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    Predefinito Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Tradotto e postato su questo forum nel agosto 2004 dall'utente Rebel .

    ALCESTE DE AMBRIS
    L’EVOLUZIONE DEL FASCISMO
    (L’èvolution du fascisme, in “Mercure de France”, 15 febbraio – 15 marzo 1923)
    Nella primavera del 1919 la situazione politica italiana era nettamente rivoluzionaria. La guerra aveva lasciato in tutte le classi sociali gravi fermenti e non solo il proletariato delle fabbriche e dei campi sembrava in preda a un vero furore di ribellione, ma anche nell’esercito – sa poco tornato dal fronte- serpeggiavano forti aneliti rivoluzionari, pur imprecisi e vaghi sugli scopi. Per la maggioranza la trincea era stata scuola di sovversivismo.
    Era uno stato d’animo comune non solo ai soldati, ma anche agli ufficiali e alle classi medie – quelle classi che avevano dato all’esercito i quadri inferiori della gerarchia militare, cioè gli uomini che avevano personalmente e realmente combattuto e che ora condividevano lo scontento popolare. Ufficiali e soldati erano d’accordo nell’esigere dalla guerra una più vasta giustizia sociale: era questo l’ideale per il quale avevano combattuto e per realizzarlo essi erano disposti, se necessario, a volgere contro il regime esistente quelle stesse armi con cui avevano vinto i nemici della patria.
    Nel campo opposto non si scorgevano forze capaci di opporre una qualsiasi resistenza: la borghesia, impinguata dai lucri di guerra, moriva di paura; il governo, disorganizzato e incosciente, non aveva l’energia necessaria e ogni giorno perdeva un po’ di poter rinunciando a qualsiasi atto di effettiva autorità.
    Di questa situazione profittava il partito socialista che essendo sempre stato contrario alla guerra , riusciva naturalmente a raccogliere intorno a se tutti i malcontenti e tutti i delusi. Se il partito socialista avesse avuto una netta volontà rivoluzionari, se avesse indicato una meta da raggiungere, e se avesse saputo attirare e organizzare tutti coloro che, specie nell’esercito, erano pronti ad accogliere idee rivoluzionarie, sarebbe riuscito facilmente a impadronirsi del potere; i suoi nemici, atterriti, erano già rassegnati a questo evento.
    Ma il partito socialista non ebbe la necessaria fermezza e il senso dell’opportunità storica e provocò così la propria clamorosa sconfitta: aveva voluto creare il bolscevismo italiano, si era assegnato il compito di fondare il comunismo, naturalmente secondo l’esempio di Mosca, con la dittatura del proletariato, ma non aveva tenuto conto delle possibilità del momento e del carattere della nazione; e inoltre i suoi metodi di preparazione furono assurdi; fece di tutto per inimicarsi l’esercito e si comportò con inaudita brutalità. Per utilizzare gli uomini preziosi che gli si offrivano non bisognava infatti offenderli nei loro sentimenti più delicati e profondi, insultare il loro nobile orgoglio, farsi beffe dei loro sacrifici, trattare degli eroi come se fossero dei malfattori, disprezzare le gloriose ferite o umiliarle con parole di commiserazione.
    Il partito socialista invece ha commesso proprio tutti questi errori, ha basato tutta la sua attività sulla negazione della guerra e della nazione, ha perseguitato, in tutti i modi anche i più odiosi e ripugnanti, i combattenti che non volevano rinnegare se stessi. Questo suo atteggiamento verso l’esercito era d’altronde la conseguenza logica, necessaria e inevitabile della posizione neutralista da lui spinta all’eccesso durante e dopo la guerra con l’esaltazione degli istinti più bassi e delle viltà più vergognose. Grazie a questo atteggiamento il partito socialista otteneva l’approvazione delle masse cui ripugnavano il sacrificio e lo spirito eroico, ma rendeva impossibile la rivoluzione perché allontanava gli uomini educati dalla guerra a servirsi delle armi e a guardare la morte in faccia.
