Heß ricevette regolarmente le visite di Haushofer, che portava a lui e a Hitler i libri su cui stava prendendo forma il primo volume di Mein Kampf, e discuteva con loro i problemi (geo)politici e la ricostituzione del movimento nazionalsocialista, da affrontare dopo la carcerazione. Haushofer, dunque, fu «maestro di Heß e, quindi, anche di Hitler»6.

    Nel 1919 Karl Haushofer si ritirò dall’esercito col grado di generale e si dedicò alla cattedra di geografia, ottenuta presso l’Università di Monaco con due libri nati dal suo soggiorno giapponese7. Il trattato di Versailles privava la Germania di una parte del territorio essenziale per la sua sopravvivenza come grande potenza. Il dibattito sullo «spazio vitale» divenne perciò politicamente centrale e in esso la «geopolitica » andò assumendo un peso crescente, fino a presentarsi come la chiave di volta dell’ideologia ufficiale nello Stato nazionalsocialista8. È in questa atmosfera che l’ex generale Karl Haushofer e le sue teorie uscirono dalle aule universitarie per entrare nelle stanze del potere.

    Alla base della sua visione del futuro ordine mondiale sta la contrapposizione fra terra e mare, che equivale alla contrapposizione tra Europa continentale e mondo anglosassone. La storia universale esprimeva perciò l’ininterrotto conflitto tra potenze marittime e potenze terresti, mentre gli Stati situati sulla linea di confine di questi blocchi in lotta erano destinati a un’eterna instabilità, a meno che non si organizzassero in grandi «panregioni», fondate su una «panidea»9.

    Le panidee intorno a cui si sarebbe organizzato il mondo erano il panasiatismo (propugnato e praticato dal Giappone), il panislamismo (cui allora si dedicò scarsa attenzione, a differenza di quanto avviene oggi), il panamericanismo (identificato con la dottrina Monroe) e infine, naturalmente, il paneuropeismo. Sulla base di questa visione Haushofer proponeva di creare alcune grandi aree di dimensioni continentali che, da Nord a Sud, comprendessero ciascuna una zona artica, una temperata e una tropicale. Questo avrebbe permesso a ogni panregione di essere autosufficiente: appare qui il concetto di «autarchia» (autarké, non autarché), che avrebbe trovato applicazione anche nell’Italia fascista. Ogni panregione sarebbe stata costituita da Stati periferici, fornitori di materie prime, e da uno Stato guida: nella panregione americana, gli Stati Uniti; in quella asiatica, il Giappone; in quella europea, la Germania. È questa la concezione delle «potenze guida» o degli «Stati guida» che si ritrova nel progetto di trattato qui pubblicato. L’espansione territoriale delle potenze dell’Asse, soprattutto nell’epoca dei maggiori successi (cioè fino quasi al termine del 1942), spingeva i giuristi a disegnare un nuovo diritto internazionale che tenesse conto del «nuovo ordine» che si andava instaurando in Europa e in Asia. L’assetto giuridico internazionale del nazionalsocialismo fu elaborato da Carl Schmitt (1888-1985), il «giurista della corona» di quegli anni. Il richiamo di Carl Schmitt alla geopolitica di Haushofer è diretto10.

    Intanto, sotto la pressione ideologica del nazionalsocialismo, la geopolitica andava assumendo connotati sempre più razziali11, in contrasto con la visione deterministico-biologica di Haushofer. Tuttavia, nel conflitto tra sapere e potere, Haushofer si lasciò irretire dal potere.

    Al momento della loro enunciazione le panregioni erano ancora in larga misura teoriche, quindi le suddivisioni cartografiche erano approssimative e mutevoli. La stessa indeterminatezza spaziale aveva caratterizzato la dottrina Monroe fin dalle origini. Poiché l’autarchia aveva anche il fine di evitare conflitti economici, che sarebbero sfociati in guerre, il nazionalsocialismo propugnò l’idea di quattro «grandi aree economiche»: l’Eurafrica; l’Australasia; le Americhe e l’Unione Sovietica. Quest’ultima però, nella cartografia diffusa dalla propaganda nazionalsocialista, scomparve dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa nel giugno 1941, cioè con l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. Cadeva così anche il progetto di alleanza russo-tedesca sostenuto da Haushofer12.

    Nel 1941 – già prima dell’operazione Barbarossa – Haushofer abbandonò il modello delle panregioni per immaginare un mondo bipolare in funzione antibritannica. Al blocco anglo-americano si sarebbe dovuta contrapporre una grande area dalla Germania al Giappone: questi due Stati avrebbero costituito le due agguerrite estremità poste a difesa di un pacifico territorio che comprendeva l’Europa centrale e l’Unione Sovietica.

    Poiché il trattato tedesco-sovietico di Monaco era ancora in vigore, la concezione di Haushofer prevedeva l’unione volontaria delle entità statali comprese nel «blocco continentale» che andava dalla Germania al Giappone; ma questa sua costruzione venne spazzata via dall’invasione dell’Urss. L’elemento della volontarietà ritorna esplicitamente anche nelle procedure che il progetto di trattato prescrive per la formazione delle Comunità di Stati. Ritorna però con una valenza puramente propagandistica: la partecipazione della Polonia al Grande Spazio tedesco o del Sud-Est asiatico al Grande Spazio giapponese non può certo dirsi «volontaria».

