[AI PIEDI DEL TRONO VUOTO] Il generale Bethlehem e la Sede vacante
Questa rubrica ormai triennale di Radio Spada, agile collezione di appunti sparsi, schegge e notarelle epigrammatiche, è nata non senza una pretesa che, nel suo piccolissimo – per non dire infimo –, ha avuto del rivoluzionario. Per la prima volta, infatti, due laici, con toni volutamente leggeri, senza alcuna pretesa d’esaustività, consegnano ai lettori una sorta di autodiagnosi del cosiddetto mondo “sedevacantista” italiano. Lo fanno, si diceva, con quel poco di acume che Dio ha avuto la benevolenza di donare loro, consapevoli che in tempi ferrigni come quelli in cui stiamo vivendo, ormai privati di tutto, persino della dignità, l’autoironia è forse l’unica cosa che rimane: non ridarà la speranza, non risolleverà i cuori, ma almeno – si spera – strapperà un sorriso e, chissà, magari toglierà un po’ di polvere dalle menti appassite. A tal proposito è bene precisare che non è intenzione degli autori offendere nessuno. Saranno elencati numerosi limiti di un mondo marginale, angusto, a tratti persino fetido, ma un mondo a cui loro sentono irrevocabilmente d’appartenere. Ci potranno essere persino sferzate indelicate. Nel qual caso saranno date con la medesima asprezza di quelle che pure loro meriterebbero. Ogni difetto evidenziato è quindi anche e soprattutto loro, anzi, forse loro stessi sono il peggio che questo piccolo mondo antico abbia mai prodotto. Non è falsa modestia: in tempi di mediocrità diffusa come quelli in cui viviamo, essere pessimi è pur sempre un segno di distinzione [RS].
di Luca Fumagalli e Piergiorgio Seveso
Questa rubrica tra poco tempo taglierà il traguardo dei tre anni di vita: ci sembrava giusto fare una piccola ricollezione tematica, quasi con delle composizioni di luogo a mo’ degli esercizi di Sant’Ignazio, per festeggiare questa meta raggiunta, prima di riprendere il cammino.
Come sanno i lettori di Radio Spada, questa è una rubrica per molti ma non per tutti: per il semplice motivo che si rivolge ad una porzione dei nostri lettori naturalmente più ridotta, quella che in qualche modo si riconosce nelle posizioni del sedevacantismo (sia esso Cassiciacum che simpliciter, visto che siamo in Italia la distinzione è d’obbligo) o che ha una prassi ecclesiale preponderantemente o totalmente non una cum.
Le nostre descrizioni sociologiche e di costume, i nostri bozzetti caratteristici, le nostre ricostruzioni d’ambienti e di stili, il nostro tratteggiare di tipi, tipetti e tipacci (ci vorrebbe un Teofrasto redivivo) del sedevacantismo italiano ha interessato e incuriosito ed è stato il volano per riflessioni e suggestioni nel cuore di molti. All’esterno i non sedevacantisti ci hanno spesso domandato lumi e chiesto chiarimenti (spesso alle chiassose e festose giornate di cultura radiospadista ma anche in colloqui privati) che ben volentieri abbiamo dato, spesso hanno ritrovato gli stessi stilemi, gli stessi tic (“Specchio specchio delle mie brame”), le stesse innocenti (o colpevoli) manie nel loro stesso mondo, magari a livello minore e con un grado minore di paranoide parossismo.
A tutti abbiamo consigliato benevolenza e pazienza, un po’ di sprezzatura e un po’ di divertita rassegnazione, dal momento che nel naufragio della Chiesa siamo tutti drammaticamente coinvolti, per citare un vecchio pezzo sul capovolgimento del Poseidon, Inutile prendersela coi mulini a vento, specie quando sono inceppati.
All’interno del mondo sedevacantista invece i frutti sono stati maggiori e più cospicui: ne vediamo e ne ammiriamo le forme, i colori gradevolissimi, ne suggiamo il nettare, ne gustiamo felici la polpa.
