Originariamente Scritto da
Giò
Gli istinti dell'uomo (preliminarmente dovremmo comunque definire che cosa intendiamo col concetto di "istinto") possono sollecitare la volontà umana a compiere una determinata azione ma, esclusi quegli atti privi di piena avvertenza che non sono realmente liberi o comunque non sono imputabili all'uomo, l'uomo agisce in seguito ad un ragionamento, anche estremamente rozzo, su cosa sia bene fare o non fare. Spesso lo fa senza la consapevolezza filosofica dei fondamenti dei principi in base ai quali agirà, però questo non toglie che il "procedimento", se così possiamo o vogliamo chiamarlo, sarà comunque il medesimo per chiunque. È chiaro che, come accennavo prima, più si tratterà di giungere a conclusioni particolari e più il ragionamento risulterà difficoltoso perché le deduzioni da fare saranno maggiori, stante anche il fatto che l'uomo nell'applicare determinati principi al caso concreto che si trova a dover affrontare deve valutare anche le circostanze.
Il discorso sul piacere venereo è analogo a quello sulla schiavitù nel mondo pre-cristiano: è stata considerata da quasi ogni popolo e civiltà un fatto scontato per secoli, ma questo non ha mai impedito che qualche voce autorevole, per quanto isolata, si levasse contro di essa. Come già dicevo, il consenso dei popoli può essere un riscontro alla validità di determinati principi morali, ma non è comunque l'elemento decisivo.
Non è proprio così: l'uomo non "crea" le caratteristiche del gatto, del felino, ecc., ma le riconosce e poi, sulla base di quanto appreso, formula la definizione dell'ente conosciuto. Per fare un esempio più congruente, non è di certo l'uomo ad inventarsi che ciò che lo distingue in modo precipuo dall'animale o dalla pianta è la razionalità, così come non è l'uomo ad inventarsi che in comune con gli animali ha le facoltà sensitive/sensibili e con le piante le facoltà vegetative. È ciò che gli attesta la sua stessa esperienza.
Esattamente non direi, analogamente forse sì
Se devi rompere una noce ti serve sia il sasso che la mente? Diciamo più propriamente che la mente è ciò in cui si riflette sulla necessità di rompere la noce ed in cui avviene la decisione di procedere a rompere la noce. Il sasso è importante nell'esecuzione dell'azione, ma solo come strumento al servizio della decisione presa dall'uomo. È per questo che la superiorità dello spirito sulla materia resta incontestabile. Il che, lo ripeto ancora una volta, non significa pensare o dire che la materia sia superflua. Ma non si può far finta che la materia per l'uomo non abbia che valore di mezzo.
Beh invece "segue" eccome: a meno che tu non dimostri che sia possibile che la mela riceva la sua bontà da se stessa (cosa contraddittoria), vorrà dire che riceverà la sua bontà da un altro ente o da altri enti. Ed in quest'ultimo caso si riproporrà il solito problema del regresso all'infinito di enti ordinati nell'ordine delle cause efficienti (intese come causae essendi, cioè come cause che sono la ragion d'essere dell'ente). È possibile che tale "catena causale" non abbia mai un'origine in cui c'è qualcosa che è la bontà stessa e che fornisce, tramite le varie cause, all'ente la propria bontà? No, perché altrimenti quell'ente non riceverebbe mai da nessuno la propria bontà. E noi sappiamo però, perché l'abbiamo constato noi stessi, che quell'ente ha la sua bontà. Ovviamente, in questo caso sto assecondando il fatto che tu abbia preso l'appetibile come sinonimo di gustoso al palato per mostrarti la validità del ragionamento alla base delle cinque vie, ma credo che tu stesso abbia compreso che non s'intenda la bontà o appettibilità o desiderabilità dell'ente meramente in tal senso
Che la causa dell'universo sia una prima causata incausata, e perciò atemporale, è necessario perché, se fosse una causa diveniente vorrebbe dire che può mutare e che riceve la propria ragion d'essere da qualcun altro, non risolvendo il regresso all'infinito. Su questo punto rimando a quanto ho già detto.
Il resto della tua obiezione purtroppo sconta l'errore di valutare il rapporto di causa-effetto in termini cronologici e non ontologici. Il tempo è misura del divenire, ma non è il divenire stesso. Il piede che poggia sulla sabbia e l'orma sottostante da esso prodotta avranno sempre un rapporto di causa-effetto in cui il piede è la causa ed in cui l'orma sulla sabbia è l'effetto.
"Tempo eterno" comunque non può voler dire "tempo atemporale", che sarebbe una contraddizione in termini, ma un tempo che non ha fine. E su questo rimando ulteriormente a ciò che ti ho citato prima in relazione alla duplice nozione di "infinità", che risolve il problema.
Tralasciando l'esistenza degli angeli, perché so che me la liquideresti probabilmente come "questione dogmatica"
, solo l'essere umano è un ente dotato di volontà. Il fatto che ci siano eventi che non dipendano dalla volontà dell'uomo non significa che questi eventi non abbiano una causa riferibile ad uno o più enti.
Sicuramente il dogma esclude possibilità di verifica in termini sperimentali, ma credo che invece sia tu a confondere il metodo matematico-sperimentale con la logica. Il dogma rispetta comunque il principio di identità, di non contraddizione, di causalità, ecc. Il dogma della Santissima Trinità non è di certo una conclusione che si può trarre dai soli principi primi dell'essere e della conoscenza, ad esempio. Senza la Divina Rivelazione noi non sapremmo mai che Dio è Uno e Trino. Però questo non toglie che tale dogma sia incontraddittorio. Anzi, grazie ai principi primi dell'essere e della conoscenza, è stato possibile alla Chiesa, a suo tempo, combattere gli errori in materia dogmatica. Pertanto, dire che logica e dogma sono incompatibili è del tutto falso.
Comunque, ti ripeto: per me si può benissimo ragionare del libero arbitrio e della prescienza o dell'onniscienza divina in termini meramente razionali senza riferimenti al dogma. Le conclusioni non cambiano.