L'assalto al linguaggio è una componente integrale della guerra senza esclusione di colpi per la conquista e il controllo della mente.

Stephen Karganovic
strategic-culture.org

Non c’è da meravigliarsi che, qua e là, la nostalgia della sanità mentale stia riaffiorando nel mondo occidentale, almeno in quelle porzioni isolate di esso che non hanno ancora interiorizzando il sinistro “nuovo normale.” Sembra però che sia tutto inutile. La totalità dei posti di comando è saldamente nelle mani di pazzi, determinati a trasformare in manicomio una civiltà un tempo grande ed esemplare.

Come ci ha insegnato George Orwell, la manipolazione del linguaggio è la prima delle operazioni (sì, ho appena infranto una delle regole cardinali del suo “Politica e lingua inglese” ma non la sua ingiunzione finale di “infrangere una qualsiasi di queste regole prima di dire qualcosa di assolutamente barbaro“) per arrivare al controllo mentale, un’operazione tanto caro al potere politico. Il tipo di linguaggio che ci è permesso di usare circoscrive il pensiero che ci sarà permesso sviluppare. L’assalto al linguaggio è quindi una componente integrale della guerra implacabile per la conquista e il controllo della mente. L’eliminazione delle parole e la riassegnazione del loro significato, come Orwell aveva fatto notare in modo preveggente, sono elementi essenziali della campagna per riformare la mente e, infine, soggiogarla.

Uno straordinario esempio di come funziona questo processo è stato recentemente portato alla ribalta dagli studenti completamente decerebrati della un tempo prestigiosa Brandeis University che, questa volta, senza sollecitazioni da parte dei loro anziani e superiori di facoltà, hanno votato per bandire dal loro campus parole e frasi odiose, come “picnic” e “voi ragazzi” perché ritenute “oppressive.” “Picnic” è stato proibito perché, presumibilmente, evoca il linciaggio dei neri.

Questi giovani e precoci intellettuali si sono preoccupati di elaborare un’intera lista di parole e frasi discutibili, scioccando la premiata scrittrice Joyce Carol Oates che ha twittato sconcertata: “Che tipo di punizione è prevista per un membro della facoltà che a Brandeis pronuncia la parola ‘picnic’? O la frase [anch’essa proibita] ‘trigger warning’? Perdita della cattedra, fustigazione pubblica, autoflagellazione?”



Tutte e tre le punizioni saranno probabilmente applicate ai professori reazionari che andranno contro i rigorosi requisiti linguistici della lista.

Per non essere superati dai progressisti universitari della East Coast, i legislatori d’avanguardia della California hanno approvato una legge per rimuovere il pronome “lui” dai testi legali statali. L’epocale riforma è stata avviata dalla nuova procuratrice generale della California, Rebecca Bauer-Kahan, che, dopo aver consultato i requisiti di lavoro, aveva fatto la scioccante scoperta che la legge presupponeva che il procuratore generale fosse un uomo.

Dopo un’ulteriore revisione, aveva scoperto che il codice statale ed altri documenti legali permettevano concetti inaccettabili, utilizzando il pronome “lui” e l’aggettivo “suo” riferendosi al procuratore generale e ad altri funzionari eletti a livello statale. Sconvolta, la signora Bauer-Kahan ha dichiarato che questi errori linguistici non rappresentano “dove è la California e dove la California sta andando.” Ha indiscutibilmente ragione, almeno su questo punto, che forse ha anche qualcosa a che fare con il massiccio esodo dei residenti della California verso regioni meno complicate del Paese.

Quando i legislatori di uno stato che si sta rapidamente trasformando in una Calcutta nordamericana non hanno preoccupazioni più pressanti che rivedere l’uso dei pronomi nei documenti ufficiali, questo è un chiaro messaggio su dove sta andando quello stato, esattamente come ha detto questa donna intelligente e aggiornatissima.

Ma, come un padre pakistano immigrato a Seattle, stato di Washington, aveva scoperto con sommo dispiacere, la pagliacciata linguistica può avere conseguenze personali e politiche molto serie. Dopo aver ricoverato il figlio sedicenne autistico in quella che pensava fosse una struttura medica, Ahmed era rimasto scioccato nel ricevere una telefonata in cui un assistente sociale gli spiegava che il ragazzo, che aveva originariamente affidato alle autorità mediche come figlio, era in realtà transgender e doveva, d’ora in poi e sotto pena di affidamento ai servizi sociali, essere chiamato e trattato come “figlia.”

Proveniente da una società tradizionale ancora governata dai tirannici precetti del buon senso e non avvezzo ai modi manicomiali [della società] in cui, alla ricerca di una vita migliore, lui e la sua famiglia erano inavvertitamente finiti, il padre (qualifica che come quella di madre, ormai ufficialmente “genitore numero uno,” è in fase di abbandono) aveva potuto dare un senso alla sua tragica situazione solo tessendo una complessa teoria del complotto:

“Stavano cercando di reclutare un cliente per la loro clinica del sesso. . . e sembrava che volessero assolutamente spingerci in quella direzione. Abbiamo avuto colloqui con consulenti e terapisti dell’istituto, che ci hanno detto quanto fosse importante per lui il cambio di genere, perché era l’unico modo per farlo uscire dal suo stato depressivo suicida.”

Siccome nello stato altrettanto pazzo di Washington l’età in cui i minori possono richiedere un intervento chirurgico per cambiare sesso senza il consenso dei genitori è di 13 anni, i genitori pakistani avevano immediatamente capito l’antifona e, beati loro, erano riusciti ad escogitare un abile stratagemma per mettere nel sacco i loro insensibili tormentatori ideologici. Ahmed aveva assicurato il Seattle Children’s Hospital che avrebbe portato il figlio in una clinica per il cambio di genere e che gli avrebbe fatto iniziare la transizione. Invece, aveva ripreso il suo ragazzo, abbandonato il lavoro e si era trasferito con tutta la famiglia di quattro persone fuori dallo stato Washington.