    Nella primavera del 1919 il fascismo nacque in questo clima e per queste ragioni. All’origine esso non era altro che la reazione di quei combattenti che, vistisi respinti e già condannati, dovettero per forza schierarsi contro una rivoluzione che – secondo quanto proclamavano i suoi stessi capi – era animata più da odio verso di loro e verso qualsiasi ideale nazionale che dalla volontà di rinnovare l’esistente regime politico e sociale.
    Il bolscevismo italiano, infatti, non nascondeva il proprio proposito di colpire tutti coloro che – pur avendo pagato in prima persona- avevano accettato la guerra a difesa del proprio paese. Per il momento, esso rifiutava loro ogni diritto politico e civile e li minacciava, li insultava e li violentava in ogni modo: fu allora che, mentre la borghesia e lo Stato, atterriti dalla forza del bolscevismo, gemevano, alcuni combattenti, forti della loro volontà e del loro coraggio già provato dalla guerra, si dissero che era umiliante e indegno non tentare di resistere a una bieca tirannia che già stava prendendo radici in Italia e la cui violenza diventava sempre più intollerabile.
    I primi a reagire furono proprio alcuni supersiti di quei Fasci Interventisti rivoluzionari che, nel maggio 1915, avevano costretto l’Italia a entrare in guerra, Essi ripresero l’antico nome e la nuova organizzazione fu battezzata Fascio di combattimento e assunse come emblema il fascio dei littori romani.
    Il fascismo date le origini dei suoi promotori, tutti provenienti dai partiti dell’estrema sinistra, ebbe all’inizio un carattere molto diverso da quello che assunse più tardi per le ragioni che spiegheremo. Esso. All’origine, aveva un audace programma di rinnovamento nazionale; proclamava <<la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti>>, non esitava a reclamare, sul piano politico, la convocazione di una costituente italiana per la revisione dello Statuto, non nascondeva le sue preferenze per la repubblica, chiedeva l’abolizione del senato, la costituzione dei consigli tecnici del lavoro composti da gruppi professionali e con poteri legislativi ed esecutivi, e la nazione armata.
    Sul piano sociale chiedeva la giornata di otto ore, l’istituzione di un minimo di salario per gli operai, il controllo operaio sulle industrie, il diritto per le organizzazioni operaie che ne fossero tecnicamente e moralmente degne di gestire le industrie e i servizi pubblici, la revisione delle leggi sulle assicurazioni per malattia e vecchiaia.
    Sul piano economico chiedeva l’espropriazione parziale della ricchezza privata al fine di ristabilire l’equilibrio, sconvolto dalla guerra, nell’economia pubblica, la confisca dell’85 % dei profitti di guerra, la requisizione delle proprietà delle congregazioni religiose.
    Il fascismo, ricco di volontà ma ancor povero di forze, si presentò alle elezioni con questo programma, ma non ricevette una buona accoglienza. La borghesia non poteva simpatizzare con la coraggiosa iniziativa di una infima minoranza che, pur ponendo in primo piano il principio nazionale, non aveva molti riguardi per gli interessi delle classi capitalistiche; essa inoltre temeva che qualsiasi forte iniziativa esasperasse la volontà aggressiva dei bolscevichi e facesse precipitare la catastrofe. Il governo di allora (Nitti) scendeva a compromessi col partito socialista e si sforzava di portarlo al potere, anche a costo di rinnegare la guerra e la vittoria: per lui non v’era altro mezzo per evitare la rivoluzione. Certo il fascismo non favoriva questo gioco ed era quindi combattuto e perseguitato dal governo.
    Durante tutto il 1919 la situazione del fascismo fu brillante, ma precaria, come quella di un reggimento lanciato senza appoggi in territorio nemico e costretto a cercare la propria salvezza nel coraggio disperato e nella clamorosa rapidità delle proprie mosse strategiche.
