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amaryllide
Consulta, Conte non ha usurpato i poteri del Parlamento usando i Dpcm nella gestione del Covid ROMA - L'ex premier
Giuseppe Conte non ha violato le regole, né ha infranto la Costituzione, quando, in piena pandemia, ha utilizzato lo strumento dei Dpcm, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, per affrontare la drammatica emergenza di quei giorni. Dietro quei Dpcm c'erano i decreti legge dello stesso governo che consentivano proprio al premier di intervenire con misure adatte a contenere il diffondersi del virus. E questo non si può considerare come un atto di natura incostituzionale perché il premier, attraverso i decreti legge, non ha ottenuto una delega legislativa che ne sostituiva i poteri, ma ha semplicemente tradotto in norme, ha attuato, le linee guida dei decreti.
Dopo la sentenza firmata dal giudice costituzionale
Augusto Barbera, del gennaio di quest'anno, che bocciava la legge della Valle D'Aosta meno restrittiva in materia di Covid di quelle del governo, è un'altra toga della Corte,
Stefano Petitti, a scrivere una nuova decisione che fissa ulteriori paletti nell'intricato rapporto tra poteri del governo, decreti legge e Dpcm. Altre ce ne saranno dopo questa, ma intanto un ulteriore punto fermo è stato messo, rispetto alla campagna condotta da tanti giuristi convinti che dietro i Dpcm ci fosse una forzatura costituzionale.Petitti invece non rileva che impropriamente, e quindi fuori dagli articoli della Costituzione, ci sia stata - come invece sostiene il giudice di pace di Frosinone che si è rivolte alla Corte - una violazione, in quanto i due decreti legge della primavera 2020, nel momento più caldo dell'esplosione della pandemia, avrebbero affidato al premier in carica, a Conte, una funzione legislativa in aperto contrasto con gli articoli 76, 77 e 78 della Costituzione, che, in sequenza, fissano il rapporto stretto tra governo e Parlamento nella gestione della legislazione d'urgenza.
Ma perché il giudice di pace di Frosinone si rivolge alla Consulta? Nelle sue mani c'è il caso di un cittadino che durante il Covid si vede infliggere una multa da 400 euro perché è uscito dalla sua abitazione quando ciò era vietato in pieno lockdown. E qui, secondo la Consulta sbagliando, il giudice di pace individua la forzatura costituzionale di un decreto legge che consente al presidente del Consiglio di agire attraverso i Dpcm.
Una querelle che è andata avanti per tutto il periodo in cui Conte è stato premier nei mesi terribili del Covid. Ma adesso la Corte fa ordine. Innanzitutto, come prima cosa, ha dichiarato inammissibile (e quindi non è entrata nel merito) la censura del giudice di pace sul primo decreto legge - il numero 6 - approvato per il Covid perché, da un punto di vista temporale, non si applicava al caso concreto. Quanto al decreto successivo, il numero 19, la Consulta ha dichiarato non fondate le critiche del giudice di pace perché - come si legge nella nota dell'ufficio stampa che anticipa la decisione della Corte in attesa del deposito delle motivazioni - "al presidente del Consiglio non è stata attribuita altro che la funzione attuativa del decreto legge, da esercitare mediante atti di natura amministrativa". Per dirla in modo semplice, stante l'emergenza Covid, il decreto, poi convertito in legge, consentiva al premier di firmare dei Dpcm per attuare le precise prescrizioni per contenere la pandemia".
https://www.repubblica.it/politica/2...nto-319126277/