    A partire dall’invasione dell’Urss, la dottrina geopolitica e la persona di Haushofer andarono progressivamente perdendo importanza, anche perché il 1941 fu per Haushofer un susseguirsi di eventi negativi. Mentre cadeva la sua teoria del blocco continentale, nel maggio 1941 il suo protettore politico Rudolf Heß compiva l’ancora enigmatico volo in Scozia. In conseguenza di ciò, Karl Haushofer dovette rinunciare a tutti gli incarichi ufficiali e si ritirò nella campagna bavarese. Suo figlio Albrecht, che ne aveva seguito le orme come geopolitico e come ambiguo seguace del nazionalsocialismo, venne arrestato dopo il volo di Heß, ma poi rilasciato.

    Padre e figlio dovevano concludere tragicamente la propria vita. Dopo la fine della guerra, Karl Haushofer venne interrogato dagli alleati sui suoi trascorsi nazionalsocialisti, ma non fu possibile dimostrare un suo diretto coinvolgimento in attività criminali che lo avrebbero portato davanti al Tribunale di Norimberga. Venne quindi rilasciato, ma si suicidò, insieme con la moglie, nel 1946. Suo figlio Albrecht venne ucciso nel 1945, mentre lasciava la prigione del quartiere berlinese di Moabit.



    Una rivista degli Stati dell’Asse

    Per avere un’idea «autentica» dei rapporti internazionali durante la seconda guerra mondiale può essere utile scorrere una rivista di propaganda destinata ai tre Stati dell’Asse, anche se in realtà diretta a un pubblico prevalentemente tedesco: infatti gli articoli di Berlin Rom Tokio – questo il titolo della rivista – sono prevalentemente in tedesco, con non poche traduzioni in italiano e con qualche sporadica riproduzione in giapponese di brevi messaggi ufficiali13.

    La firma di Haushofer appare sin dalla prima annata. Per spiegare i fondamenti del Patto tripartito, egli mette in rilievo i parallelismi che, fin dai tempi antichi, avrebbero accomunato il Giappone e la Germania. Il Mar Baltico e il Mar del Giappone – sostiene – hanno subìto vicende storiche così simili, che «il loro sviluppo geopolitico dovrebbe veramente far parte dell’educazione geografico-politica»; infatti i popoli che si affacciano su di essi hanno vissuto quello che «Ratzel chiama il massimo che si possa dire intorno a gruppi di popoli: il modo in cui essi si muovono dall’interno verso la costa, verso il mare e verso la costa opposta»14. Questi presunti parallelismi sono un tema ricorrente nella rivista15.

    I temi politici dei Grandi Spazi sono affidati ai protagonisti. Il ministro degli Esteri von Ribbentrop afferma che al Patto tripartito (firmato a Berlino il 27 settembre 1940) «spetta il compito di assicurare, sotto la comune guida della Germania e dell’Italia, il nuovo ordinamento nelle parti dell’Europa attualmente in guerra, come pure di assicurare, sotto la guida del Giappone, il nuovo ordinamento nello spazio della Grande Asia». Esso deve garantire «un ordine giusto» nello spazio della Grande Asia; e lo Stato che vi si opponesse «si troverà di contro le forze strettamente unite dei tre popoli»16.

    Il suo omologo Matsuoka Yosoke si richiama agli ideali di supremazia imperiale del Giappone (proprio quelli che, decenni prima, avevano impressionato Haushofer) e ricorda che i giapponesi hanno «nel cuore l’ideale del Hakko Ichiu da 26 secoli»: gli «otto angoli del mondo sotto un solo tetto» (Hakko Ichiu) sono un’immagine tratta dall’antica tradizione giapponese che i nazionalisti più estremi usavano per indicare l’unità del mondo sotto l’egemonia del Giappone17.

    Non solo lui stesso, ma tutti i giapponesi, affermava, consideravano il Patto tripartito come l’occasione per rinverdire l’ideale del Hakko Ichiu e per «iniziare a realizzarlo nel nostro spazio, nella Grande Asia Orientale (Groß-Ostasien)»18.

    I tedeschi sottolineano che «l’idea giapponese di un Grande Spazio nell’Asia orientale trovò comprensione in Germania prima che in ogni altro paese»19: affermazione non soltanto dettata dalle esigenze della propaganda, ma fondata anche sull’apporto di Haushofer, che indubbiamente contribuì già negli anni Venti a diffondere tra i tedeschi il pensiero nazionalista giapponese.

    Le aspirazioni ai Grandi Spazi vengono riconosciute dal Patto tripartito, in cui si stabilisce che «il Giappone riconosce e rispetta il compito direttivo dell’Italia e della Germania nello stabilire un nuovo ordine in Europa» (art. 1), mentre, a loro volta, «l’Italia e la Germania riconoscono e rispettano il compito direttivo del Giappone nello stabilire un nuovo ordine nella Grande Asia Orientale» (art. 2)20.

    Nella rivista, l’importanza dell’espansione giapponese in Asia è sottolineata da più articoli che illustrano tanto i suoi successi bellici, quanto le misure adottate per organizzare i territori di recente conquista.