    Malgrado ciò, il movimento fascista riuscì a dimostrare la fondamentale incapacità rivoluzionaria “del terribile” bolscevismo, che fece una ben misera figura, nascondendosi e mostrando di non sapersi difendere dai colpi di un avversario tanto inferiore di numero.
    Nel settembre 1919, Gabriele D’Annunzio occupò fiume; questo evento rialzò di molto le sorti del fascismo che si schierò per lui, e fu l’unico, quasi, ad osare di sostenere il gesto ribelle del poeta: ne fu ricompensato dall’afflusso di nuove forze e di più ampie simpatie, ma le elezioni politiche generali, svoltesi nel novembre successivo, dovevano dimostrare, in maniera sorprendente, quanto il suo numero fosse esiguo. L’unica lista da esso presentata nel collegio di Milano ottenne solo qualche migliaio di voti e nessun suo candidato fu eletto al parlamento.
    Nel 1920 il fascismo cominciò a svilupparsi. La coraggiosa tenacia dei suoi fondatori fu nettamente premiata e le file della sua organizzazione cominciarono a ingrossarsi.
    Ma i nuovi iscritti provenivano, in maggioranza, dalla borghesia agraria, di natura profondamente conservatrice, e il loro ingresso nel fascismo ne mutò quindi la fisionomia e gli fece perdere sempre più i suoi tratti peculiari. Il programma originario del partito fu snaturato da infinite restrizioni: la direttiva repubblicana divenne solo una tendenza e sempre più vaga; l’espropriazione parziale della borghesia, il diritto alla terra dei contadini ex combattenti, già approvato nel primo congresso fascista, la costituzione di corpi legislativi destinati a rappresentare direttamente le classi produttrici, tutto ciò non fu ormai più che semplice astrazione, da dimenticare definitivamente.
    E’ per questo che molti aderenti della prima ora, che avevano visto nel fascismo non solo una reazione alla tracotanza bolscevica e la riaffermazione delle forze nazionali, ma anche un movimento rinnovatore del paese, lo abbandonarono disgustati. Malgrado ciò il fascismo, verso la metà del 1920, attirava ancora quelle forze non dominate da preoccupazioni di classe, ma sinceramente animate dal solo amore di patria: in ciò era aiutato dal bolscevismo, ostinatamente fermo nel suo atteggiamento antinazionale.
    Nonostante ciò, nella seconda metà del 1920, la trasformazione del fascismo si accentua con rapidità impressionante. Giolitti tornato al potere, concepisce e realizza il paino di servirsi del fascismo per sradicare definitivamente il socialismo, dopo che questo, pressato dalle correnti comuniste e massimalisti, aveva respinto l’offerta di collaborare al suo governo: i 156 deputati del partito socialista, infatti, costituivano in parlamento una forza troppo temibile perché questo partito non fosse considerato un collaboratore necessario o un nemico che si dovesse, a qualsiasi costo, ridurre all’impotenza.
    Giolitti, conscio del pericolo insito in un’azione diretta dello Stato contro i socialisti, pensò di servirsi del fascismo a questo scopo, pur mantenendosi una mano libera per liquidare con forza il problema di Fiume dove D’Annunzio, le armi in pugno, continuava a costituire una minaccia incombente sul governo di Roma, non è possibile precisare di quale natura siano stati i rapporti tra il governo Giolitti e il fascismo. Quel che è certo è che a partire dall’agosto del 1920 si è assistito in Italia alla più paradossale collaborazione tra l’uomo che era stato il sostenitore pià famoso della neutralità, e che prima, durante e dopo la guerra era stato favorevole ai tedeschi, e l’organizzazione creata per la difesa e la valorizzazione della guerra e guidata da quegli stessi uomini che nel 1915 volevano fucilare Giolitti come traditore della patria. Il fascismo cominciò a guardare con minore simpatia all’impresa di Fiume, accettò il trattato di Rapallo, respinto fieramente da D’Annunzio, tra l’Italia e la Jugoslavia limitandosi solo a fare qualche platonica riserva tanto per salvare le apparenze; infine, e senza tentare alcuna efficace protesta, permise al governo il giorno di Natale 1920, di soffocare nel sangue la rivolta dannunziana.
