User Tag List

Risultati da 1 a 3 di 3
  1. #1
    Partito d'Azione
    Data Registrazione
    22 Apr 2007
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,157
     Likes dati
    309
     Like avuti
    928
    Mentioned
    40 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)

    Predefinito Società industriale e partito

    di Adolfo Battaglia - In “Né un soldo né un voto. Memoria e riflessioni dell’Italia laica”, Il Mulino, Bologna 2015, pp. 127-134.


    La questione del partito è stata cruciale per il destino della Repubblica. Ma il punto che a quei tempi il mondo laico pose era chiarissimo: la corrispondenza fra la crescita della moderna società industriale nel nostro paese e il tipo di partito formatosi settant’anni prima. C’era da affrontare, in altri termini, la modernizzazione della istituzione cruciale della politica. Le forze laiche provarono ad affrontare questo problema che i partiti di massa ebbero il torto di ignorare.
    A spronare il Pri contribuì anche un fenomeno limitato ma significativo. Avvenne cioè che una serie di gruppi di giovani, talora di giovanissimi, si aggregasse spontaneamente intorno a La Malfa quale figura di riferimento della esigenza di riforma. Il leader repubblicano (o «azionista-repubblicano», come più esattamente andrebbe definito) poneva interrogativi pieni di fascino. Non si doveva creare un nuovo tipo di struttura politica? Non bisognava abbandonare concezioni lontane dall’Europa e poco capaci di interpretare la vita contemporanea?
    Il titolo che La Malfa scelse a metà degli anni Sessanta per un suo volume non poteva essere più esplicito: Una sinistra nuova[1]. Ma il fine tessuto degli anni Cinquanta […] si era ormai logorato. La «terza forza» era stata rifiutata. Il Partito liberale era passato alla destra e si era scisso. Il Partito radicale si era costituito e poi frantumato[2]. «Il Mondo» stava chiudendo e «l’Espresso» politicamente oscillava. Alcuni intellettuali avevano scelto di continuare la battaglia laica fra i socialisti. Il movimento sindacale non riuscì a fare i conti con le nuove realtà sociali. In breve, la sconfitta del centrosinistra riformatore si era riflessa puntualmente nello scompaginamento del campo laico. Per superarlo non rimaneva che ricominciare da capo, tendendo presente l’osservazione di Gobetti: «Le organizzazioni non si improvvisano, valgono per le tradizioni che le hanno nutrite e per gli sforzi che costarono»[3].
    Nel panorama italiano non rimaneva che il Partito repubblicano, ricco di molti pregi e svariati difetti, con una intatta tradizione e una riconosciuta pulizia morale, con le sue bandiere e i suoi inni. Il Pri bisognava però cominciare a rifondarlo culturalmente. Così, fin dall’indomani delle elezioni del ’63 gli amici di La Malfa assistettero a un continuo, incessante lavoro di rielaborazione che fece circolare in Italia una fisionomia nuova e originale. Ma forse proprio per questo – analogamente alla riflessione politica di Mendès-France in Francia – essa risultò poco comprensibile alle forze cui era rivolta. Non riuscirono a coglierla né i nuovi ceti produttivi legati allo sviluppo industriale, né l’alta borghesia, il mondo dell’intellettualità, il Nord avanzato, il Sud sottosviluppato. La visione della politica come scontro di ideologie era vischiosa; e vischiose erano anche le strutture dei partiti rinati dopo il fascismo.
    La novità della posizione lamalfiana era che saltava a piè pari l’una e le altre, partendo invece dall’analisi dei problemi nuovi posti dalla crescita della società industriale. Dall’idea che per governare una società le ideologie non possono bastare e neppure sono sufficienti i convincimenti ideali o la rappresentanza di interessi o blocchi storici. Occorreva invece cogliere la condizione storico-politica del paese in cui si opera; e la cifra della civiltà cui si appartiene. Occorreva l’analisi scientifica della condizione e delle forze, non il rifugio consolatorio in concezioni totalizzanti. C’era una fondamentale questione di cultura e di metodo che naturalmente nell’Italia delle ideologie non fu affatto ben vista.