    Dopo l’attacco di Pearl Harbor, l’editoriale accusa anzitutto gli americani: «Roosevelt è l’autore ultimo di questa guerra e agisce su incarico del giudaismo mondiale»21.

    Un altro articolo riecheggia nel titolo e nel testo il motto della dottrina Monroe, «L’America agli americani»: la finalità del Patto tripartito, vi si afferma, è «la sconfitta dell’anarchia internazionale (predicata da ebrei, bolscevichi e plutocrati) con la costruzione di grandi spazi chiusi, secondo il principio: l’Europa agli europei, l’Asia orientale agli asiatici orientali» 22 .

    Questo disegno si stava avverando, perché, con la vittoria di Pearl Harbor, «il Giappone è in grado di condurre a termine, come previsto, le sue operazioni terrestri per il dominio dell’intero spazio dell’Asia orientale, al riparo da ogni seria minaccia. Con la realizzazione del dominio giapponese sullo spazio dell’Asia orientale il Giappone si appropria delle più ricche fonti di materie prime del mondo»23.

    Però, dopo la conquista militare di queste fonti di approvvigionamento, bisognava riorganizzare la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e materie prime sino ad allora tradizionalmente diretti verso gli Stati Uniti e l’Europa24.

    A questo fine venne istituito il ministero per la Grande Asia Orientale, che incorporò i precedenti uffici settoriali, cioè l’Ufficio coloniale per Formosa (1929), per il Manchukuo (1933) e l’Ufficio per la costruzione asiatica (Cina, 1938), nonché due sezioni del ministero degli Esteri, quella per l’Asia orientale e quella per i mari del Sud25.

    L’istituzione del nuovo ministero creò non poche sovrapposizioni con le competenze del ministero degli Esteri e generò una faida tra i due che durò sino alla fine della guerra.

    Il Giappone assume quindi le funzioni di Stato guida secondo la dottrina dei Grandi Spazi: «La “Sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale”», scrive il direttore dell’istituto culturale tedesco a Tokyo, «cioè la visione giapponese dello spazio nella Grande Asia Orientale, si presenta come una Comunità di Stati confinanti, che si completano organicamente dal punto di vista economico, che vivono liberi dallo sfruttamento intruso ( raumfremd ) e che vogliono costruire nei loro spazi l’ordine che ritengono opportuno. Come protettore di questo ordine della Grande Asia Orientale è chiamato il popolo» del Giappone26; e, naturalmente, anche il corrispondente ministero.

    Le tappe di questa espansione vengono presentate come un’incontenibile serie di successi: «Il 1943 è l’anno dei massimi successi politici del Giappone in Asia orientale. Con la precisione di un orologio il Giappone ha mantenuto le promesse politiche fatte ai popoli dell’Asia orientale. Le concessioni ritornano sotto la sovranità della Cina; le Filippine divengono indipendenti. La Birmania, territorio di guerra, diviene uno Stato indipendente. L’esercito di liberazione indiano scende in campo in Thailandia e in Birmania con il pieno appoggio del Giappone»27 (p. 12).

    Ma i messaggi trionfali non possono ormai trarre in inganno sul reale andamento della guerra e, nel 1944, un articolo pone il più drammatico degli interrogativi: «Fine dell’Europa?»28. Lo sguardo si sposta ormai dai Grandi Spazi mondiali al territorio patrio minacciato. Ma anche nel disfacimento del 1944, anche nella prospettiva della riorganizzazione europea che dovrà seguire all’inevitabile sconfitta, la Germania continua ad essere vista come lo Stato guida: «L’Europa non può vivere senza Germania». L’ultima conseguenza del Reich schmittiano è il crollo dell’Europa insieme con la Germania: se si arresta il cuore, cioè la Germania, muoiono le membra, cioè la Bulgaria, la Romania, la Finlandia e così via.

    Accanto all’idealizzazione del regime che finiva, andava prendendo forma la previsione di una divisione della Germania in «zone», come effettivamente avvenne. Prima del crollo, constata l’articolo, «non c’era lusso, ma c’era cibo e lavoro per tutti»; e prosegue: «Questo era l’ordine tedesco, e lo è ancora. L’ordine è sempre meglio di un’anarchia popolare, come si vede oggi in Italia, dove nessuno è in grado di mantenere l’ordine».

    Può darsi che questa nostalgia per la vita sotto il nazionalsocialismo non fosse pura propaganda, se la si riferisce esclusivamente alla vita dei tedeschi ariani: un recente e discusso studio documenta infatti come Hitler avesse cercato di far gravare le spese belliche in primo luogo sugli Stati conquistati (i sacrifici che il trattato qui pubblicato chiede esplicitamente al n. 3 della Dichiarazione finale), sugli ebrei e sui lavoratori forzati, in secondo luogo sui ceti più abbienti e solo in ultima istanza sulle classi popolari29.

    In questo modo, solo un terzo dei complessivi gravami economici sarebbe ricaduto sui tedeschi. Anche se ora non è possibile seguire il dibattito che sta accompagnando questa analisi economica, va sottolineato che essa contribuisce a spiegare perché il popolo tedesco abbia resistito sino all’ultimo minuto della seconda guerra mondiale, invece di desistere come era avvenuto – per stanchezza, disoccupazione e fame – alla fine della prima guerra mondiale. Ma torniamo alla rivista dell’Asse, ormai al suo ultimo numero.