    Come ricompensa, il fascismo ebbe via libera, anzi l’aiuto segreto delle autorità, di scateneare quella violenta offensiva antisocialista grazie alla quale più tardi doveva giungere al potere. Nel novembre 1920 il fascismo sferrava di già un attacco in grande stile, coronato da un incontestabile successo grazie all’inguaribile stupidità del bolscevismo, sempre più deciso ad accentuare il suo atteggiamento antinazionale e a minacciare una rivoluzione che non aveva il coraggio, e forse nemmeno la possibilità, di scatenare.
    E’ a questo punto che il fascismo completa, con straordinaria rapidità, la sua trasformazione.
    Alleato del governo, protetto e aiutato in tutti i modi dalle autorità locali, rifornito di armi dai depositi militari, sicuro dell’impunità se vuole le leggi, aiutato dall’evidente nullità e viltà del nemico che combatte, il fascismo trionfa senza quasi incontrare resistenza. E’allora che accorrono a lui da tutte le parti coloro che sono sempre in cerca di facili successi, uomini che portano nel fascismo una mentalità nettamente reazionaria e ne mutano completamente il volto.
    Le motivazioni idealiste sono dimenticate o rinnegate. Dopo aver assistito, senza reagire alla sanguinosa espulsione di d’Annunzio da Fiume, il fascismo getta via le ultime rivendicazioni di rinnovamento nazionale e assume sempre più il volto di reazione di classe. La borghesia agraria che all’inizio lo ignorava o lo odiava perché durante la guerra era stata neutralista o germanofila ora lo aiuta con i propri uomini e il proprio denaro e lo rende strumento della propria vendetta.
    In Emilia e nelle Puglie - dove l'organizzazione dei contadini è più potente - il fascismo lancia i suoi uomini all'assalto dei sindacati e delle cooperative, le distrugge o le costringe ad aderire al partito fascista. Per giungere a questo risultato, inventa il metodo delle "spedizioni punitive". Con un pretesto qualsiasi - o anche senza alcun pretesto - le squadre fasciste di una zona si concentrano in un luogo fissato; vi giungono, armate ed equipaggiate militarmente, a bordo di veloci camion. Queste bande devastano, incendiano, uccidono, senza che le autorità intervengano. Poi cacciano i capi più conosciuti e costringono gli operai scampati a iscriversi al fascismo.
    In questo modo vengono rapidamente sottomesse le province di Ferra, Modena, Piacenza, reggio Emilia.
    Ormai il movimento fascista, all'ombra del tricolore, difende quelle classi che lo stesso Mussolini definiva "grigie, sorde, miserabili". Nei ranghi fascisti entrano i "bravi" di professione, gente che era stata neutralista e che aveva persino subito condanne per diserzione e che ora trovava il modo di abbandonarsi ai suoi istinti criminali, sicura dell'impunità.
    Nello stesso tempo si rafforzano i legami con le fazioni politiche di destra - nazionalisti e conservatori -, liete di trovare in un movimento ricco di ardore e di audacia giovanili un aiuto insperato e un mezzo non meno insperato di tornare al potere. E poichè ormai le elezioni generali sono vicine, il fascismo non si vergogna più di rivolgersi a quei "blocchi nazionali" e che accettano quegli ibridi compromessi un tempo da lui con tanta durezza atttaccati e che sono la piaga della politica parlamentare italiana.
    Nel maggio 1921 . a poco più di due anni dalla sua nascita – il fascismo ha già completato l’intero arco della sua trasformazione. Il movimento – all’origine di rinnovamento nazionale, repubblicano, sindacalista, libertario, anticlericale – è ora diventato conservatore, monarchico, parlamentare, con punte che si spingono perfino verso il neoguelfismo sotto il pretesto che occorre servirsi dell’influenza internazionale del papato per la politica nazionale italiana.
