la fondazione che governa la banca MPD E' DA SEMPRE , IN MANO ALPCI, PDS, DS ED ORA PD. puoi continuare fino allo sfinimento , con le tue belle. QUESTA E' LA VERITA' i compagni oggi piddini hanno sulla coscienza 24 MILIARDI DI EURO A CARICO DEI CITTADINI ITALIANI
“Il Pd fa il Pd, le banche fanno le banche”: così nel gennaio 2013 l’allora segretario dem Pier Luigi Bersani, a un mese dalle elezioni politiche, provò a svincolare il suo partito dalle accuse di chi lo etichettava come direttamente responsabile del dissesto di Monte dei Paschi di Siena e dello scandalo giudiziario sulla sua governance esploso nelle settimane precedenti.
Da allora in avanti si è molto discusso su quanto il rapporto tra Mps e il centrosinistra al governo nella cittadina toscana, nella Regione e, dal 2013 al 2018, nel Paese abbia contribuito ad accentuare le conseguenze della crisi inaugurata dal flop dell’operazione Antonveneta completata nel 2007. E in prospettiva a pregiudicare il futuro stesso di Mps anche dopo l’entrata del ministero dell’Economia come primo azionista in Rocca Salimbeni nel 2017. Certamente, è bene precisarlo, tali responsabilità non vanno intese sotto forma di dirette emanazioni di direttive, ordini e prescrizioni, ma piuttosto nell’inserimento dell’attività bancaria in un sistema di conglomerate di potere che ha portato il management a promuovere azioni e la politica a programmare (o non programmare) mosse in funzione della tenuta di un preciso blocco economico-sociale. Che nel senese era sovrapponibile in larga parte alla fascia di consenso del centrosinistra a trazione dem.
Il caso Antonveneta
Non a caso l’uomo rimasto a lungo al centro della tempesta Mps, l’ex ad Giuseppe Mussari, risultò a lungo in cima alla lista dei donatori del Nazareno nella città. Secondo i dati ufficiali della Camera dei Deputati che l’Huffington Post ha esaminato, dal 27 febbraio del 2002, data del suo primo assegno al partito, fino al 6 febbraio 2012, Mussari ha versato al Pd dai suoi conti ben 683.500 euro. Non un euro di questi finanziamenti è illecito o non dichiarato, ma ciò dà l’idea delle prospettive politico-istituzionali che possano essersi mosse dietro diverse scelte aziendalmente discutibili.
Nel 2007, ad esempio, il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi diede la sua approvazione alla costituzione del terzo gruppo bancario italiano dopo l’operazione Mps-Antonveneta, nonostante il severo giudizio degli investitori e l’attestazione successiva di un vero e proprio disastro. Alcuni anni prima nel 1999 l’operazione altrettanto discussa di Mps su Banca 121, ex Banca del Salento – secondo i critici – sarebbe avvenuta senza l’ostilità, anzi, del salentino d’adozione, presidente del Consiglio e leader dei Democratici di Sinistra Massimo D’Alema, il quale, però, ha sempre negato con forza l’accusa di aver dato copertura politica a Mps.
Prodi, in particolare, sostenne Mussari e le sue mosse perché convinto del valore politicamente positivo delle fusioni bancarie e del superamento del tradizionale assetto pulviscolare della finanza italiana. Ipotesi strategicamente non priva di validità, anzi col senno di poi corretta in larga misura, ma che avrebbe necessitato del giusto accompagnamento e sostegno politico e di un attento scrutinio sulle fusioni. Il vertice di Mps, nel caso Antonveneta, colse al volo questa contingenza e il fatto che l’intermediario fosse Banco Santander, vicino alla finanza cattolica, per posizionarsi strategicamente in termini politici prima ancora che operativi.
Mussari colse al volo l’occasione, come ha ricordato Il Fatto Quotidiano. “Era ambizioso. Aveva tre obiettivi: la presidenza dell’Abi, la presidenza dell’Istituto opere religiose (lui che era ateo), il ministero dell’Economia”. La sponda organica col centrosinistra riportò alla mente una celebre vicenda che la dice lunga sull’approccio seguito all’epoca. Il 31 dicembre del 2005 Il Giornale pubblica la trascrizione di una telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, durante la quale l’allora segretario dei Ds chiedeva all’allora amministratore delegato di Unipol: “Ma abbiamo una banca?”. La domanda faceva riferimento ai tentativi di acquisizione da parte di Unipol della Banca Nazionale del Lavoro e fu intesa come l’attestazione della volontà del centrosinistra di costruire una serie di conglomerate di potere attorno a una precisa area politica. Un approccio simile è stato indubbiamente seguito, in forma meno esplicita, anche a Siena.