    La guerra sarebbe terminata con uno smembramento della Germania, prevedeva l’autore, così come era avvenuto per l’Austria-Ungheria dopo la prima guerra mondiale, con le tragiche conseguenze a tutti note. Poiché «un’Europa divisa in zone equivale a nessuna Europa», non restava che sperare nella conservazione del popolo tedesco e del Reich: solo così si sarebbe aperta all’Europa, dopo la fine della guerra, «una nuova fase grandiosa» nelle relazioni tra i suoi popoli. In conclusione, anche nel momento della disfatta era difficile staccarsi dalla visione dello Stato guida e dei Grandi Spazi30.

    Il Giappone si trovava in una situazione simile a quella tedesca: persi ad uno ad uno gli Stati dell’«area di co-prosperità», continuò da solo la guerra sino alla sua tragica conclusione.

    Carta selezionata da Edoardo Boria
    Carta selezionata da Edoardo Boria

    La lingua del progetto di trattato del 1943

    Il linguaggio delle dittature presenta delle peculiarità che, dopo la caduta del regime, rischiano di essere dimenticate. Questa rimozione è particolarmente vera per il periodo nazionalsocialista e, oggi, essa può ostacolare la comprensione dei testi di allora perché – in quei fatali dodici anni – vennero stravolti molti termini politici che erano stati usati prima e che tornarono ad essere usati poi.

    Allo stravolgimento linguistico della dittatura Victor Klemperer aveva dedicato nel 1946 il libro Lingua Tertii Imperii, raccogliendo dai suoi diari le pagine che si riferivano alla lingua della Germania nazista. Finita la guerra, egli sentiva che ogni espressione propria di quel regime era «sparita assieme alla situazione che l’aveva prodotta»31.

    D’altra parte, era necessario non dimenticare l’origine di quelle espressioni che continuavano a essere correnti, perché «il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente»32. Bisognava dunque non dimenticare l’origine di quelle parole perché in esse si perpetuava il germe del nazismo.

    Due anni dopo Klemplerer, Orwell pubblicava la sua dis-utopia 1984, nella quale la dittatura del Grande Fratello usa la «neolingua» per formulare gli slogan aberranti del «bispensiero» dittatoriale: «La guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza». Il lettore odierno, specie se giovane, è portato a immaginare che questi artifici verbali siano soltanto un ingrediente del romanzo utopico.

    Orwell invece aveva ben presente la realtà degli anni Trenta e quindi anche il linguaggio della propaganda d’ogni dittatura: «Fine della neolingua era (…) soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Era sottinteso come, una volta che la neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’archelingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (cioè un pensiero in contrasto con i princìpi del socialismo inglese) sarebbe stato letteralmente impensabile» 33 .

    Né gli Stati in guerra descritti in 1984 sono diversi dai vasti agglomerati degli Stati esistenti durante la seconda guerra mondiale (essi sono, in altre parole, Grandi Spazi); né le torsioni violente cui la «neolingua» sottopone il linguaggio corrente sono un puro espediente letterario: per rendersene conto basta leggere il progetto di trattato qui riprodotto, dove «libertà», «sovranità», «amicizia», «prosperità», «indipendenza» significano il loro esatto contrario.

    Per questo può ora essere utile richiamare l’attenzione del lettore su alcuni punti specifici del testo, nei quali dei termini politici apparentemente familiari sono usati in modo distorto.

    Il preambolo afferma la «necessità storica di trasformare i Grandi Spazi in comunità internazionali di tipo nuovo e con una propria personalità giuridica». Il Grande Spazio, inteso come insieme di uno Stato guida e più Stati a sovranità limitata, avrebbe dovuto divenire un soggetto con una sua personalità giuridica. Alla distinzione classica fra Stato nazionale e comunità internazionale di Stati paritetici si aggiungeva così un terzo elemento: la Comunità di Stati, meno unitaria dello Stato nazionale, ma più coesa e gerarchica della comunità internazionale.

    Di conseguenza, accanto alla dicotomia tradizionale fra diritto nazionale e diritto internazionale, avrebbe dovuto porsi come terza categoria un non meglio precisato «diritto comunitario».

    Oggi quest’ultimo termine indica il diritto dell’Unione Europea. Indubbiamente v’è qualche assonanza fra la concezione dittatoriale dei Grandi Spazi e le concezioni federalistiche del dopoguerra, poiché entrambe fanno riferimento a strutture sovranazionali: ma le somiglianze finiscono qui.

    Le dissonanze sono invece ben maggiori, e riguardano i punti centrali dei due tipi di unione: il Grande Spazio viene imposto attraverso l’espansione bellica, mentre la comunità postbellica si forma attraverso trattati internazionali. Tuttavia non sono mancati avversari dell’unificazione europea che hanno presentato quest’ultima come la tardiva e indiretta realizzazione del progetto di Grande Spazio34.