    Le elezioni generali del maggio 1921 si rivelano un insperato successo per il fascismo. Questo partito, che appena diciotto mesi prima non era riuscito a portare in parlamento nemmeno un proprio candidato, si trova ora ad avere trentacinque deputati, uomini quasi tutti politicamente nuovi, Il successo spazza via le ultime esitazioni e i ranghi fascisti si aprono a tutti gli arrivisti invidiosi della fortuna dei vittoriosi e desiderosi di partecipare al successo.
    Ma l’ebbrezza della vittoria non fa dimenticare a qualche fascista della prima ora i pericoli della situazione: essi vedono con preoccupazione che il fascismo assume sempre più il carattere di sistematica violenza, non più difensiva, ma offensiva. Le “spedizioni punitive” infatti si moltiplicano non solo contro i bolscevichi nemici della patria, ma anche contro gli altri partiti ai quali non si piò negare un reale sincero amore per la nazione Il carattere di “Reazione di classe” assunto dal fascismo non riesce più a nascondersi tra le pieghe del tricolore.
    Mussolini e qualche fascista della prima ora tentano allora un ritorno alle origini e cercano di riprendere l’atteggiamento di “tendenza repubblicana”, ma sconfitti dalla maggioranza del movimento che si proclama monarchica, sono costretti a cedere.
    Nel paese intanto comincia a profilarsi un moto di reazione al fascismo: tra socialisti, i repubblicani e i sindacalisti si costituiscono gruppi di combattimento. Persino i cattolici (partito Popolare) si preparano alla resistenza armata. Il governo (Bonomi), preoccupato della minaccia di guerra civile, tenta di concludere un patto di pacificazione. Mussolini riesce a farlo accettare dal gruppo parlamentare fascista e dagli organi centrali del movimento, ma i fascisti della pianura padana si ribellano.
    La zona dove scoppia la ribellione è sintomatica: la pianura padana è la regione in cui il fascismo è nato e si è sviluppato più tardi e con caratteri di classe più netti e precisi che altrove. Qua i fascisti provengono, almeno per i nove decimi, dai ceti di proprietari agricoli che prima e durante la guerra erano tutti, come già abbiamo detto, ferocemente neutralisti e germanofili. E sono adesso i loro figli che costituiscono la truppa delle “spedizioni punitive” fatte in nome della patria; proprio loro che durante la guerra sono stati in gran parte imboscati, perché gli agrari della pianura padana diventano patrioti e coraggiosi solo quando si tratta di difendere i propri interessi.
    La ribellione dei fascisti della pianura padana, numerosissimi, vince e costringe ancora una volta Mussolini a cedere. Il patto di pacificazione è denunciato e le violenze ricominciano dappertutto.
    Nel luglio 1021 Mussolini è costretto a confessare “Con lo sviluppo enorme preso dal nostro movimento sono confluiti nei Fasci migliaia di individui che hanno interpretato il fascismo come una difesa di determinati interessi personali e come una organizzazione delle violenze per la violenza”.
    Ma pochi mesi dopo lo stesso Mussolini, prigioniero di questa situazione, accetta di assumersi la responsabilità di quei sistemi che aveva poco prima deprecati , li esalta e li teorizza.
    Il motivo di queste evidenti contraddizioni deve essere cercato nel successo sempre crescente del fascismo, nonostante i suoi eccessi, anzi proprio per i suoi eccessi. Il fascismo domina l’avversario e ogni giorno di più conquista una superiorità che comincia a diventare assoluta nel paese.
    Davanti alla sorprendente fortuna del fascismo che promette di distruggere, col manganello e la pistola, il socialismo e le organizzazioni operaie, si dileguano anche gli scrupoli legalitari dei costituzionali. Tutti chinano la testa davanti a un prepotere che si afferma con irresistibile vigore.
    Poteva, il capo riconosciuto – anche se non sempre obbedito – di un movimento vittorioso abbandonarlo proprio il giorno del trionfo? Sarebbe stato necessario uno spirito d’eroismo fuori dal comune.
    Bazooka!!!