Mps nella tempesta bancaria
Da un lato, Mps poteva fornire sponde per permettere il raggiungimento di obiettivi politici cari al governo di centrosinistra, dall’altro i vertici della banca potevano utilizzare come un taxi le opportunità politiche di riferimento. Mps, del resto, anche in grave crisi è ed è rimasta un simbolo, una forza attrattrice enormemente più importante del suo peso finanziario in declino: non a caso nel pieno della tempesta bancaria che squassò l’Italia tra il 2015 e il 2017 il Pd si guardò bene dall’applicare a Rocca Salimbeni la cura di cavallo del bail-in imposto, spesso inopinatamente, alle altre banche territoriali di dimensioni minori andate in crisi. Per poi procedere, tramite il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, al salvataggio pubblico costato in tutto almeno 8 miliardi di euro.
Allora si perse, probabilmente, l’opportunità di salvare una parte dell’istituto e di ristrutturarne quella più malandata e caricata da crediti deteriorati, valorizzando asset pregiati come la banca online Widiba senza portare l’intera Mps nel calderone. Il salvataggio pubblico fu più una mossa politica che una scelta denotata da caratteri operativi ben marcati. Le perdite della banca (20 miliardi dal 2009 in avanti) furono portate in capo allo Stato, fattispecie che ha reso difficile la ricerca di un compratore fino all’emersione dell’ipotesi Unicredit. “La circostanza che il Monte dei Paschi di Siena non può continuare all’infinito a perdere quattrini e che quindi deve essere accasato (in tutto o in parte) deve essere considerata una precondizione di ogni ipotesi, nella quale dovrà iscriversi a lettere cubitali la data del 31 dicembre 2021”, nota Italia Oggi.
L’ultimo giorno dell’anno in corso segnerà la “dead line stabilita d’intesa con l’Europa sin dal momento della crisi e della prima erogazione di 5,3 miliardi di euro da parte del Tesoro italiano per evitare un default drammatico per l’Italia e per l’Europa”. Di fatto, Mps dovrà portare al banco tutte le conseguenze di anni di gestioni discutibili e di zone d’ombra legate a protezioni e connivenze politiche sulle mosse più azzardate del gruppo: ed è più che plausibile che questo pesi non poco sul futuro politico del Pd. Legato a doppio filo a quello della banca nel momento in cui Enrico Letta si è candidato nel collegio elettorale di Siena alle suppletive. Il Pd è il Pd, la banca è la banca. Ma l’osmosi tra l’uno e l’altra è stata spesso tale e tanto intensa da pensare che sia difficile separare le responsabilità politiche del primo e quelle aziendali della seconda nel caos Mps.
https://it.insideover.com/economia/il-pd-ha-responsabilita-nella-crisi-di-mps.html?utm_source=ilGiornale&utm_medium=arti cle&utm_campaign=article_redirect
20 miliardi di perdite sulle spalle degli italiani
il pd dovrebbe sparire dalla faccia della Terra.
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“In quell’epoca l’istituto di credito senese era guidato dal provveditore (amministratore delegato, ndr) Giovanni Cresti ed il vice presidente era l’onorevole socialista Loris Scricciolo i cui nomi, come quello del Signor Fininvest, erano nella lista della P2 trovata a Villa Vanda sede storica del Gran Maestro Licio Gelli.
Dei circa 200 miliardi di lire di fidi e 150 miliardi di fidejussioni di cui disponevano all’epoca le società del gruppo di Silvio Berlusconi ben il 20% provenivano dalle casse di Rocca Salimbeni”.
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Mps, a Siena si era realizzata l'egemonia gramsciana: così la sinistra poteva controllare tutto
Alcuni anni fa in una famosa telefonata indebitamente intercettata e altrettanto indebitamente regalata a Berlusconi, Fassino interpellò Consorte di Unipol che stava scalando la Bnl. «Digli il meno possibile», aveva suggerito a Consorte Massimo D'Alema che era il vero kingmaker della scalata. «Ma allora abbiamo una banca!» esclamò Fassino. A parte il casino che successivamente scatenò quella battuta essa era imprecisa. Storicamente il Pci ha sempre avuto una banca, e questa banca si è chiamata Monte dei Paschi di Siena.