    I temi, però, erano forti. La Malfa sottolineava in primo luogo il nesso nazionale-internazionale come fattore decisivo dell’elaborazione politico-sociale. In questo senso, l’appartenenza dell’Italia al mondo dell’Occidente non era un fatto geografico ma di civiltà politica: e dunque rappresentava non soltanto un complesso di principi ma anche di obiettivi che esigevano analisi precise della realtà, in particolare della realtà economica. Egli additava così gli inconsueti problemi creati nella società dualistica italiana dal rapporto tra innovazione tecnologica e occupazione, e dalla necessità, nella concretezza di ogni situazione, di non subordinare l’una all’altra. Sollecitava i sindacati a superare la prassi della conflittualità permanente, impadronendosi della funzione dello sviluppo da collegare strettamente alla programmazione dell’economia. Osservava che l’efficienza del settore pubblico era condizionata al rispetto della sua autonomia. Rilevava che per combattere la corruzione della vita pubblica bisognava anzitutto garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione. Annotava che il metodo della riforma esige una gradualità ben meditata di interventi, quell’equilibrio tra interventi riformatori e continuità dello sviluppo senza il quale si determina nella società un sovrappeso di traumi poco sopportabile. Dimostrava la necessità della politica dei redditi come fondamento necessario della programmazione economica non meno che della stabilità sociale.
    I partiti italiani potevano prescindere dall’analisi di tutto questo? Potevano ignorare le conclusioni che ne derivavano? Bisogna riconoscere onestamente che una crescita solida della società italiana non poteva che esservi legata. Si stenta a crederlo oggi: ma ci vollero oltre vent’anni perché queste idee divenissero politicamente non scandalose. Solo col governo Ciampi del 1993 cominciarono a ispirare l’azione di governo. Negli anni Sessanta quel progetto fu considerato o conservatore o fastidioso; di inutile disturbo degli schemi correnti sia a sinistra sia nel centro.
    In realtà tra la qualità dei progetti e la qualità dei partiti c’era un rapporto biunivoco. A un reale progetto riformatore non poteva che corrispondere un partito di tipo moderno. Ciò, da un lato, sollecitò la spinta a creare un partito di tipo nuovo, ma dall’altro accentuò anche il rifiuto del progetto riformatore da parte degli apparati politici tradizionali. In altri termini, l’ostilità incontrata dal repubblicanesimo d’impronta azionista era basata non tanto sull’esigenza di tutelare specifici interessi economici o sociali, quanto invece sulla volontà di non subire modificazioni espressa dalla struttura di ciascuno dei grandi partiti. È questo, credo, un punto su cui la storiografia ha forse poco indagato. Se si voleva l’Italia moderna occorreva mutare i partiti. E se non si volevano mutare i partiti era difficile avere un paese più moderno.
    Quasi inutile è ricordare che la cultura del nuovo partito repubblicano non proponeva esattamente cose sprovvedute. Che aveva tratto lezioni sia da Keynes sia da Schumpeter. Che si fondava sulle esperienze del New Deal rooseveltiano e delle società di welfare delle socialdemocrazie nord-europee. Che traeva luce dal lavoro del Commissariat au plan francese e dalle tesi della Price and Income Policy lanciata in Gran Bretagna dagli economisti capeggiati da Kaldor. Inutile: gli ideologismi italiani erano più forti. Non servì neppure lo sforzo di definire i termini concreti della politica dei redditi in Italia. Che cosa dovesse toccare, in quale misura, in quali tempi, con quali obiettivi, fu per La Malfa oggetto di settimane di pensieri e quasi di tormento, che nel febbraio del 1964 produssero un documento a carattere piuttosto radicale (è riportato più avanti).