Accanto alla inevitabile radicalizzazione negativa, fidelitaria e fideistica del “Non leggere-non guardare-non pensare”, altri hanno letto, guardato e pensato e questo è già stato molto importante.
Pur nella maniera ironica, buffa e informale con cui abbiamo operato, si è innalzata una bandiera, un’altra bandiera (o meglio un’altra forma della medesima bandiera) e quando ci sono due bandiere in campo, ben si sa, già un risultato è ottenuto: l’una impatta visivamente con l’altra, la neutralizza, la relativizza, la depotenzia, togliendone l’unicità e distogliendo l’attenzione generale. Hoc erat in votis.
Se volevamo portare un po’ di sole, di profumi e di colore nelle catacombe (e nelle osterie), ci siamo riusciti, anche perché di questo sole, di questo colore, di questa deflagrante dirompenza, sempre si parla e questo è un gran bene.
E il tempo è una macina che lavora inesorabilmente e provvidenzialmente, gli animi sono come un fertile terreno dove la semente gettata cresce nei modi e nei tempi più imprevisti e più sorprendenti.
Anche perché, in questi tempi più liquidi come questi, basta un solo “click” per entrare, come Alice, in un mondo di meraviglie.
Compatibilmente con l’azione di Radio Spada e con le ricerche e le mansioni di entrambi, questa rubrica ha avuto un suo lento e progressivo sviluppo, anzi abbiamo avuto il piacere di portare, come era prevedibile e legittimo, la nostra analisi su un piano internazionale, con traduzioni di alcuni articoli in francese, inglese, spagnolo e polacco (anche perché il nostro piccolo Barnum si ripropone con diversi protagonisti anche all’estero).
Certamente ci sono ancora delle puntate preannunziate che aspettano di essere portate a termine, come “Estetica del sedevacantismo”, “Stato d’eccezione e Sede vacante” e “Sedevacantismo e politica”, e altre che nelle nostre quotidiane conversazioni affiorano. Se avessimo confinato questi nostri articoli solo in un libro, li avremmo resi meno fruibili, esponendo il libro stesso alle fatwe e alle interdizioni di qualche ayatollah bisinfio. Non sarebbe stato né utile, né efficace.
Adeguandoci al clima un po’ vacanziero (Coronavirus permettendo), oggi dedichiamo la puntata alla figura del “malvagio” in alcune distopie post- apocalittiche cinematografiche. (ovviamente questi scenari sono “prefigurazione” della suprema distopia che stiamo vivendo ovvero la vacanza della Sede Apostolica)
Il malvagio in questione di solito usurpa o, forse meglio, riempie il vuoto d’autorità creato dalla sparizione del potere costituito, dalla sparizione di qualsiasi potere legittimo (o almeno vagamente legittimato) o con la forza, con l’astuzia, o con una sorta di carismatico potere, circondandosi spesso di una milizia (con un passaggio tangibile da “chiesa militante” a “chiesa miliziana”).
I nostri lettori ed ascoltatori più attenti avranno già individuato che si tratta di una riflessione che conduciamo ormai da diversi anni su Radio Spada, individuando via via figure che per un aspetto o un altro possono rientrare in questa caratterizzazione generale.
Abbiamo spesso usato la figura di Golia contrapposto a quella del giovane Davide (non a caso nella nostra aula abbiamo una riproduzione dello splendido quadro di Tanzio Da Varallo con Davide che regge la testa mozzata del Gigante) oppure quella del Re Saul, roso dal tarlo della malevolenza, sempre opposta all’innocenza del futuro Re Davide, oppure a quella del generale Oloferne cui la coraggiosa ed astuta Giuditta mozza il capo nel campo avversario, oppure, passando decisamente dal sacro al profano, quella del capitano Philip Francis Queeg in “The Caine Mutiny” di Edward Dmytrik con le sue tormentanti e tormentate biglie d’acciaio.
