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  1. #1
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    Predefinito Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ







    Notiamo come la narrazione progressista ponga l'uomo occidentale come ideatore e unico fruitore della schiavitù perpetrata esclusivamente ai danni dei neri.

    Questa reiterata menzogna ha permesso di instillare un indebito senso di colpa verso il generico "uomo bianco", ovviamente per trarne vantaggio ideologico.



    In realtà le cose stanno in modo ben diverso,




    Nella storia dell’umanità ci sono state tre grandi rivolte di schiavi. La prima, guidata dal gladiatore tracio Spartaco contro i romani, scoppiò nel 73 a.C. La terza avvenne nell’ultimo decennio del Settecento, quando il grande rivoluzionario negro Toussaint L’Ouverture e il suo esercito di schiavi strapparono ai francesi il controllo di Santo Domingo, per essere poi sconfitti da Napoleone nel 1802. Ma la seconda si colloca a mezza strada fra queste due, alla metà del IX secolo d.C., ed è la meno documentata di tutte. Sappiamo però che gli insorti erano negri, e che i califfi abbasidi musulmani dell’Iraq li avevano importati dall’Africa orientale, a migliaia, perché lavorassero nelle saline del delta del Tigri. I ribelli respinsero gli arabi per quasi dieci anni. Trinceratisi negli acquitrini – come avrebbero fatto in Brasile, secoli dopo, gli schiavi negri fuggiaschi –, parvero a lungo invincibili, e solo nell’883 i musulmani riuscirono a schiacciarli. Erano chiamati col nome di Zanǵ, e lo lasciarono all’isola di Zanzibar, sulle coste dell’Africa orientale – che non a caso diventò il principale mercato di schiavi del mondo arabo e tale rimase fino all’ultimo venticinquennio dell’Ottocento.

    La rivolta degli Zanǵ di undici secoli fa dovrebbe rammentarci la totale falsità delle argomentazioni ora di moda, che cercano di far credere che la schiavitù sia stata inventata dai bianchi europei. È vero, invece, che la schiavitù era inscritta nelle fondamenta del mondo classico: l’Atene di Pericle era uno stato schiavista, e così pure la Roma di Augusto. La maggior parte dei loro schiavi erano bianchi, e «nell’antichità il servaggio non aveva niente a che vedere con la fisionomia o il colore della pelle».13 Il termine medioevale «schiavo» (sclavus) indicò dapprima una persona di origine slava; nel Milleduecento si applicava ad altre popolazioni bianche soggiogate dalle armate provenienti dall’Asia centrale: russi, georgiani, circassi, albanesi, armeni; tutti trovavano prontamente acquirenti, da Venezia alla Sicilia a Barcellona, e nell’intero mondo musulmano.

    Ma il commercio degli schiavi africani, la tratta dei negri, fu un’invenzione musulmana, sviluppata dai mercanti arabi con l’entusiastica collaborazione dei loro colleghi negri, e istituzionalizzata con la più spietata brutalità secoli prima che l’uomo bianco mettesse piede sul continente africano; continuò poi a lungo dopo che nel Nordamerica il mercato degli schiavi era stato finalmente soppresso.

    Storicamente, questo traffico tra l’Africa mediterranea e quella sub-sahariana comincia proprio con la civiltà che gli afrocentristi sono così smaniosi di rivendicare come negra: l’antico Egitto. La schiavitù in Africa vigeva già da molto tempo, ma nel primo millennio a.C. il faraone Ramsete II si vanta di aver procacciato per i templi più di centomila schiavi; e in effetti è inconcepibile che la cultura monumentale egizia potesse sorgere in un regime economico non schiavista. Nei due millenni successivi le basi dell’economia dell’Africa sub-sahariana furono legate alla cattura, all’utilizzo e alla vendita degli schiavi. Le scene scolpite di vita medioevale mostrano schiavi legati e imbavagliati per il sacrificio, e intorno al 1480 i primi esploratori portoghesi trovarono un vasto traffico di schiavi in atto dal Congo al Benin. Nel XIII e nel XIV secolo esistevano nell’impero del Mali grandi piantagioni a regime schiavistico, e tutte le angherie e le crudeltà inflitte agli schiavi negli Stati Uniti del Sud prima della Guerra di Secessione – compreso l’allevamento di bambini per la vendita, come bestiame – erano praticate dai sovrani negri dei luoghi che ora gli afrocentristi additano a esempio luminoso di alta civiltà, come Timbuctù e il regno dei Songhai.