Forse perchè nella sua cucina delle celebrità sentiva il fiato sul collo della Gestapo linguistica, anche l’iconico chef Jamie Oliver si è adeguato. Per assurdo, Jamie ha giurato [addirittura in anticipo] fedeltà alla prossima nuova normalità eliminando dalle sue ricette il termine “foglie di lime Kaffir,” nel timore che il presunto “insulto storicamente razzista” potesse offendere i Sudafricani. A questo proposito, non sussiste traccia di eventuali richieste di reclami da parte del Sudafrica. Ma la dice lunga il fatto che una persona con l’influenza e la visibilità di Jamie abbia comunque ritenuto prudente anticipare tali critiche che, se si concretizzassero, ovviamente non verrebbero dal Sudafrica ma dai commissari bianchi occidentali preposti alla correttezza politica.

Jamie è ora impegnato, ma non solo a cucinare. Sta rivedendo tutte le ricette pubblicate in precedenza per eliminare ogni riferimento offensivo alle foglie di kefir. Gli aficionados di Orwell ricorderanno questo prezioso passaggio di 1984: “Ogni documento è stato distrutto o falsificato, ogni libro riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio pubblico è stato rinominato, ogni data è stata alterata.” Ed ora anche ogni ricetta. La distopia calza a pennello, anche in qualcosa di apparentemente banale come un programma di cucina, non è vero?

Ma non si tratta solo di ricette. Anche le favole per bambini sono oggetto di revisione tipo 1984. L’attrice hollywoodiana Natalie Portman (Star Wars, The Professional, Thor), apparentemente ispirata dalla nuova normalità culturale, si è presa la responsabilità non di scrivere, ma di riscrivere diverse fiabe classiche per renderle “neutre dal punto di vista del genere,” in modo che “i bambini possano sfidare gli stereotipi di genere.” Prevedibilmente, i pronomi sono stati ancora una volta un obiettivo importante:

“Mi sono ritrovata a cambiare i pronomi in molti testi, perché parecchi avevano personaggi prevalentemente maschili, in numero sproporzionato rispetto alla realtà,” ha detto Natalie mentre affondava il suo bisturi linguistico su vecchi classici, come La tartaruga e la lepre, Topo di campagna e topo di città e I tre porcellini.

C’è bisogno di andare avanti, o l’astuto lettore ha già capito l’antifona? Che ne dite dello studente della State University di New York Owen Stevens, che è stato sospeso e censurato per aver sottolineato sul suo profilo Instagram il fatto biologico perfettamente verificabile che “un uomo è un uomo, una donna è una donna. Un uomo non è una donna e una donna non è un uomo.” (Owen è stato denunciato dai compagni di corso, i lettori dell’ex blocco orientale si divertiranno a saperlo). O l’allenatore di basket dell’università del Nebraska che è stato sospeso per aver usato in un discorso motivazionale la parola misteriosamente offensiva “piantagione”? O l’esclusiva scuola di NYC da 57.000 dollari l’anno, che ha vietato agli studenti di dire “mamma” e “papà,” di chiedere dove sono andati in vacanza i compagni di classe o di augurare a qualcuno “Buon Natale” o anche “Buone Feste”? O la studentessa universitaria scozzese Lisa Keogh, rea di aver detto in classe che “le donne hanno la vagina” (chi sarebbe meglio informato di lei su questo argomento?) e che non sono “forti come gli uomini” e che per questo sta affrontando un’azione disciplinare dall’università, dopo che i compagni di classe si erano lamentati dei suoi commenti “offensivi e discriminatori”? O il politico spagnolo Francisco José Contreras, il cui account Twitter è stato bloccato come avvertimento per 12 ore dopo che aveva twittato ciò che alcuni considererebbero come una verità auto-evidente, che “gli uomini non possono rimanere incinti” perché non hanno “utero o ovuli“?

Come Peter Hitchens ha recentemente notato, “la storia più amara e divertente della settimana è che una profuga dalla Corea del Nord pensa che neanche la sua patria d’origine sia ‘così folle’ come l’indottrinamento ora imposto agli studenti occidentali.”

Uno degli shock iniziali di Yeonmi Park all’inizio delle lezioni all’Università della Colombia era stato quello di essere accolta con cipiglio dopo che aveva rivelato ad un membro dello staff che le piaceva leggere Jane Austen. “Lo sai,” era stata severamente ammonita la signora Park, “che quegli scrittori avevano una mentalità coloniale? Erano razzisti e bigotti e ti stanno inconsciamente facendo il lavaggio del cervello.”

Ma, dopo essere venuta a conoscenza delle nuove regolamentazioni per l’uso dei pronomi di genere neutro, Yeonmi aveva concluso: “Neanche la Corea del Nord è così pazza… La Corea del Nord è abbastanza pazza, ma non così pazza.” Terribilmente onesto, ma non proprio un complimento per quella che una volta poteva essere la terra dei suoi sogni.

In ogni caso, Hitchens riferisce che l’esperienza precedente era servita a Yeonmi per adattarsi alla sua nuova situazione: “Aveva avuto paura che sollevare delle questioni avrebbe influenzato i suoi voti e la sua laurea. Alla fine, aveva imparato a tacere, come fanno le persone che cercano di vivere sotto regimi intolleranti, e aveva lasciato che tutta quelle sciocchezze le scivolassero addosso.”

I lettori dell’Europa dell’Est capiranno sicuramente cosa intendeva dire Hitchens.

Stephen Karganovic

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2021/06/30/the-descent-into-utter-madness/
30.06.202