Era così integrato nel sistema che le sue cariche fondamentali erano assegnate sulla base dei risultati dei congressi del Pci senese. Si è trattato di una autentica "Banca del territorio" nel senso che attraverso di essa si diramava in modo capillare il controllo del Pci su tutto il territorio. Tramite gestori intelligenti l'interclassismo comunista raggiungeva il massimo della sua dilatazione, coinvolgendo tutte le categorie economiche senesi ma anche le contrade e i cavalli del Palio, autentici gioielli imprenditoriali, operazioni politiche e culturali. Una banca di questo tipo forniva una versione del tutto creativa e originale della nozione gramsciana di egemonia nel senso che da un lato si traduceva nella soffice conquista delle principali casematte del potere e per altro verso in un rapporto dialettico tra le categorie marxiane della struttura e della sovrastruttura.
Così il finanziamento del Pci, che è stato quello più organicamente irregolare fra quello di tutti i partiti, ha avuto anche la gemma costituita dal controllo totale su un istituto bancario. Poi il troppo stroppia. D'Alema a un certo punto fornì Mps un grande manager di sua fiducia, di nome De Bustis. Da lì cominciarono i guai perche De Bustis portò a Mps la Banca di Salento a condizioni discutibili. A condizioni ancor più discutibili fu acquisita la Antonveneta che costitui l'inizio della catastrofe. Come contorno vale quello descritto ieri sulle pagine di questo giornale da Zulin, nel senso che «oltre mille politici, protetti dalla privacy, devono 60 milioni al Monte dei Paschi». Quando Berlinguer ha aperto la questione morale e ha parlato del Pci come di un partito diverso ha operato una bella manipolazione della realtà.
Il punto vero era un altro: il Pci e poi il Pds non erano dei partiti diversi quanto ad eticità. Il Pci-Pds era un partito diverso per la copertura giudiziaria di cui godeva a partire dal pool di Mani Pulite. Il vice di Borrelli, D'Ambrosio, svolse in quegli anni un ruolo fondamentale di copertura tant' é che il suo fu l'unico caso in quella vicenda di un pm che fece indagini a tutela di un imputato. Il cittadino imputato si chiamava Greganti. D'Ambrosio trovò proprio negli archivi del Monte delle discutibili pezze di appoggio a sua difesa (la ricostruzione fu contestata da un altro pm, Tiziana Parenti, che non a caso fu espulsa poco dopo dal pool). Invece, per una serie di combinazioni casuali, successivamente magistrati protagonisti di quella storia trovarono un posto nelle liste del Pds, Di Pietro nel Mugello e poi nella lista unica di Veltroni, D'Ambrosio al Senato per tre legislature.
Quindi un partito davvero diverso il Pci-Pds-Pd. Anche per ciò che riguarda Mps i fili della storia si ricompongono. Così Padoan nel 2017 da ministro del Tesoro ha salvato Mps e adesso da presidente di Unicredit si appresta ad accoglierlo nelle braccia capaci e accoglienti di uno dei più grandi istituti di credito italiano. A sua volta sempre per una casualità Enrico Letta si presenta proprio a Siena alle elezioni suppletive. Tutto si salda: ne vedremo delle belle se qualcuno sarà capace di tenere gli occhi aperti.
https://www.liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/28230889/mps-siena-si-realizza-egemonia-gramsciana-cosi-sinistra-poteva-controllare-tutto.html
ecco chi ha creato 24 MILIARDI DI DEBITI
Ma avete presente che tiro hanno giocato a Letta?
Questo poveretto e' segretario PD, si candida a Siena, comincia a fare la campagna elettorale e il ministro dell'economia annuncia la vendita di MPS, lo spezzatino e migliaia di esuberi.
E chi gestira' la distruzione finale di MPS, che si ridurra' a una banca locale o poco piu'?
Padoan, ex senatore PD eletto col paracadute a Siena.
Difficilmente i senesi possono sentirsi piu' presi in giro di cosi'.