    L’«unione volontaria» di cui parla l’art. 1 è puramente teorica, perché si manifesta dopo la formazione dei Grandi Spazi, cioè dopo la conquista di uno Stato e do­po la formazione di un suo governo conforme alle esigenze del conquistatore, divenuto Stato guida.

    Nella traduzione, per sottolineare il carattere giuridicamente autonomo dell’organizzazione comunitaria di un Grande Spazio, ho connotato con la maiuscola il termine «Comunità di Stati». Si noti che, nella filosofia politica e sociale tedesca, il termine «comunità» (Gemeinschaft, come portatrice della Kultur), si contrappone alla «società» Gesellschaft, come portatrice della Zivilisation).

    La nozione di comunità è un concetto chiave del romanticismo tedesco, carico di valori emotivi e irrazionali. Esso venne ripreso dal nazionalsocialismo, che immaginava la comunità del popolo ariano come unificata da un’aspirazione sovrindividuale verso il bene comune della comunità stessa: a ciò si riferisce il «comune sentire» (che ritorna nell’art. 6 e nel n. 7 della Dichiarazione finale del progetto di trattato) e il superamento dell’elemento individuale che, nell’art. 5, impone il prevalere del bene della Comunità di Stati sul bene del singolo Stato, cioè la «libera rinuncia da parte d’ogni membro della Comunità a far prevalere il proprio interesse a detrimento di quello di un altro».

    Il fondamento di una Comunità di Stati è indeterminato, perché – come afferma il preambolo – «deve avvenire secondo princìpi chiari, generalmente riconosciuti, etici e giuridici»: questi punti di riferimento sono ben più vaghi e mutevoli degli articoli di un trattato internazionale stipulato fra Stati paritetici, specie se a determinare i princìpi, l’etica e il diritto è lo Stato guida, e se lo Stato guida è una dittatura nazifascista.

    Il preambolo e l’art. 1 indicano come obiettivo della Comunità che nasce da un Grande Spazio la difesa da influenze o «potenze intruse»: è questo il termine usato nelle traduzioni italiane coeve per tradurre «raumfremd», cioè «estraneo allo spazio». Il vocabolo tedesco è altamente evocativo, perché la parola «spazio» (Raum) richiama un concetto chiave della dottrina nazionalsocialista: quello di «spazio vitale» (Lebensraum), che va conquistato con la guerra e consolidato con la formazione di un Grande Spazio e della corrispondente Comunità di Stati.

    I Grandi Spazi si estendevano anche a territori che erano stati colonie: di qui le affermazioni secondo cui le potenze guida aiutano «i popoli cui finora è stato negato uno Stato proprio (…) a creare i presupposti per raggiungere la propria indipendenza statale» (art. 4). Il termine «indipendenza» indica soltanto che quel popolo passa dalla dominazione della potenza coloniale alla soggezione allo Stato guida.

    In proposito è significativo il punto 6 della Dichiarazione finale: «Nell’attuale guerra le potenze guida liberano tutti i popoli dei Grandi Spazi dal timore dell’oppressione da parte di potenze e influenze intruse»: «intruse» sono la Gran Bretagna e la Francia; anzi, questa estromissione avrà carattere definitivo, poiché per gli Stati guida quell’«allontanamento costituirà anche in seguito il loro precipuo compito nell’ambito della Comunità di Stati».

    Gli articoli da 2 a 5 asseriscono che i trattati internazionali sono il fondamento della Comunità di Stati all’interno di un Grande Spazio. Ma i termini, anche se sono uguali a quelli usati nel diritto internazionale classico, hanno un significato di­verso, perché le parti contraenti non sono paritetiche.

    La procedura indicata nel progetto di trattato esprime questo rapporto gerarchico: gli Stati guida stipulano «trattati bilaterali o plurilaterali» con gli Stati indipendenti; dai trattati «viene sviluppato organicamente il futuro statuto del Grande Spazio» («organico» è un altro termine, tanto frequente quanto oscuro, tipico della dottrina nazionalsocialista, anche se ad essa anteriore).

    Infine, la struttura della Comunità dovrà essere conforme «alle concezioni politiche delle potenze guida» e godere «della fiducia dei membri della Comunità» (art. 2), quindi anche dello Stato guida. In questo contesto, i termini «libertà» (art. 1 e 8), «parità di diritti» (art. 5), «autonomia» e «sovranità» (art. 8), «comunità di popoli liberi» e «Stati autonomi» (Dichiarazione finale, punto 1) hanno un significato radicalmente diverso da quello tradizionale.

    Nell’art. 6 la traduzione non può rendere alcune accezioni del linguaggio nazionalsocialista. All’interno della Comunità di Stati, il «comune sentire» che ne costituisce il cemento «è il riconoscimento e il rispetto globale tanto della specificità e dell’autonomia, quanto della vita culturale popolare di tutte le entità popolari comprese nel Grande Spazio». La «vita culturale popolare» (völkisch-kulturelles Leben) e le «entità popolari» (Volkspersönlichkeiten) si riferiscono alla concezione razziale nazionalsocialista.

    Oggi l’aggettivo « völkisch » non è più usato, a meno che non ci si voglia riferire alla concezione nazionalsocialista del popolo e della razza. In sintesi, quindi, il comune sentire deve fondarsi sull’ideologia dello Stato guida (cioè, come si è visto, sulla conformità alle «concezioni politiche delle potenze guida », art. 2) e, in particolare, sulle peculiarità razziali.