  2. #2
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    ...perché gli agrari della pianura padana diventano patrioti e coraggiosi solo quando si tratta di difendere i propri interessi.

    Per difendere i propri interessi l'uomo, non solo gli agrari della pianura padana, diventa fascista, comunista, cattolico, anti-clericale, piddino, nazionalista, immigrazionista.....

    Qualche idealista c'è, ma sono pochi.

  3. #3
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Quello che De Ambris ed altri come lui, analogamente a quanto avviene adesso nel caso di certi neofascisti a tendenza "sinistrorsa", non compresero è che, al di là dell'opportunità e dei tatticismi politici, il fascismo non poteva che spostarsi gradualmente a destra per un'intima logica non di politica spicciola ma di filosofia e cultura politica (almeno in senso lato).
    Come si è già detto altre volte sul forum, l'intuizione all'origine del fascismo è che la realtà delle nazioni sia più forte e radicata di quella delle classi sociali prodotte dalle dinamiche economiche. Questo significa demolire il socialismo in uno dei suoi fondamenti essenziali, tanto marxista e comunista quanto riformista. Posta la premessa, non deve stupire che poi ne sia stata tratta la debita conclusione. E, pertanto, ciò che nel programma e nelle istanze originarie dei Fasci del '19 era retaggio del passato socialista di molti aderenti iniziali non poteva che venire progressivamente abbandonato o modificato o, quando mantenuto, inserito in una sintesi politica differente. È un errore credere che si sia trattato molto banalmente di svendersi agli agrari o agli industriali, per quanto quest'ultimi possano aver favorito in determinati contesti le squadre d'azione, finanziandole in funzione anti-socialista o offrendo loro uomini (ed armi). Prova ne sia che questi soggetti (agrari e industriali) in larga maggioranza avrebbero preferito che il fascismo cessasse di esistere una volta portato a termine il compito di sconfiggere le organizzazioni socialiste o che, perlomeno, si "normalizzasse" al punto da divenire un mero puntello dello Stato liberale all'epoca esistente. Le cose invece andarono molto differentemente, come sappiamo, al netto degli inevitabili compromessi. D'altronde l'opposizione al socialismo - per i motivi di cui sopra -, se sviluppata consequenzialmente, non poteva che approdare ad una coerente opposizione al liberalismo e, più precisamente, a tutto il "mondo" scaturito dalla Rivoluzione francese del 1789. De Ambris e chi, all'epoca, la pensava in modo simile a lui, per quanto presumibilmente in buona fede, rimpiangevano un fascismo ancora allo stato grezzo che, in modo paradossale, se non si fosse evoluto ulteriormente, avrebbe rischiato di combattere una battaglia campale contro nemici dei quali poi avrebbe finito per riproporre gli intenti anziché all'ombra della falce e martello sotto il manto ipocrita del tricolore.
    Ultima modifica di Giò; 02-09-21 alle 13:35
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    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  4. #4
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Citazione Originariamente Scritto da Giò Visualizza Messaggio
    Quello che De Ambris ed altri come lui, analogamente a quanto avviene adesso nel caso di certi neofascisti a tendenza "sinistrorsa", non compresero è che, al di là dell'opportunità e dei tatticismi politici, il fascismo non poteva che spostarsi gradualmente a destra per un'intima logica non di politica spicciola ma di filosofia e cultura politica (almeno in senso lato).
    Come si è già detto altre volte sul forum, l'intuizione all'origine del fascismo è che la realtà delle nazioni sia più forte e radicata di quella delle classi sociali prodotte dalle dinamiche economiche. Questo significa demolire il socialismo in uno dei suoi fondamenti essenziali, tanto marxista e comunista quanto riformista. Posta la premessa, non deve stupire che poi ne sia stata tratta la debita conclusione. E, pertanto, ciò che nel programma e nelle istanze originarie dei Fasci del '19 era retaggio del passato socialista di molti aderenti iniziali non poteva che venire progressivamente abbandonato o modificato o, quando mantenuto, inserito in una sintesi politica differente. È un errore credere che si sia trattato molto banalmente di svendersi agli agrari o agli industriali, per quanto quest'ultimi possano aver favorito in determinati contesti le squadre d'azione, finanziandole in funzione anti-socialista o offrendo loro uomini (ed armi). Prova ne sia che questi soggetti (agrari e industriali) in larga maggioranza avrebbero preferito che il fascismo cessasse di esistere una volta portato a termine il compito di sconfiggere le organizzazioni socialiste o che, perlomeno, si "normalizzasse" al punto da divenire un mero puntello dello Stato liberale all'epoca esistente. Le cose invece andarono molto differentemente, come sappiamo, al netto degli inevitabili compromessi. D'altronde l'opposizione al socialismo - per i motivi di cui sopra -, se sviluppata consequenzialmente, non poteva che approdare ad una coerente opposizione al liberalismo e, più precisamente, a tutto il "mondo" scaturito dalla Rivoluzione francese del 1789. De Ambris e chi, all'epoca, la pensava in modo simile a lui, per quanto presumibilmente in buona fede, rimpiangevano un fascismo ancora allo stato grezzo che, in modo paradossale, se non si fosse evoluto ulteriormente, avrebbe rischiato di combattere una battaglia campale contro nemici dei quali poi avrebbe finito per riproporre gli intenti anziché all'ombra della falce e martello sotto il manto ipocrita del tricolore.
    Esatto. Ed aggiungiamoci anche che le note politiche sociali del fascismo -all'avanguardia sia in quel periodo che oggi, e sicuramente apprezzabilissime- furono promulgate sia per il retroterra culturale di Mussolini, ma soprattutto per poter governare una nazione stabile ed ordinata.

  5. #5
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    I fascisti del 1920-21 (l'agraria e gli industriali , i grossi borghesi) furono gli stessi in gran parte che il 25 luglio fecero cadere il Fascismo e che l'8 settembre precipitarono l'Italia nella vergogna eterna. Nella Repubblica Sociale non pre nulla si parlò di 'ritorno alle origini'. Mussolini cercò sempre di recuperare De Ambris e di farlo tornare in Italia dall'esilio che si era autoimposto.
    Bazooka!!!