    Nei giorni successivi quel testo fu più volte alleggerito o integrato grazie alle osservazioni delle competenze che lo circondavano, Bruno Visentini, Adolfo Tino, Paolo Baffi, Tomaso Carini, Antonio Maccanico, Arturo Barone (l’editorialista economico del «Giorno» che diede un utile e poco noto contributo). Quando il documento fu infine messo a punto, venne presentato al presidente del Consiglio, Moro, e poi illustrato al congresso della Uil, nel marzo 1964. Si trattava, in sostanza, di un’ultima prova, perché era sempre viva qualche speranza. Arretrare dalla formula di centrosinistra non era possibile perché non era spento l’attacco dello schieramento di destra legato al presidente Segni. Ma il centrosinistra poteva assolvere alla funzione per cui era nato soltanto realizzando lo sviluppo del paese e garantendone l’equità. L’adozione o meno della politica dei redditi avrebbe dunque stabilito la reale cifra politica della coalizione presieduta da Moro. La capacità progettuale delle forze politiche, il loro apporto alla crescita dell’Italia, passava di lì[4].
    Nella fiorente società industriale italiana il progetto lamalfiano fu rapidamente messo da parte. Sembrò qualcosa di marziano. Perfino il ministro repubblicano della Giustizia, Oronzo Reale, seppure non pubblicamente, non condivideva la posizione del suo amico e mandò a consigliarlo Bruno Visentini, che forse non era l’uomo più adatto a quella missione. Poi, una battuta attribuita a Moro al termine di un Consiglio dei ministri e maliziosamente fatta circolare («Scusate colleghi, sedete ancora un momento perché ho avuto una lettera dell’onorevole La Malfa che ci chiede di riformare lo Stato») contribuì a deteriorare ulteriormente i rapporti tra i due soli uomini di Stato di cui la democrazia disponesse. Erano già diventati rapporti poco cordiali dopo il ripiegamento di Moro del 1963. Adesso non si parlavano più e gli scontri tra loro si moltiplicarono, acuiti dall’ira sdegnosa che cresceva nel leader repubblicano vedendo proposte riformatrici moderne soffocate da una ragnatela di interessi economici e provincialismi culturali. Ci vollero dieci anni perché il rapporto tra i due leader si ricomponesse su una strategia comune e una stima reciproca.
    La storiografia è di opinione diversa, ma nacque in quei mesi l’idea che lo sviluppo della società esigeva cose differenti da un centrosinistra pallido. Il suo ultimo bagliore – dopo la trombosi che aveva colto il presidente Segni nell’agosto 1964 – fu l’elezione di Giuseppe Saragat alla presidenza della Repubblica, nel dicembre.
    La Malfa non aveva mai amato il leader socialdemocratico, del resto pienamente contraccambiato: erano di formazione culturale e temperamento umano troppo distanti. L’ultimo scontro tra loro risaliva a pochi mesi prima, quando il leader repubblicano imputò a Saragat la responsabilità del blocco del nucleare, in seguito al processo penale e all’arresto inflitti a Felice Ippolito, che il nucleare italiano aveva portato all’avanguardia europea. Tuttavia il Psdi era stato vicino alle altre forze laiche nella battaglia per la svolta di centrosinistra; e dell’antifascismo di Saragat e della sua corretta visione internazionale non si poteva dubitare. Adesso, dopo Antonio Segni, occorreva un segnale fermo: la presidenza della Repubblica non poteva tornare a un partito di maggioranza in cui si agitavano fermenti oscuri.
    Così Saragat e La Malfa condussero uniti la battaglia, inizialmente non sostenuti neppure dai socialisti di Nenni, schierati per Fanfani. Poi, irritato dal comportamento della Dc e dalle manovre che lo circondavano, Saragat decise di ritirarsi: e corse voce che avesse portato al leader repubblicano una sua lettera di formale rinunzia che La Malfa stracciò in sua presenza. Al termine di una serie interminabile di scrutini Moro si convinse che la battaglia era persa per i candidati della Dc, mentre i comunisti rinunziarono alla richiesta di intese politiche preventive. Così, alla fine, la candidatura di Saragat passò a larga maggioranza. E il nuovo presidente ringraziò pubblicamente il leader repubblicano con un grande abbraccio al Quirinale.
    Con un democratico come Saragat si dissolveva il «tintinnar di sciabole» di cui aveva parlato Nenni sotto la presidenza Segni. E una volta garantita la sicurezza della Repubblica si fu più liberi di pensare ad altro. Da una parte, socialisti e socialdemocratici presero la strada dell’unificazione, cui giunsero nell’ottobre 1966. Dall’altra, La Malfa lanciò il tentativo di modificare la sinistra attraverso il dialogo tra il piccolo Pri e la gigantesca struttura del Partito comunista.