    In conclusione, il progetto di trattato si presenta come una magna charta per le colonie della Germania in Europa, dell’Italia nel Mediterraneo e in Africa e del Giappone in Asia, nel contesto del nuovo ordine mondiale promosso dal Reich millenario e destinato a scomparire con esso.

    Note:

    1. Diario del 24 febbraio 1934: V. KLEMPERER , Tagebücher 1933-1934 , Herausgegeben von Walter Nowojski unter Mitarbeit von Hadwig Klemperer, Berlin 1999, Aufbau Taschenbuchverlag, p. 93.

    2. Politisches Archiv des Auswärtigen Amts, Nachlass Cécil von Renthe-Fink, Bd. 12 (unpaginiert), Teil 2 h ; la prima menzione di questo progetto di trattato è in M. S CHMOECKEL , Die Großraumtheorie. Ein Beitrag zur Geschichte der Völkerrechtswissenschaft im Dritten Reich, insbesondere der Kriegszeit , Berlin 1994, Duncker & Humblot, pp. 246 ss.

    3. I rapporti fra la teoria dei Grandi Spazi e il Giappone sono trattati per esteso in M.G. LOSANO, La teoria nazionalsocialista dei «grandi spazi» dall’Europa al Giappone , Associazione italiana per gli studi giapponesi , atti del XXVIII convegno di studi sul Giappone, Milano, 16-18/9/2004, Venezia 2005, pp. 115-130.

    4. Un’esposizione più completa della geopolitica tedesca si trova nel mio scritto «La geopolitica nazionalsocialista e il diritto dei “grandi spazi”», Materiali per una storia della cultura giuridica , n. 1/2005, pp. 5-65. Sulla diffusione del nazifascismo in Sudamerica e sull’applicazione della dottrina dei Grandi

    Spazi a quel continente, cfr. M.G. LOSANO , «Um recente livro brasileiro sobre as tensões entre Brasil e Argentina na época das ditaturas européias», Política Externa (São Paulo), n. 4/2005 e, con riferimento a tempi più recenti, M.G. LOSANO , «Diritto e potere: la geopolitica brasiliana negli anni del governo militare (1964-1984)», in H. TAVORA TÔRRES (a cura di), Direito e poder nas instituições e nos valores do público e do privado . Estudos em homenagem a Nelson Saldanha , São Paulo, 2005, pp. 64-104; M.G. L OSANO, «La geopolitica brasiliana negli anni del governo militare (1964-1984)», Teoria Politica, n.

    1/2006, pp. 31-55.

    5. M. SCHMOECKEL, op. cit., p. 247.

    6. B. HIPLER , Hitlers Lehrmeister: Karl Haushofer als Vater der NS-Ideologie , St. Ottilien 1996, EOS Verlag, p. 108.

    7. K. HAUSHOFER , Dai Nihon. Betrachtungen über Groß-Japans Wehrkraft, Weltstellung und Zukunft , Berlin 1913, Mittler & Sohn. Il sottotitolo indica i temi che entusiasmarono Haushofer: «Considerazioni sulla forza militare del Grande Giappone, sulla sua posizione nel mondo e sul suo futuro». Inoltre Grundrichtungen in der geographischen Entwicklung des japanischen Reiches (1854 bis 1919) , München 1919, Bieler, (scritto per la Habilitation all’Università di Monaco di Baviera nel 1919); ID ., Das Japanische Reich in seiner geographischen Entwicklung , Wien 1921, Seidel (rielaborazione dello scritto del 1919).

    8. Un’analisi della reale politica del Grande Spazio in Europa è in G. CORNI , Il sogno del «grande spazio ». Le politiche d’occupazione dell’Europa nazista , Roma-Bari 2005, Laterza.

    9. K. HAUSHOFER, Geopolitik der Pan-Ideen, Berlin 1931, Zentralverlag. Le idee totalitarie di Haushofer si incrociano qui con quelle di uno dei padri del federalismo europeo: è infatti al conte austro-ungarico Richard Coudenhove-Kalergi (1894-1972) che risale il concetto di «pan-idea» e, in particolare, di «Paneuropa» ( Pan Europa , Wien 1923, Pan Europa Verlag; ed. ingl. New York 1926, Knopf). Haushofer frequentò Coudenhove-Kalergi e la sua cerchia dopo la prima guerra mondiale. In questi due personaggi si intrecciano, ma non si incontrano, l’idea di unione federale e quella di unione imperialistica dell’Europa: «Non abbiamo nulla a che fare con la “Paneuropa” di Coudenhove-Kalergi», scrive Haushofer in un violento articolo del 1926 ( Oberland. Ziele und Wege des Bundes Oberland e.V. , München 1926, p. 7).

