Originariamente Scritto da
Giò
Ammessa l'esistenza di Dio, è consequenziale ritenerlo autore della natura e vedere nelle inclinazioni naturali dell'uomo l'opera stessa di Dio.
Venendo al dunque, vanno fatte alcune precisazioni: l'essere umano è un ente e, come ogni ente, segue le leggi dell'essere. Fra queste ci sono i famosi "agere sequitur esse" e "omne agens agit propter finem". Questi due principi dicono che ogni agente agisce per un fine e che l'agire è consequenziale all'essere (ossia alla natura) dell'ente. Basta poca riflessione per cogliere la veridicità di queste due affermazioni. L'animale si comporta secondo la propria natura di animale, la pianta si comporta secondo la propria natura di pianta, il minerale si comporta secondo la sua natura di minerale, ecc.: agere sequitur esse. L'attività di ogni ente realizza una particolare potenza, rivolgendosi ad un dato termine: questo lo possiamo cogliere bene proprio riflettendo sulle nostre azioni di esseri umani. Ogni cosa che facciamo ha uno scopo, ha un fine. Persino quando agiamo per il gusto di agire siamo mossi da un fine. Da ciò ne consegue che l'uomo deve comportarsi da uomo, ossia seguendo la sua natura di animale razionale. Ma proprio perché è un animale razionale e non un animale [sensitivo, cioè che si caratterizza per avere come forma sostanziale l'anima sensitiva anziché la vegetale o l'intellettiva], un vegetale o un essere inanimato possiede una caratteristica che questo genere di enti particolari non ha: la libertà. Questo significa che può agire con consapevolezza e con una responsabilità morale individuabile. Questo significa anche che può sbagliare. Quindi l'uomo realizza il fine che gli è proprio come essere umano non secondo leggi che sono deterministicamente necessitanti o per puro istinto. Lo realizza sulla base di leggi che, pur essendo scritte nel suo stesso essere, deve attuare lui stesso, una volta conosciute, con la sua volontà. Ammesso quindi che queste leggi sono rinvenibili nella natura umana e che sono deducibili dalle inclinazioni rilevabili in questa natura, ontologicamente intesa, la gerarchia dei fini si deduce tenendo conto della natura razionale dell'uomo. Questo significherà che le facoltà spirituali avranno un primato su quelle legate alla sfera dei sensi e alla vita vegetativa. Significherà pure che ogni inclinazione e facoltà dell'uomo, a prescindere da quale essa sia, dovrà essere attuata dall'essere umano da animale razionale: ad esempio, non dovrà limitarsi a conservare la propria vita in qualsiasi modo, bensì dovrà farlo attraverso un lavoro onesto e rispettando la vita altrui oppure tenendo conto della propria salute fisica; al tempo stesso, non dovrà conservare la vita ad ogni costo, ma potrà e, in certi casi dovrà, sacrificarla per una ragione proporzionatamente grave, come potrebbe essere la difesa della propria patria, della propria famiglia, di una persona in estrema difficoltà, ecc. Oppure non dovrà limitarsi a mettere al mondo dei figli, ma dovrà farlo all'interno di un'unione stabile e riconosciuta (il matrimonio) ed adoperandosi per nutrire, crescere ed educare i propri figli. La questione del suicidio e dell'eutanasia alla quale mi pare che tu alluda si risolve tenendo conto che noi siamo stati creati da Dio (ciò lo sappiamo anche solo ricorrendo alla nostra ragione: si vedano in merito le cinque vie dell'Aquinate, che ben conosci ormai) e che quindi, come tali, noi non siamo padroni assoluti ed esclusivi della nostra vita e non siamo in diritto di farne tutto ciò che vogliamo: non siamo quindi in diritto di decidere quando porvi fine, a meno che ciò non avenga per un bene proporzionato e la morte non sia una conseguenza indiretta, ancorché prevista, di un atto moralmente buono (ad esempio: il soldato che sacrifica la propria vita per salvare la vita dei suoi commilitoni o per rallentare l'avanzata del nemico).