  6. #6
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Citazione Originariamente Scritto da Gallarò Visualizza Messaggio
    I fascisti del 1920-21 (l'agraria e gli industriali , i grossi borghesi) furono gli stessi in gran parte che il 25 luglio fecero cadere il Fascismo e che l'8 settembre precipitarono l'Italia nella vergogna eterna. Nella Repubblica Sociale non pre nulla si parlò di 'ritorno alle origini'. Mussolini cercò sempre di recuperare De Ambris e di farlo tornare in Italia dall'esilio che si era autoimposto.
    Questo è il leit motiv che ripeti pedissequamente ogni volta, ma dimostri di non entrare nel merito dell'obiezione di fondo, che è questa qua: il fascismo si è volto a destra non per convenienza politica (o comunque non solo) ma per una necessità di coerenza con il riconoscimento della realtà della nazione come superiore a quella delle classi. Storicamente, oltre tutto, siffatte considerazioni non reggono perché il retroterra politico e culturale originario di Dino Grandi fu nel socialismo e nel repubblicanesimo mazziniano, nonostante il padre fosse un liberale monarchico (ancorché con un debole per Mazzini). Per un certo periodo Grandi simpatizzò per la Lega democratica nazionale di Romolo Murri, sacerdote scomunicato dalla Chiesa perché modernista. Giuseppe Bottai aderì al fascismo sin dal marzo 1919 ed inizialmente si oppose ad accordi elettorali con nazionalisti e liberali conservatori. Era stato educato dal padre secondo ideali repubblicani ed anticlericali. E si potrebbero fare un ulteriori esempi. Ma tutto questo non è davvero rilevante, così come non è rilevante il fatto che Mussolini abbia cercato ripetutamente di riguadagnare la fiducia di De Ambris. Ad essere rilevante è che il fascismo col tempo ha abbandonato determinate posizioni perché riconosciute o non realizzabili o incompatibili con il proprio disconoscimento del socialismo.
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Grandi era una banderuola,quando il Fascio di Bologna era sotto controllo di Arpinati non poteva nemmeno andare a trovare la madre pena la bastonatura. La Repubblica Sociale già nel nome sia riallacciava alle origini diciannoviste ed è la Rsi il lascito testamentario di Mussolini.Naturalmente rifarsi alla Rsi è scomodo al giorno d oggi soprattutto per chi di mestiere fa il politicante.

  8. #8
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    Predefinito Re: Evoluzione del Fascismo - De Ambris

    Citazione Originariamente Scritto da Gallarò Visualizza Messaggio
    Grandi era una banderuola,quando il Fascio di Bologna era sotto controllo di Arpinati non poteva nemmeno andare a trovare la madre pena la bastonatura.
    Se sostieni che fosse una "banderuola", allora ti è difficile collocarlo tanto a destra quanto a sinistra (o al centro). Sempre che tu voglia mantenere una certa coerenza nei tuoi ragionamenti.

    Citazione Originariamente Scritto da Gallarò Visualizza Messaggio
    La Repubblica Sociale già nel nome sia riallacciava alle origini diciannoviste ed è la Rsi il lascito testamentario di Mussolini.Naturalmente rifarsi alla Rsi è scomodo al giorno d oggi soprattutto per chi di mestiere fa il politicante.
    Se si confronta il testo del programma sansepolcrista con il testo del Manifesto di Verona del '43, chiunque potrà notare la notevole differenza tra gli intenti erresseisti e quelli sansepolcristi. Da ciò ne consegue che il ritorno alle origini non fu a vesti programmatiche ormai superate dagli eventi, bensì ad uno spirito combattivo e squadrista che doveva tornare ad animare le file del fascismo dopo la duplice debacle del 25 luglio e dell'8 settembre, ovviamente nel solco della sintesi tra amore di patria e giustizia sociale, quella sì tentata sin dalle origini sansepolcriste e portata avanti dal fascismo anche successivamente, nonostante le difficoltà date da ostacoli ed inevitabili accordi con soggetti politici, istituzioni ed attori economici estranei al fascismo.
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

 

 

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