    10. Fin dalle prime pagine del suo testo del 1939 sui Grandi Spazi Carl Schmitt ricorda come lo spazio, il suolo, il territorio sia stato presente, almeno in certa misura, già nelle dottrine internazionalistiche del XIX secolo, e prosegue: «Alcuni dei suoi argomenti e dei suoi punti di vista oggi si manifestano a noi con un significato nuovo, alla luce della nuova scienza geopolitica, sotto la guida di Karl Hausho-

    fer »: C. SCHMITT , Völkerrechtliche Großraumordnung mit Interventionsverbot für raumfremde Mächte. Ein Beitrag zum Reichsbegriff im Völkerrecht , Deutscher Verlag, Berlin-Leipzig-Wien 1939, pp. 14 ss. Lo scritto cui si riferisce Schmitt è K. HAUSHOFER , Grenzen in ihrer geographischen und politischen

    Bedeutung , Berlin 1927, Grunewald.

    11. Il partito nazionalsocialista aveva creato già nel 1932 una «Arbeitsgemeinschaft für Geopolitik», la cui propensione al razzismo generò la polemica «Rasse gegen Raum» (M. BASSIN , «Race contra Space: The Conflict between German “Geopolitik” and National Socialism», Political Geographical Quarterly , n. 6/1987, pp. 115-134; R. HENNIG , «Geopolitik und Rassenkunde», Zeitschrift für Geopolitik , n. 13/1936, pp. 58-63. Questo gruppo si dissolse nel 1941. La Zeitschrift für Geopolitik (pubblicata dal 1924 al 1944, e diretta dal 1934 da Karl Haushofer) fu l’organo su cui scrissero tutti i geopolitici tedeschi: qui venne pubblicata – su invito di Haushofer – anche la critica alla geopolitica tedesca scritta dall’allora marxista Karl Wittfogel. Nel 1934-44 venne usata dai nazionalsocialisti come strumento di propaganda all’estero. Nel contesto della guerra fredda, la testata ritornò dal 1951 al 1968 in funzione antisovietica, ma ebbe scarsa diffusione.

    12. Fu questa una delle fratture tra la dottrina geopolitica di Haushofer e la prassi politico-militare del governo tedesco. Prima dell’operazione Barbarossa, sulla base del patto di non aggressione del 1939, l’atteggiamento ufficiale tedesco (e quello di Haushofer) consisteva nel seguire la stessa linea politica rispetto agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica: si doveva cioè impedire loro ogni ingerenza nell’Europa.

    13. Berlin Rom Tokio. Monatschrift für die Vertiefung der kulturellen Beziehgungen der Völker des weltpolitischen Dreieck (col sottotitolo: «Rivista mensile per lo sviluppo dei rapporti culturali tra i popoli del triangolo Berlino-Roma-Tokio pubblicata sotto gli auspici del ministro degli Esteri del Reich», che era allora Joachim von Ribbentrop). Venne pubblicata dal 15 maggio 1939 all’agosto del 1944, quando, nel n. 5, annunciò la «sospensione momentanea» delle pubblicazioni.

    1 4. K . H AUSHOFER , «Deutsch-japanische Parallelen» («Paralleli tedesco-giapponesi»), Berlin Rom Tokio , n. 3/1939, pp. 30 ss.

    15. C fr. a d e sempio l ’articolo d el r ettore d ell’Università d i B erlino: W . H OPPE , «Karl der Große – ein Wegbereiter der Europäischen Idee» («Carlo Magno, antesignano dell’idea europea»), Berlin, Rom Tokio , n. 4/1942, p. 6; nessun parallelo con Hitler, però: siamo in presenza di un moderato articolo di d ivulgazione s torica; n on d iverso è K . B RANDI, «Die Europa-Idee im Zeitalter Karls V», Berlin Rom Tokio , n. 9/1943, p. 13 e p.

    16. 16. Berlin Rom Tokio , n. 10/1940, p. 6.

    17. M . J . M AYO (a cura di), The Emergence of Imperial Japan. Self Defence or Calculated Aggression?, Lexington MA 1970, Heath.

    18. Berlin Rom Tokio , n. 10/1940, p. 10; testo anche in giapponese.

    19. H.G. VON STUDNITZ, «Japan Aussenpolitische Wende» («Il cambiamento della politica giapponese»), Berlin Rom Tokio , n. 1/1941, p. 15.

    20. Berlin Rom Tokio , n. 10/1940, p. 12; l’intero n. 10 è dedicato al Patto tripartito.

    21. ANONIMO , «Europa den Europäern, Ostasien den Ostasiaten», Berlin Rom Tokio , n. 1/1942, p. 3 (trad. it., p. 18). I risultati positivi del primo anno dall’entrata in guerra del Giappone contro gli Usa sono descritti dall’ammiraglio Suetsugu, «Ein Jahr Krieg in Großostasien» («Un anno di guerra nell’Oriente asiatico »), Berlin Rom Tokio , n. 1/1942, pp. 6-7. Cfr. anche F.A. U RACH , «Japan durchbricht die Einkreisung» («Il Giappone spezza l’accerchiamento») [«Gegen den Amerikanisch-englischen Imperialismus – Endgültige Sicherung des großostasiatischen Raumes»], Berlin Rom Tokio , n. 12/1941, pp. 9-10.

    22. ANONIMO, op. cit., p. 4.

    23. Ibidem .

    24. WOHLTAT, «Großostasien gewinnt Gestalt» («Nuova configurazione dell’Asia orientale»), Berlin Rom Tokio , n. 7/1942, pp. 6-7.