    Ciò naturalmente crea qualche problema agli afrocentristi, particolarmente a quelli che abbracciano gli ideali dei black Muslims. Negli scritti del Profeta non c’è niente che vieti la schiavitù: ecco perché divenne un campo d’affari così largamente dominato dagli arabi. Per neutralizzare questa scomoda verità occorre una grossa bugia. Di conseguenza, uno degli attuali best-seller nella comunità negra americana è una pubblicazione ufficiale del gruppo Nazione Islamica (capeggiato dall’arcifanatico Louis Farrakhan) intitolata The Secret Relationship Between Blacks and Jews, compilazione pseudostorica che pretende di rivelare la «smaccata» partecipazione degli ebrei alla creazione «della schiavitù e dell’olocausto nero». Le sue asserzioni – tipo la fandonia che il traffico schiavistico con l’America e i Caraibi fu «frequentemente dominato» da mercanti ebrei – sono state scrupolosamente confutate, punto per punto, dallo storico Harold Brackman, che si è servito spesso delle stesse fonti citate a sproposito dalla versione di Farrakhan. Ma la replica non ha fatto presa sulla comunità negra come The Secret Relationship, perché è proprio dei testi paranoidi vaccinare i lettori ingenui contro ogni confutazione, che diventa parte dello stesso gigantesco complotto globale.14

    Nei Baseline Essays e altrove si nega recisamente che in Egitto ci fossero schiavi (notizia che avrebbe colto di sorpresa Mosè), e si blatera che in Africa la schiavitù, be’, sì, esisteva, in certo modo, ma era più benigna che in America. Su questo punto non si possono fare generalizzazioni: sembra che a volte gli africani schiavi di africani fossero accolti quasi come membri della famiglia o della tribù, sia pure con diritti molto ridotti, e a volte trattati peggio del bestiame, battuti, violentati e affamati – di nuovo, un modello archetipico poi ripetuto dai proprietari di schiavi nel Vecchio Sud degli Stati Uniti. Come ha messo in luce Roland Oliver, il più eminente studioso di cose africane, direttore generale degli otto volumi della Cambridge History of Africa: tutto ciò che sappiamo sullo sviluppo del traffico di schiavi tra il Cinquecento e l’Ottocento conferma che esso non avrebbe potuto esistere senza la piena collaborazione degli Stati tribali africani, i quali facevano commercio dei prigionieri catturati nelle loro guerre incessanti.15

    L’immagine divulgata da romanzi popolari tipo Radici –gli schiavisti bianchi che irrompono, armati di moschetti e coltellacci, nella quiete di pacifici villaggi africani – è molto lontana dalla verità storica. Già da secoli esisteva un sistema di compravendita, e i rifornimenti erano controllati dagli africani.

    E con l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti questo sistema non è svanito affatto.

    Nel 1865, anno in cui la Guerra di Secessione si concluse con la disfatta del Sud, Livingstone si trovava a Zanzibar. Secondo le sue stime, quell’anno ottanta-centomila schiavi africani furono portati in catene dall’entroterra per opera di mercanti arabi e africani, caricati sui sambuchi e spediti in Persia e nei paesi arabi del Golfo.