    (...)



    [1] U. La Malfa, Per la società in trasformazione una sinistra nuova, Roma, Tipografia dell’Edera, 1965. A esso, negli anni successivi, seguì una serie di volumi di eguale valenza: Id., Ideologia e politica di una forza di sinistra, Milano, Il Saggiatore, 1968; Id., Polemica economica a sinistra, Roma, Edizioni della Voce, 1971; Id., Evoluzione e riforma della società, Roma, Edizioni della Voce, 1972; Id., La Caporetto economica, Milano, Rizzoli, 1974; Id., L’altra Italia, Milano, Mondadori, 1975.
    [2] Le lettere personali scambiate in proposito tra i due principali fondatori del partito, Mario Pannunzio e Leo Valiani, ne danno il vivo senso, cfr. Democrazia laica. Epistolario, documenti, articoli, Torino, Nino Aragno, 2012.
    [3] P. Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino, Einaudi, 1974.
    [4] «Nella polemica che si sviluppa nella primavera del 1964, prendeva chiaramente corpo un indirizzo favorevole a sospendere l’attuazione dei provvedimenti riformisti del programma governativo e al ritorno a una politica economica tradizionale, reputata più adatta a superare la fase recessiva con minor danno per l’economia del paese». Cfr. G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, Bologna, Il Mulino, 1998.
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #2
    Partito d'Azione
    Data Registrazione
    22 Apr 2007
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,157
     Likes dati
    309
     Like avuti
    928
    Mentioned
    40 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)

    Predefinito Re: Società industriale e partito

    L’idea parve stravagante, ma l’obiettivo del dialogo era di lungo raggio. Occorreva reimpostare la questione degli strumenti partitici dell’azione riformatrice; allargare l’ancora debole base di consenso dello Stato democratico; e recuperare una capacità di riforma incisiva attraverso un confronto sui contenuti con la maggiore forza della sinistra. La Malfa tentò dunque di dialogare, essenzialmente sulle concezioni economiche adatte a una società industriale dell’Occidente. Era in effetti l’unico tema su cui poteva allora ricercarsi quella revisione delle posizioni comuniste che non poteva essere neppure tentata su altri punti cruciali quali la collocazione internazionale filosovietica e l’attesa della cosiddetta «ora x»: i due cavalli bolsi che ancora affascinavano militanti e intellettuali del Pci (ci volle l’arrivo di Berlinguer per superarli, dieci anni dopo).
    Si avviarono così quei dibattiti tra il leader repubblicano e alcuni leader marxisti che segnarono una rottura della routine partitica. E non a caso trovarono larga eco e appassionarono una opinione pubblica già insoddisfatta del gioco stretto dei partiti. Andai a Ravenna nel dicembre 1965 a controllare l’organizzazione del primo incontro, tra La Malfa e Pietro Ingrao, presieduto da Eugenio Scalfari. Nel capoluogo romagnolo i comunisti erano forti ma i repubblicani stavano sul 15 per cento dei voti e la diffidenza reciproca si toccava con mano. Alla fine le modalità furono stabilite, i tempi di intervento fissati, moltiplicata la possibilità di partecipazione attraverso collegamenti televisivi; paritari il servizio d’ordine e il numero dei biglietti d’ingresso. Ma il clima era tale che corse subito la voce della stampa di biglietti falsi, da parte degli uni e degli altri.
    Fu una bellissima discussione, nella quale Ingrao ebbe accenni di apertura, cogliendo il punto chiave: la qualità intrinseca della società italiana (occidentale) in cui le forze politiche operavano. A essa seguì nel 1966 il dibattito con Giorgio Amendola a Roma, presieduto da Franco Libonati, che segnò invece un passo indietro rispetto a Ravenna. Poi a Firenze venne il confronto col segretario della Cgil, Vittorio Foa, e le sue teoriche paramarxiste. Con Riccardo Lombardi ci fu uno scambio di articoli sull’«Avanti» e «La Voce Repubblicana». Tutto fu intriso di una qualità culturale, una passione e un rispetto reciproco che oggi non sono neppure immaginabili. Si calcolarono 7.000 presenze a Ravenna, 5.000 a Roma al palazzo dei congressi; poco meno a Firenze. Vi fu un solo momento di tensione personale, quando a Roma Giorgio Amendola accusò il leader repubblicano (che era stato fra i più vicini a suo padre) di avere una visione puramente «riformista» e come tale priva di passione morale. La Malfa gli rispose seccamente che, a suo parere, la passione morale nella vita pubblica consiste anzitutto nel non sbagliare politica.
    Un commento scritto poi da me sulla «Voce Repubblicana» non piacque ad Amendola, che mi inviò una breve lettera in cui teneva a rivendicare il valore «educativo e morale» dei suoi «ricordi famigliari». Era chiaramente una lettera di amicizia per La Malfa. Pensai avesse utilizzato me come indirizzo perché (lo scriveva nelle sue memorie[1]) aveva un ricordo dolce della sua vita militare al 3° Reggimento Granatieri di stanza a Viterbo, dove nel 1928 per alcuni mesi frequentò giornalmente la casa dei miei genitori. Mio padre gli passava i libri, e lui incontrava in amicizia il suo diretto superiore, il capitano Pasquale De Leo, che abitava sopra di noi ed era un altro antifascista amendoliano.
    Circa la personalizzazione Amendola-Ingrao il leader comunista, nella sua lettera, aveva in parte ragione. Ma il fatto era che delle posizioni interne al Pci si sapeva veramente troppo poco. Oggi abbiamo a disposizione una serie di volumi di memorie, da Emanuele Macaluso a Luciano Barca, da Miriam Mafai a Rossana Rossanda, a Piero Fassino, a Claudio Petruccioli, a Mario Pirani. E a leggere i loro libri sembra che il Partito comunista dell’epoca passasse il suo tempo in feroci scontri ideologici e politici. Magari agli addetti ai lavori giungeva qualche notizia. Ma la fede nel partito era il fondamento dell’autocensura che ciascuno si infliggeva per non favorire il nemico di classe e l’imperialismo americano. E pochissimo dunque traspariva, salvo questo: che quasi nessuno nel Partito comunista si calibrava sulla riforma concreta della società italiana (sicché oggi parlare, come si fa, del «riformismo» del Pci non può che far sorridere).
    Comunque, il testo di quei grandi dibattiti, che ebbero perfino eco internazionale, costituisce tuttora un documento di grande interesse[2]. Si vedano a esempio le posizioni davvero singolari di Vittorio Foa, del tutto opposte a quelle che espresse nell’ultima parte della sua vita[3]. E rileggendo quei testi si fa fatica a credere che la posizione della sinistra tradizionale non ne venisse spostata allora neppure di un poco. Quando poi si modificò era troppo tardi. Si verifica spesso nello spazio pubblico che il peso delle argomentazioni ceda a quello delle ideologie, soprattutto quando sono legate a congiunture che si scambiano per momenti storici.