    25. SH. HASEGAWA, «Ordnungszentrale eines neuen Riesenraumes» («Centro organizzativo di un nuovo immenso spazio»), Berlin Rom Tokio, n. 2/1943, pp. 6- 8 (solo in tedesco).

    26. W. DONAT , «Großostasien gewinnt Gestalt», Berlin Rom Tokio , n. 9/1943, pp. 4-5 (solo in tedesco).

    27. F.A. URACH , «Ein Reich entsteht», Berlin Rom Tokio , n. 2/1944, p. 12.

    28. H.G. VON STUDNITZ , «Das Ende Europas?», Berlin Rom Tokio , n. 5/1944, p. 12.

    29. G. ALY, Hitlers Volksstaat. Raub, Rassenkrieg und nationaler Sozialismus, Fischer, Frankfurt a. M. 2005. Questo libro cerca di rispondere al quesito: «Com’è stato possibile che la classe dirigente tede-

    sca sia riuscita a mantenere sempre stabile l’umore della popolazione?». Cfr. l’intervista di F. AUGSTEIN all’autore: «Alles für die Kartoffelkäfer. Ein Gespräche mit Götz Aly über den “Volksstaat”», Süddeutsche Zeitung , 15/3/2005, p. 15. Questa intervista risponde alle critiche di Adam Tooze, storico dell’economia dell’Università di Cambridge, TAZ , 12/3/2005, il cui scritto era stato a sua volta preceduto da Aly, Süddeutsche Zeitung , 10/3/2005.

    30. H.G. VON STUDNITZ, op. cit.

    31. V. KLEMPERER, Lingua Tertii Imperii: la lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze 1998, Giuntina, pp. 15 ss.

    32. Ivi, p. 32.

    33. G. ORWELL , 1984 , Milano 1973, Mondadori, p. 331. Questi problemi linguistici erano così centrali per la costruzione di Orwell, che egli sente l’esigenza di spiegarli in dettaglio nell’appendice Principi della neolingua. 34. Per esempio, J. LAUGHLAND , The Tainted Source. The Undemocratic Origins of the European Idea , London 1998, Warner. Un’ampia analisi dei possibili rapporti fra l’ideologia dei Grandi Spazi e l’attua-

    le Unione Europea è l’articolo di A. PROELß , «Nationalsozialistische Baupläne für das europäische Haus? John Laughland’s “The Tainted Source” vor dem Hintergrund der Großraumtheorie Carl Schmitts », Forum Historiae Iuris , 2003, www.rewi.hu-berlin.de/online/fhi/zitat/0305proelss.htm. Cfr. inoltre CH. JOERGES, Darker Legacies of Law in Europe. The Shadow of National Socialism and Fascism over Europe and Its Legal Traditions , Oxford 2003, Hart; e, dello stesso autore, Europe a Großraum? , Badia Fiesolana 2002, Istituto Universitario Europeo.

    https://www.limesonline.com/cartaceo...secondo-hitler

  2. #2
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    Predefinito Re: Il mondo secondo Adolf Hitler

    L'articolo è molto interessante, anche se parzialmente condizionato dalla classica retorica antifascista ed altrettanto parzialmente inficiato dall'attribuzione a Carl Schmitt di un ruolo decisivo che invece all'epoca, in quella fase del nazionalsocialismo, non ebbe affatto. Pur dovendo fare la tara alla suddetta retorica, in questo scritto emerge quello che era il punto più oscuro ed al tempo stesso più problematico dei progetti che circolavano all'epoca in merito alla sistemazione dei grandi spazi, ossia come coniugare la superiorità di diritto, e non solo di fatto, degli Stati-guida sugli altri Stati membri del Grossraum con il rispetto della sovranità e dell'indipendenza di quest'ultimi. Se n'era già parlato mesi fa qui, ad esempio: Fascismo e fascismi
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  3. #3
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    Predefinito Re: Il mondo secondo Adolf Hitler

    Ho trovato una poesia del figlio Albrecht Haushofer:

    Mio padre

    Una fiaba profonda dell’Oriente
    ci narra che gli spiriti del Male
    vivono prigionieri in fondo al mare
    sigillati da Dio per sua premura,

    finché, una volta ogni millennio, il caso
    consente a un pescatore la decisione
    di liberarli dalla lor prigione
    o di gettarli nuovamente in mare.

    Mio padre in quei frangenti si è trovato.
    Un giorno infatti stava in suo potere
    ricacciare nel carcere il demonio.

    Senonché infranse quel fatal sigillo
    senza avvertire l’alito del male.
    E al demonio le vie del mondo schiuse.

  4. #4
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    Predefinito Re: Il mondo secondo Adolf Hitler

    A Zio, nun t'allargà!...

  5. #5
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    Predefinito Re: Il mondo secondo Adolf Hitler

    Citazione Originariamente Scritto da FRUGALE Visualizza Messaggio
    A Zio, nun t'allargà!...
    Ad ognuno il suo spazio vitale

  6. #6
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    Predefinito Re: Il mondo secondo Adolf Hitler

    Lo "zio" avrebbe dovuto allargarsi fino alla Russia bianca e invadere l'Inghilterra.

 

 

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