    A differenza degli inglesi e degli americani, nell’Ottocento né gli arabi né i re africani videro la minima ragione umanitaria per opporsi alla schiavitù. I mercati di schiavi che rifornivano gli emirati arabi erano ancora operanti a Gibuti nei nostri anni Cinquanta; e dal 1960 il traffico ha prosperato in Mauritania e nel Sudan. Ci sono tuttora notizie di schiavi di proprietà personale nella Nigeria settentrionale, nel Ruanda e nel Niger. Jean-Bedel Bokassa, incoronato nel 1977 imperatore della Repubblica Centrafricana, e abbracciato fraternamente in quell’occasione da un Giscard d’Estaing con un debole per i diamanti, possedeva centinaia di schiavi e ogni tanto, per divertirsi, ne massacrava un certo numero. Se, come ha detto una volta H. Rap Brown,w la violenza è americana come la torta di mele, la schiavitù, sembrerebbe, è africana come le patate dolci.

    Eppure l’idea della colpa solitaria di Europa e America continua a infestare le discussioni sulla schiavitù. Alcuni leader negri africani e anche americani, tra cui, stranamente, il reverendo Jesse Jackson, hanno addirittura proposto che l’America e le nazioni europee industrialmente sviluppate, beneficiarie, a suo tempo, dello schiavismo, paghino adesso una sorta di penale ai paesi africani, a titolo di riparazione ufficiale del danno socioeconomico procurato dalla tratta degli schiavi, per aiutare quei paesi a costruire la loro base economica. L’Africa di oggi, sostengono, ne ha diritto tanto quanto Israele ha avuto diritto alle enormi sovvenzioni versate dall’ America e da altri paesi come risarcimento dello sterminio hitleriano degli ebrei europei. Curiosamente, nessuno propone che anche gli emirati arabi o l’Iraq diano il loro contributo, che a rigor di logica dovrebbe essere molto consistente (maggiore di quello europeo e perfino di quello americano, e facilmente ricavabile dalle rendite petrolifere). Se Washington deve pagare per i peccati di Simon Legree nella Capanna dello zio Tom, sembra equo che Baghdad debba espiare quelli dei califfi abbasidi.

    Africani, islamici, europei, tutti ebbero parte nella schiavitù dei negri, la esercitarono e trassero profitto dalle sue miserie. Ma alla fine soltanto l’Europa (includendovi, in questo caso, il Nordamerica) si dimostrò capace di concepirne l’abolizione; solo l’immensa forza morale e intellettuale dell’Illuminismo, rivolta contro l’odiosa forma di oppressione rappresentata dalla schiavitù, fu in grado – in modo disuguale e con molta difficoltà – di far cessare la tratta degli schiavi. Che ora ci siano dei cosiddetti storici inclini a trascurare questo fatto mi sembra stupefacente. Ma è vero che da queste parti il rasoio di Occam e il concetto che l’onere della prova spetta a chi accusa non contano molto.

    A questo punto, infatti, ci scontriamo col cardine dell’atteggiamento politicamente corretto riguardo agli studi sull’oppressione. Qualunque affermazione di uno storico o di un testimone europeo bianco, e maschio, è a priori sospetta; mentre quelle di una persona o di un gruppo oppresso meritano istantanea fiducia, anche se non hanno alcun fondamento concreto. Ora, è fuori dubbio che ciò che dice la vittima dev’essere ascoltato, perché può gettare nuova luce sulle vicende storiche; ma va sottoposto alle stesse verifiche delle dichiarazioni di chiunque altro, o viene meno il dibattito e la verità ne soffre. I p.c. si trincerano dietro l’idea che ogni esposizione storica è espressione del potere: la storia è scritta soltanto dai vincitori e la verità è politica, e non conoscibile se non dall’oppresso che l’ha sperimentata sulla propria pelle.

    Sono questi sofismi che danno modo agli autori dei Portland African-American Baseline Essays non solo di seminare nei programmi di studio frottole sulla scienza egizia, ma di introdurvi le più risibili assurdità riguardo alla scienza tout court, accomunandola alla magia. Apprendiamo così che i nerissimi egizi, quando non volteggiavano qua e là con gli alianti, predicevano il futuro grazie ai loro «trattati astropsicologici». Erano in grado di vedere cose invisibili o non ancora accadute. Costruirono le piramidi per telecinesi: concentratevi intensamente, e potrete sollevare in aria un blocco di calcare di cento tonnellate. Se non altro, questa archeologia alla Shirley MacLaine elimina l’imbarazzante problema del lavoro schiavistico in Egitto: non vorremo mica che quegli egizi negri avessero degli schiavi? L’autore del saggio da cui apprendiamo tutto questo, e molte altre cose, è Hunter Havelin Adams III, che si definisce «scienziato ricercatore presso gli Argonne National Laboratories di Chicago». La qualifica fa una certa impressione, ma in realtà, stando ai Laboratori Argonne, il signor Adams è un assistente di laboratorio incaricato di raccogliere campioni atmosferici, senza altro titolo che un diploma di scuola media superiore. Ancora un esercizio di riformulazione correttiva, questa volta biografica.

