Ai piedi del Trono vuoto
Padre Gabriele Maria Roschini dei Servi Di Maria in una sua famosa dissertazione su “La Madonna del Santissimo Sacramento. Relazioni tra l'Eucaristia e la Madonna”, edita per i tipi di A. Belardetti, a Roma nel 1953, aveva raccontato che l’eminentissimo Cardinale Lepicier, riferendo al Papa Pio XI della visita da lui fatta in Abissinia, aveva Detto: "Ho Rilevato tra quelle popolazioni nere una spiccata devozione per tre cose bianche: l'ostia Bianca, la Vergine bianca e il Papa bianco". Il Papa fu molto commosso da questa asserzione. Padre Roschini continuava così: "Effettivamente tre radiosi misteri, e tutti e tre soffusi di un mistico arcano candore, distinguono nettamente, secondo un rilievo ormai diventato comune, la vera dalle false religioni "cristiane": il mistero dell'Ostia bianca, il Mistero della Vergine bianca e il mistero del Papa bianco.
L'Eucaristia, la Madonna e il Papa! Ecco i tre grandi capisaldi della nostra fede cattolica, ecco tre potenti calamite, le tre stelle orientatrici delle menti e dei cuori sinceramente cattolici. Ecco le tre grandi sorgenti di forza soprannaturale della Chiesa cattolica, la Chiesa di cui Cristo, nascosto sotto i candidi veli eucaristici, è il Capo invisibile, di cui il Papa è il Capo visibile, di cui Maria Santissima è il Cuore. l'Eucaristia, la Madonna e Il Papa: queste tre mistiche bianchezze della Chiesa cattolica costituiscono un trinomio luminoso, compatto, inscindibile".
Un Trinomio Inscindibile e, anche se il terzo membro del Trinomio sembra essersi oggi offuscato e quasi eclissato, il Papato di sempre, la serie compatta dei Papi (da San Pietro a Pio XII) brilla sempre e, se possibile di una bianchezza ancora maggiore, allo stesso modo in cui la corona solare diventa ancora più luminosa durante l’eclissi totale del Sole.
L'Eucaristia, la Madonna, il Papato sono le basi del nostro “Integralismo” che poi è solamente il cattolicesimo integralmente creduto, integralmente difeso, integralmente praticato.
Per questo non posso fare a meno di ringraziare come sempre l’amico Daniele Gandi, presidente del centro studi “Leone X” di Firenze, che anche per quest’annata mi consente di vergare qualche riga su una rivista gradevole ma necessaria come questa.
Il “Guelfo nero” nasceva infatti quattro anni fa, concomitantemente con la prima giornata della Regalità sociale di Cristo a Modena, con una piccola ma significativa pretesa ovvero di essere una rivista cattolica, né più, né meno. Una piccola rivista cattolica giovanile locale, come ce ne sarebbero migliaia in una Chiesa cattolica in stato d’ordine, ma che l’attuale situazione rende assolutamente minoritaria e quindi, pur nella sua reale pochezza e deficienza, necessaria.
Proprio in quest’ottica è doveroso ribadire alcuni semplici concetti, con quel taglio semplice e colloquiale che caratterizza la nostra rivista.
In questi anni di tregenda e di tragedia, in cui i cattolici sono stati chiamati a difendere la Fede cattolica dal più poderoso e pervasivo attacco che sia mai stato portato “dall’interno della Chiesa” contro di essa, si è spesso dimenticato (in molti ambienti ma per fortuna non in tutti) che difendere la Fede significava anche e soprattutto difendere il Papato romano, difenderne tutte le prerogative, tutti i privilegi, la natura stessa. Anche contro chi tendeva a minimizzare la portata e l’autorevolezza degli “atti pontificali” dei “papi del concilio” in nome di una “Tradizione” spesso generica e non bene fondata, in nome di un “diritto di resistenza” che sovvertiva e annichiliva in radice l’essenza stessa della Chiesa cattolica. Si è purtroppo permesso che si spargessero a piene mani in conferenze, pubblicazioni, convegni e prediche, tutti i vecchi luoghi comuni storici e teologici della propaganda gallicana ed antinfallibilista, tutti i veleni del più vieto giansenismo e antiprimatismo, portando molti dei cattolici che si opponevano alla rivoluzione del 1965 su posizioni assai simili a quelle dei tanti “cattolici anonimi” che si incontrano nelle parrocchie occupate oggi dalla stessa Rivoluzione.
Il Papato, vicariato di Cristo, è davvero la chiave di volta dell’intero cattolicesimo romano, cuore, centro e motore della Chiesa militante. Se la Chiesa cattolica è (ed è una definizione magisteriale e canonistica) una società perfetta come perfetta è la figura geometrica della circonferenza, allora il Papa è al centro di questa circonferenza. Perfectio circuli in centro posita est.
L' attuale crisi d’autorità non può mai far venir meno la deferenza verso il trono, verso la cattedra di San Pietro, oggi formalmente vuoti e solo materialmente occupati. Un tomista insigne come Monsignor Andrea Cappellazzi scriveva nel suo “L'unità cattolica e la prosperità sociale” (Crema, E. Rolleri, 1891): “Quali sono i nostri rapporti, i nostri doveri verso il Sommo pontefice, vicario di Gesù Cristo? Al Principe si deve il servizio: fidelitas, reverentia, famulatus. Fedeltà! Non deferiamo dunque ad altri quell’onore che al Vicario di Cristo si deve, “honorem principatus ad alium non deferamus”. No, non vi sono due padroni, non vi possono essere due capi in tutto uguali, non si danno due supremi; uno solo è il Supremo. Il Pontefice è Cristo: Gesù benedetto vive, parla, regna, comanda, dirige, muove nella parola, nel gesto, nello sguardo, nella persona del Sommo Pontefice. O Voi tutti che sempre misurate la potenza, e, che ardite limitare l’autorità del Vicario di Gesù Cristo, voi che gettate sempre innanzi al Pontefice la libertà della ragione, i diritti dei cittadini, le glorie sole della patria: Voi, o figli delle aspirazioni moderne, che vedere sempre ai fianchi del Pontefice di Dio, e mettete anzi di rincontro alla sua veneranda maestà papale, le autorità umane contro l’autorità divina: voi tutti peccate contro il primo precetto del Decalogo”.
Questo è il sentire schiettamente romano, papale e cattolico: lasciamo ad altri tipi di “cristiani” le trattative ecclesiastico-sindacali, i mimetismi machiavellici, i velleitarismi restaurazionistici, gli entrismi e i re-entrismi spacciati come atti di coraggio, il tanto comodo “parlar d’altro”.
Piergiorgio Seveso
Tratto da "Il Guelfo Nero", numero 5, ottobre 2010