    [1] G. Amendola, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976. Più in generale, cfr. V. Sgambati, La formazione politica e culturale di Giorgio Amendola, in «Studi Storici», 1991, 3; G. Cerchia, Giorgio Amendola. Un comunista nazionale, 2 voll., Napoli, Pagano, 1998-2003.
    [2] U. La Malfa, Discutendo della sinistra, con Ingrao, Amendola, Foa e Lombardi, a cura di A. Battaglia e D. Bogi, Roma, Editori Riuniti, 1999.
    [3] Vedi per esempio V. Foa, Il cavallo e la torre, Torino, Einaudi, 1991.
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  3. #3
    Partito d'Azione
    Data Registrazione
    22 Apr 2007
    Località
    Roma
    Messaggi
    13,157
     Likes dati
    309
     Like avuti
    928
    Mentioned
    40 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)

    Predefinito Re: Società industriale e partito

    DOCUMENTO


    Il primo testo della proposta di politica dei redditi, febbraio 1964

    È questo il primo abbozzo della politica dei redditi proposta nel 1964 da Ugo La Malfa, che da un anno aveva lasciato l’incarico di ministro del Bilancio e della Programmazione economica. Era redatto in forma di comunicato-stampa e fu consegnato il 13 febbraio, per un primo esame, ai membri del ristretto staff che aveva collaborato con lui in sede ministeriale. Si noteranno, nel testo, proposte radicali, o poco gestibili, il cui evidente intento era di contrastare preventivamente l’idea, nelle forze politiche e sindacali della sinistra, che la politica dei redditi si proponesse essenzialmente il controllo dei salari. Il testo fu successivamente sottoposto a varie revisioni, sulla base dei suggerimenti delle differenti fonti cui si è accennato all’inizio di questo capitolo. Ne esiste una seconda bozza emendata e allargata, redatta il 18 febbraio.