    (cit. Hughes)
    Derjenige, welcher dem Feinde statt des Pfeiles ein Schimpfwort entgegenschleuderte, war der Begründer der Civilisation
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  2. #2
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    Riassuntino?
    Far ragionare un idiota non é impossibile, é inutile

  3. #3
    Παρρησιαστής
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    Citazione Originariamente Scritto da Marximiliano Visualizza Messaggio
    Riassuntino?
    il commercio degli schiavi africani, la tratta dei negri, fu un’invenzione musulmana, sviluppata dai mercanti arabi con l’entusiastica collaborazione dei loro colleghi negri, e istituzionalizzata con la più spietata brutalità secoli prima che l’uomo bianco mettesse piede sul continente africano; continuò poi a lungo dopo che nel Nordamerica il mercato degli schiavi era stato finalmente soppresso.


    A differenza degli inglesi e degli americani, nell’Ottocento né gli arabi né i re africani videro la minima ragione umanitaria per opporsi alla schiavitù.

    Eppure l’idea della colpa solitaria di Europa e America continua a infestare le discussioni sulla schiavitù
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  4. #4
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    Citazione Originariamente Scritto da Marximiliano Visualizza Messaggio
    Riassuntino?
    .

  5. #5
    duca di rivoli
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    insomma, se non puoi disprezzare troppo gli africani puoi almeno rivalerti sui musulmani.

  6. #6
    Παρρησιαστής
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    Citazione Originariamente Scritto da massena Visualizza Messaggio
    insomma, se non puoi disprezzare troppo gli africani puoi almeno rivalerti sui musulmani.
    In realtà, parlando di schiavismo, africani e musulmani si possono disprezzare in eugual modo.
    L'uomo bianco è arrivato per ultimo ed è stato il primo ad abbandonarla.



    Storicamente, questo traffico tra l’Africa mediterranea e quella sub-sahariana comincia proprio con la civiltà che gli afrocentristi sono così smaniosi di rivendicare come negra: l’antico Egitto.

    A differenza degli inglesi e degli americani, nell’Ottocento né gli arabi né i re africani videro la minima ragione umanitaria per opporsi alla schiavitù. I mercati di schiavi che rifornivano gli emirati arabi erano ancora operanti a Gibuti nei nostri anni Cinquanta; e dal 1960 il traffico ha prosperato in Mauritania e nel Sudan. Ci sono tuttora notizie di schiavi di proprietà personale nella Nigeria settentrionale, nel Ruanda e nel Niger.
    Cit.
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    Predefinito Re: Alle radici della mistificazione progressista: LA SCHIAVITÙ

    I negri musulmani mostrano pure un vigoroso antisemitismo nel paracularsi

    Negli scritti del Profeta non c’è niente che vieti la schiavitù: ecco perché divenne un campo d’affari così largamente dominato dagli arabi. Per neutralizzare questa scomoda verità occorre una grossa bugia. Di conseguenza, uno degli attuali best-seller nella comunità negra americana è una pubblicazione ufficiale del gruppo Nazione Islamica (capeggiato dall’arcifanatico Louis Farrakhan) intitolata The Secret Relationship Between Blacks and Jews, compilazione pseudostorica che pretende di rivelare la «smaccata» partecipazione degli ebrei alla creazione «della schiavitù e dell’olocausto nero».

    https://en.m.wikipedia.org/wiki/The_...lacks_and_Jews
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