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scomunista
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Elezione presidente della Repubblica: destra e centristi, prove per il Colle. Quei 17 voti che servono a Berlusconi
di Emanuele Lauria
Maggioranza a un passo se alla coalizione si unissero (come teme il Pd) anche i grandi elettori di Italia Viva
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31 OTTOBRE 2021
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ROMA - Il numero cerchiato in rosso, sui tavoli di Arcore e di Villa Grande, è 17. Numero foriero di buoni auspici, malgrado la cabala. Rappresenta i voti che mancherebbero all’eventuale alleanza fra centrodestra e Italia Viva — indicata come già fatta da Provenzano e Di Maio — per mandare Berlusconi o chi per lui al Quirinale.
La coalizione del Cavaliere, che si è ripreso lo scettro dai litiganti Salvini e Meloni, marcia verso il voto per il Colle con la compattezza ritrovata in occasione dello stop alla legge Zan e — in assenza di un profilo da larghe intese come Draghi (o di nuovo Mattarella) — con la determinazione a esprimere un proprio nome per il Colle, da spendere intanto come candidato di bandiera. E poi? Il piano l’ha svelato, sul fronte opposto, Pierluigi Bersani: "Bruciate le prime tre votazioni, il centrodestra alla quarta si appresterà a penetrare nel mondo moderato, prima collegato al centrosinistra, per conquistare quella manciata di grandi elettori che serviranno per eleggere un proprio presidente. Berlusconi, forse, o un altro uomo, magari una donna. Di certo si prenderà la scelta. E Renzi farà la mosca cocchiera".
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Bersani avrà una talpa dietro le linee avversarie. Di certo indovina, indicandola come prospettiva da contrastare perché “non potabile” per il Paese, la strategia di Forza Italia. Avallata da Salvini e Meloni. Che ci sia o meno il patto fra Fi e Iv, è presto per dirlo: certo i renziani sono ai ferri corti col Pd e Davide Faraone, capogruppo di Iv al Senato che l’intesa con gli azzurri ha benedetto in Sicilia, pone come unici paletti, in vista della corsa al Quirinale, "un profilo di candidato europeista e un campo il più possibile largo". Il più possibile, appunto.
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Lo scenario su cui gli sherpa del centrodestra hanno puntato gli occhi è dunque la quarta votazione, quando per eleggere il nuovo capo dello Stato servirà la maggioranza assoluta dei grandi elettori: 505. Lega, Fdi, Fi e Coraggio Italia oggi si fermano a quota 445, compresi i delegati regionali. Ma con la pattuglia di parlamentari di Iv (43) si sale a 488. Mancherebbero quei 17 voti da pescare in campo centrista. L’impresa, sulla carta, non sembra impossibile: fra Camera e Senato ci sono almeno 26 esponenti d’area.
Nel conto possiamo mettere i 5 deputati di Noi con l’Italia capeggiati da Maurizio Lupi, i 5 parlamentari fra +Europa e Azione, i 5 ex forzisti dei gruppi misti (Lonardo, Causin, Bartolozzi, Benigni, Sorte), gli eletti all’estero fra cui Merlo e Cario che avevano tentato di fare un cartello europeista a gennaio e che in operazioni del genere ci sono sempre. Centrista per definizione è Pierferdinando Casini, che peraltro incarna una delle ipotesi in campo per il Colle, e centristi sono i sei deputati del sottogruppo di Bruno Tabacci. In questa zona “bianca” gravitano 26 grandi elettori, nove in più di quelli che sarebbero sufficienti per incoronare un Presidente di Centro-centrodestra. E, si badi, a questo calcolo sfuggono autonomisti e rappresentanti delle minoranze linguistiche (9), oltre che il mare magnum degli ex grillini non ricollocati nelle maggiori formazioni politiche: ben 65, alcuni dei quali raggruppati sotto le insegne di Alternativa c’è.
"Vuoi che in questo mondo Berlusconi non trovi qualcuno che gli dia una mano?", ironizza un esponente di governo forzista. Insomma: se, dal quarto scrutinio, scatterà la caccia al voto sintetizzata da Maurizio Crozza nei panni del leader di Fi ("Non posso mica comprare 50 bilocali, se ne accorgono"), potrà davvero succedere di tutto: anche l’ultimo miracolo italiano del Cavaliere che sogna la carica più alta.
Questa, va da sè, è solo una simulazione, un’ipotesi di lavoro. Primaria per il centrodestra ma con tante incognite: intanto è tutta da verificare la convergenza fra berlusconiani e renziani, fra i quali non pochi rimangono legati alla sinistra. Poi c’è da tenere sott’occhio le dinamiche interne a Fi, coi ministri in posizione critica verso l’ala più dialogante coi sovranisti. Ieri Renato Brunetta ha replicato a muso duro a Salvini che aveva accusato la stragrande maggioranza dei parlamentari "di pensare solo alla propria ricandidatura". E poi, fra gli stessi centristi, definisce questi possibili accordi al centro "manovre di piccolo cabotaggio". Bruno Tabacci è tranchant: "Se si fa un’intesa per il Quirinale che rompe il quadro che sostiene Draghi, il premier un minuto dopo dà le dimissioni: e lo perdiamo sia per il governo che per il Colle, Non mi sembra un grande affare per il Paese".
Si torna a Bersani e al suo antidoto alla prospettiva "non potabile per il Paese": "Il centrosinistra si prenda l’onere di proporre un candidato di tutti che possa bloccare i piani del centrodestra. Draghi? Non c’è solo lui", dice a Metropolis, podcast di Gerardo Greco sul sito di Repubblica.
In silenzio, negli ambienti dem si studiano soluzioni: un nome tornato d’attualità è quello dell’ex premier Giuliano Amato, oggi vicepresidente della Consulta. Lo scacchiere è ancora ricco di pedine.