    1. L’on. La Malfa, parlando stamane a un gruppo di dirigenti repubblicani delle varie provincie che si erano riuniti per avere notizie sulla situazione economica e sulle sue prospettive, ha dichiarato che il rischio più grave che corre il nostro paese, nell’attuale situazione, è quello che, in conseguenza di difficoltà finanziarie di molte aziende pubbliche e private, accumulatesi nel tempo, si determini una contrazione dell’attività economica, e, di conseguenza, una contrazione dell’occupazione operaia. Mentre i paesi del Mercato europeo, di fronte a difficoltà analoghe, possono tentare di manovrare la leva della mano d’opera straniera occupata nel loro territorio, l’Italia è nella condizione totalmente opposta. E poiché l’inizio di un processo di disoccupazione è, da ogni punto di vista, economico sociale e politico, la peggiore iattura cui possa andare incontro il nostro paese, bisogna che Governo, Parlamento, Amministrazione pubblica, Imprenditori, Organizzazione dei lavoratori si preoccupino di questo aspetto del problema e facciano, ciascuno nel proprio campo di azione e di responsabilità, i necessari sacrifici.
    Secondo l’on. La Malfa non vi è più campo, nella grave e delicata situazione che si può prospettare, per la presentazione di provvedimenti singoli o di carattere settoriale, che richiederebbero fra l’altro, ciascuno, lunghi e faticosi iter legislativi. Occorre, invece, pensare a un provvedimento unico, ad es. a un piano di emergenza, che tocchi i diversi aspetti di una politica di austerità e che, dopo i necessari contatti fra il governo e le organizzazioni economiche e sindacali interessate, possa essere rapidamente discusso e approvato in Parlamento. Il piano dovrebbe avere una durata triennale e dovrebbe trattare globalmente le seguenti materie:
    1. Contenimento della distribuzione dei profitti e degli utili per ogni sorta di impresa entro in limite massimo del 4% del capitale investito, con accantonamento dei profitti e degli utili non distribuiti, in forza del piano, in un conto acquisto titoli pubblici e privati, la cui destinazione verrà regolata alla fine del triennio secondo l’incremento della produttività. Contenimento del tasso massimo dei depositi presso istituti di credito ordinario entro il limite massimo del 3%. Sanzioni di decadenza dalle cariche e di detenzione personale per gli amministratori e dirigenti delle imprese che violino tali norme.
    2. Limitazione alla cifra massima di un milione mensile di tutti gli emolumenti e le remunerazioni spettanti a presidenti, consiglieri delegati, consiglieri di amministrazione, direttori generali di aziende a partecipazione statale e di aziende private, limitazione alla cifra massima di settecentomila lire mensili di tutti gli emolumenti e le remunerazioni spettanti e presidenti, consiglieri di amministrazione, direttori generali di enti pubblici di ogni sorta. Adeguamento proporzionale degli emolumenti e delle remunerazioni per l’intera categoria dei dirigenti, aventi qualifiche inferiori. Riduzione proporzionale degli emolumenti dei membri del Governo e del Parlamento. Divieto di cumulo di stipendi e remunerazioni che eccedano, per ogni categoria di dirigenti, le cifre relative a un singolo incarico. Riduzione delle pensioni o delle liquidazioni, non dipendenti da contratti assicurativi privati, in rapporto proporzionale alle nuove remunerazioni;
    3. Riduzione proporzionale degli onorari per le varie categorie di esercizio professionale; contenimento entro un massimo delle remunerazioni per i migliori attori televisivi, o per attori cinematografici e teatrali, le cui prestazioni vengano fatte nei confronti di imprese o Enti che godono di agevolazioni da parte dello Stato; contenimento entro un massimo degli stipendi e dei premi di ingaggio per esercizio di attività sportive; divieto di ingaggio di sportivi stranieri, anche se oriundi;
    4. Divieto di costruzione di appartamenti per uso privato che superino, ciascuno, la superficie di 110 m²; aumento delle imposte di trasferimento degli appartamenti a superficie maggiore dei 110 m², costruiti negli ultimi trenta anni, fino all’assorbimento dei plusvalori. Divieto di costruzione di ville, piscine, campi di giuoco privati, di alberghi e locali di lusso, definendone le rispettive caratteristiche. Divieto di costruzione di pubblici uffici, il cui costo per metro quadrato superi il parametro appositamente indicato dagli uffici tecnici;
    5. Aumento fortemente progressivo della tassa di circolazione sulle automobili con cilindrata superiore al limite indicato, prodotte o importate in Italia, o trasferite da un possessore all’altro; aumento fortemente progressivo della tassazione per tutti i beni e i consumi di lusso; prodotti o importanti in Italia;
    6. Esenzione triennale della denuncia nominativa per le azioni, le cui cedole di dividendo annuale, al netto della nuova imposta, siano anticipatamente versate, per una decorrenza minima di tre anni, presso un Istituto di credito per essere annualmente convertite in quote di sottoscrizione di nuove emissioni di un Prestito obbligazionario per opere pubbliche o di Prestiti obbligazionari a destinazione industriale. Riduzione all’8% dell’imposta cedolare di acconto per ogni tipo di azione; aumento del 30% dell’imposta cedolare secca per le azioni intestate a nominativi residenti all’estero;
    7. Divieto di nuovi impianti industriali o di ampliamento di impianti esistenti, salvo particolare licenza delle Autorità competenti, per le zone che gli Ispettorati locali del lavoro hanno delimitato come zone di piena occupazione e finché dura una condizione del genere;
    8. Mantenimento al livello esistente alla data di entrata in vigore del piano di emergenza – salvo sempre l’applicazione delle norme esistenti sulla scala mobile e purché non si tratti degli emolumenti di cui al punto 1. – di tutti gli stipendi, indennità, salari, corrisposti dallo Stato, dagli enti pubblici di ogni genere, dalle imprese industriali, commerciali e agricole.
    Nel quadro di tale piano di emergenza, ma con carattere di definitiva, devono essere contemplate le seguenti norme:
    1. Divieto di concedere nuovi contributi a favore di Enti soggetti al controllo della Corte dei conti, quando non siano state previamente sanate le eventuali irregolarità amministrative rilevate da tale Corte e riaccertate dal governo e dal Parlamento, e finché non siano stati presi provvedimenti verso i responsabili di tali irregolarità;
    2. Sottoposizione al controllo consultivo della Corte dei conti dei bilanci e della gestione amministrativa degli enti locali, che abbiano attinto per tre anni di seguito ai contributi dello Stato per sanare o ridurre i loro deficit di bilancio.