Anche nelle distopie cinematografiche post-apocalittiche avevamo una vasta scelta di personaggi cui fare riferimento: il “Duca” di New York contro cui si trova a combattere il coraggioso Iena Plissken (Kurt Russell) in “1997: fuga da New York”, “Lord” Humungus che in “Interceptor – Il guerriero della strada” viene sconfitto da “Mad” Max (Mel Gibson), il Diacono di “Waterworld” che perde la vita scontrandosi con Mariner (Kevin Costner).
Volendo poi passare dall’acqua al ghiaccio, dalle barche ai treni, in “Snowpiercer”, un film veramente significativo, Wilford e la sua collaboratrice ginecocratica, la spietata Mason, alla fine periscono, sconfitti dall’eroe Curtis (Chris Evans), come anche viene distrutto il cyborg Terminator da Kyle Reese (Michael Biehn) nel film omonimo.
Abbiamo scelto infine il generale Bethlehem, magistralmente interpretato da Will Patton ne “L’uomo del giorno dopo – The postman” perchè assomma in sì tutte le caratteristiche sopra descritte.
In seguito ad un cataclisma (forse nucleare) gli Stati Uniti hanno cessato di esistere come entità politica ed il potere è esercitato, con forza ed una buona dose di arbitrarietà e violenza, dalle milizie holniste capeggiate dal “generale” Bethlehem che hanno creato anche una legislazione orale ad hoc di tipo oligarchico, detenendo il monopolio della forza e quindi anche del diritto.
Sarà un attore vagante e fuggitivo, peraltro non privo di ombre e di meschinità antieroiche, improvvisatosi postino degli Stati Uniti (Kevin Costner) a creare nelle popolazioni angariate o semplicemente abbandonate a loro stesse la nostalgia dell’ordine e della legittimità perdute. E lo farà creando un sistema di “postini” (radiospadisti?) che consegni la corrispondenza tra le popolazioni fino a quel momento isolate tra loro.
Il Generale prima sottovaluta il pericolo, poi si avvede che qualcosa sta montando tra le popolazioni, intravede ad esempio delle caricature sbeffeggianti che lo riguardano (“la satira”), imbastisce quindi reazioni furiose, facendo impiccare parecchi postini, e alla fine viene vinto in una sorta di battaglia finale.
Il Portalettere gli risparmierà la vita ma il Generale la perderà comunque, vittima di un atto estremo di orgoglio che lo spingerà a tentare di colpirlo alle spalle.
In questo la fine di Bethlehem non è dissimile da quella del Vescovo corrotto (un Thomas Becket a rovescio) in “LadyHawke” che non sopporta l’onta non di essere vinto ma di essere umiliato da una donna e per questo viene trafitto proprio da una SPADA, scagliata da Etienne Navarre (Rutger Hauer) sulla sua cattedra.
Sono, possono essere, potranno essere vicende tipiche di un’epoca ecclesiale come la nostra, dove la legittima autorità cattolica (e non certo dai tempi di Bergoglio ) è venuta meno e quindi vi è una generale e inevitabile particolarizzazione e segmentazione autocratica e persino autocefala del tessuto ecclesiale dove tutti sono un po’ maestri senza cattedra e apostoli senza missione.
Volendo però chiudere questa divagazione non peregrina con una nota assai meno cruenta preferiamo pensare che alla fine al dramma si sostituisca la commedia come nel finale morale di “Per vincere domani - The Karate Kid” (che compare all'inizio del secondo film della saga) dove il maestro Miyagi (Pat Morita) sconfigge l'iniquo Sensei John Kreese, titolare del Kobra Kai, in un modo esemplare e ispirato da carità e giustizia, come potreste vedere nel filmato qui sotto.
dal minuto 2.25
Nella festa di Sant’Elena imperatrice e vedova
durante l’Ottava dell’Assunzione di Maria Santissima.