    Una lettera di Giorgio Amendola

    È questa la breve lettera di cui si parla nel testo, inviata da Giorgio Amendola in relazione all’articolo della «Voce Repubblicana» di critica alla sua posizione.



    30 ottobre 1967


    Caro Battaglia, finché si ostinerà a considerare il dibattito interno del Pci ristretto nei consueti termini della contrapposizione Amendola-Ingrao, ella si condannerà, e condannerà i suoi lettori, a non comprendere nulla di una discussione che, per fortuna, sui problemi interni e su quelli internazionali, è viva di contenuto politico e di tensione ideale. In questa discussione anche le persone ci sono, naturalmente, ma non si limitano ai pochi nomi che vengono, con scarsa fantasia, ripetuti.
    Se politicamente, perciò, non posso che criticare il suo articolo, le sono grato per la comprensione che mostra di avere per il valore che per me hanno certi ricordi famigliari, dei quali, al di là di ogni valutazione politica, ho sempre apertamente rivendicato il significato educativo e morale.
    Cordialmente
    Giorgio Amendola


    https://musicaestoria.wordpress.com/...ale-e-partito/
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

 

 

Discussioni Simili

  1. La società industriale e il suo futuro. Il manifesto di Unabomber.
    Di Josef Scveik nel forum Energia, Ecologia e Ambiente
    Risposte: 6
    Ultimo Messaggio: 26-06-16, 15:51
  2. Una crisi. Di partito ? O di societa’ ?
    Di Ulrich Realist nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 13-06-14, 16:25
  3. Risposte: 40
    Ultimo Messaggio: 30-01-07, 15:03
  4. La società industriale contro le società vernacolari
    Di Sakura nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 19-01-06, 03:07

Tag per Questa Discussione

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito