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Discussione: Dentro il genoma

  1. #1
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    Predefinito Dentro il genoma




    Ultima modifica di Eridano; 21-11-21 alle 18:12
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #2
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    Dentro il genoma

    La struttura del DNA nucleare è una doppia elica molto lunga (1,1 metri) a forma di spirale. Se poteste prendere una scala a pioli e torcerla in modo da formare una spirale, avreste un buon modello della molecola del DNA. I due montanti della scala sono formati da molecole di zucchero alternate a gruppi fosfato, mentre i pioli perpendicolari ai montanti sono costituiti dalle basi azotate (A,T,G,C). Ogni base forma un legame covalente con la sub unità zuccherina posta nel tratto di montante adiacente ad essa. Le basi appaiate si incontrano sull’asse centrale della doppia elica (a formare un unico piolo) e sono unite da legami Idrogeno, relativamente deboli per potersi aprire al comando della duplicazione cellulare o delle frequenti ispezioni per riparazioni che ricorrono nella vita delle cellule. 

    Linguaggio formale dei geni (solo quelli che codificano per proteine)

    Come qualsiasi altro linguaggio, quello della Genetica è composto da elementi strutturali : alfabeto, vocabolario, sintassi e grammatica. L'alfabeto dei geni ha solo quattro lettere, le quattro basi del DNA : A,C,G,T. Il vocabolario è costituito dal codice a triplette, il che significa che tre basi vengono lette insieme per codificare un singolo aminoacido nella proteina : ACT codifica la Treonina, CAT l'Istidina, GGT la Glicina e così via. La proteina è la frase codificata da un gene usando parole legate assieme in una catena (ACT-CAT-GGT = Treonina-Istidina-Glicina). Come aveva scoperto Monod, la regolazione genica crea un contesto in cui queste parole e frasi abbiano significato. Le sequenze regolatrici associate al gene, cioè i segnali che attivano o disattivano un dato gene in determinati momenti e in determinate cellule, si possono considerare la grammatica interna del genoma. Prima di capire la frase (la proteina) bisogna capire le parole (aminoacidi). Se si conosce il tipo di proteina codificato da un determinato gene, si può staccare dalla molecola (proteina) un aminoacido (tripletta), analizzarlo dopo averlo staccato e poi continuare fino all'ultimo pezzo. In tal modo si identificarono tutte le 20 parole che rappresentano i 20 aminoacidi. Si scoprirono anche le triplette di apertura e di chiusura del messaggio per la proteina.

    Le Proteine

    Una catena proteica può ripiegarsi nello spazio in maniera peculiare, come un filo metallico ripiegato in una forma utile alla funzione che deve svolgere. Tale capacità di acquisire questa o quella configurazione permette alle proteine di eseguire svariate funzioni nelle cellule. Esse sono lunghe fibre elastiche nei muscoli (miosina), assumono forma globulare per consentire reazioni chimiche nel caso degli enzimi (DNA polimerasi), legano sostanze chimiche colorate per diventare pigmenti negli occhi o in un fiore. Piegate a quadrifoglio globulare fungono da vettori per l’ossigeno nell’emoglobina e specificano come un neurone comunica con gli altri.
    Alla fine degli anni quaranta del secolo scorso già si sospettava che l’alfabeto del DNA fosse in relazione con i 20 aminoacidi che compongono sia le proteine che gli enzimi. Dato che gli aminoacidi erano solo 20, bisognava che le combinazioni possibili con le quattro lettere fossero un certo numero, non troppo piccolo e non troppo grande rispetto al numero 20. L’unica possibilità combinatoria era 4^3 = 64, ossia combinazioni in qualunque maniera di tre lettere, anche TTT. Pareva esserci un po’ troppa ridondanza (64 – 20 = 44 combinazioni ridondanti), ma presto si scoprì che un certo numero di aminoacidi rispondeva a più di una tripletta e che, oltre alla tripletta di apertura del messaggio, ce n’erano tre di chiusura. Ridondanza ce n’era, ma non eccessiva, come succede sempre in Natura.
    Le nuove tecniche della Genetica, il sequenziamento e la clonazione (sui quali torneremo in modo preciso più avanti), misero ben presto in evidenza nuove proprietà dei geni e dei genomi. La prima e più sorprendente scoperta riguardava una caratteristica unica dei geni degli animali : si scoprì che la maggior parte delle proteine animali non era codificata da lunghi tratti continui di DNA, ma da moduli discontinui. Nei batteri, ogni gene è un tratto continuo e ininterrotto di DNA, che comincia con il primo codice di triplette (ATG) di apertura e procede in maniera continua fino al segnale di stop finale. I geni batterici non contengono moduli separati e non sono divisi internamente da blocchi di lettere che li interrompono. Invece negli animali si scoprì che il gene era diviso in moduli interrotti da lunghi tratti di DNA "stuffer", cioè irrilevante. Per fare un'analogia, si consideri la parola "struttura". Nei batteri, il gene è incorporato nel genoma esattamente in questo modo, "struttura", senza divisioni, inserti, interposizioni o interruzioni. Nel genoma degli animali, invece, la parola è interrotta da tratti intermedi di DNA "inessenziale", s...t...r...u...t...t...u...r...a. I tratti contrassegnati dai puntini di sospensione non contengono alcuna informazione per la codifica delle proteine, anche se contengono T,G,A e C in grande abbondanza al posto dei puntini di sospensione. Quando un simile gene interrotto in vari punti dagli inserti di cui abbiamo parlato viene usato per generare un messaggio, cioè quando il DNA è usato per costruire RNA, i frammenti stuffer (inessenziali) sono omessi dal messaggio RNA, e l'RNA è ricucito insieme con i pezzi interposti rimossi : allora avviene che s... t...r...u...t…t…..u..r...a si semplifica in “struttura”. Questo fenomeno di taglia e incolla si chiama "splicing". In un primo tempo quella struttura discontinua lasciò perplessi : perché il genoma animale avrebbe dovuto sprecare tratti così lunghi di DNA, facendo a pezzetti i geni solo per ricucirli in un messaggio (RNA) continuo ? Presto, però, diventò evidente la logica interna di quella discontinuità : dividendo i geni in moduli, la cellula poteva generare da un singolo gene incredibili combinazioni di messaggi.

    Continuando nella nostra analogia, possiamo ottenere dalla parola "struttura" (s...t...r...u...t...t...u...r...a), altre parole come "tutta", "stura" e così via, creando da un singolo gene un gran numero di messaggi varianti, chiamati "isoforme".
    Da "genomi" (g...e...n...o...m...i) si può usare lo splicing per produrre "geni", "gnomi", "nomi". I geni modulari presentavano anche un vantaggio evolutivo : singoli moduli, provenienti da geni diversi, si potevano mischiare e combinare per costruire tipi completamente nuovi di geni, come "mistura" (“struttura” + “genomi”). Il genetista Walter Gilbert coniò un nuovo termine per questi moduli : li chiamò "esoni". I frammenti "stuffer" delimitati dagli esoni furono chiamati "introni". Nei geni umani gli introni non sono l'eccezione, bensì la regola. Sono spesso assai estesi, lunghi anche molte centinaia di migliaia di basi e i geni stessi sono separati l'uno dall'altro da lunghi tratti di DNA interposto, chiamato DNA intergenico. Dai primi anni ottanta si cominciò a sospettare che il DNA intergenico e gli introni, che rispettivamente riempiono lo spazio tra i geni e lo spazio entro i geni, contenessero sequenze che permettono ai geni stessi di essere regolati secondo procedure che sono scritte sempre con le stesse quattro lettere, procedure che però ancora non siamo in grado di decifrare. Nei primi anni 2000 ne avevamo trovate sperimentalmente solo talune di queste zone genomiche in grado di regolare i geni. In seguito ne abbiamo trovate molte e l'unica cosa che possiamo fare è di impiantarle in embrioni di animali che non possiedono quella determinata sequenza oppure che ce l’hanno diversa. Questi animali vengono usati come cavie "per vedere l'effetto che fa". Si tratta del solito metodo usato dalla Scienza, ossia perturbare intenzionalmente un sistema per osservarne gli effetti. Tra le zone geniche regolatrici dei geni ci sono anche le cosiddette HAR (Human Accelerated Region) che non hanno mostrato mutazioni per 300 milioni di anni (dai vertebrati, passando per i mammiferi, fino all'antenato comune tra uomo e scimpanzé) , salvo mostrare ingentissime variazioni negli ultimi 6 milioni di anni. Queste HAR a oggi non sono note nel loro funzionamento genetico (non si sa cosa combinino le sequenze di nucleotidi racchiuse nelle HAR), ma sono identificabili da un algoritmo.

    Gli introni, che costituiscono il 25% del nostro genoma, e che fino all’inizio del nuovo millennio erano considerati DNA spazzatura, contengono informazioni importanti per il funzionamento dei nostri geni. Questo è il motivo per cui una così grande porzione di genoma non è finita nel cestino evolutivo e, anzi, ha un ruolo nello sviluppo embrionale e nei processi cellulari fondamentali.
    Il completamento del “progetto genoma” ha indicato che i geni umani sono molti meno di quanto ci si aspettasse; infatti, invece dei 100-150 mila attesi, sono poco più di 30 mila : solo 300 più del topo e meno del doppio di un verme, ma qualcuno in meno del pesce palla. Inoltre, i geni degli organismi superiori (eucarioti) sono spezzettati, in quanto le porzioni che contengono le informazioni per costruire le proteine (esoni) sono interrotte da sequenze (introni) non utilizzate per questo scopo.
    Gli esoni costituiscono meno del 2% del nostro genoma, mentre gli introni ne rappresentano circa il 25%. Fin dal momento della loro scoperta (1978) gli introni sono stati considerati DNA spazzatura (insieme alla restante parte di DNA che non contiene geni), alimentando un dibattito sul motivo per cui una cosi grande porzione del genoma non sia finita direttamente nel cestino evolutivo.
    Recentemente il completamento delle sequenze genomiche di altri organismi (ad es. cane, scimpanzé, topo, pesce palla) ha consentito di confrontarle con quella umana (genomica comparativa). Le sequenze che hanno una funzione vengono conservate, ovvero si modificano poco tra i diversi organismi durante il processo evolutivo. Le sequenze degli esoni, che servono a codificare proteine, sono risultate infatti molto simili nelle diverse specie.
    Il dato sorprendente è che esistono altre sequenze estremamente conservate la cui funzione è però ignota. E’ stato appurato che :

    La lunghezza degli introni nel genoma umano è stata determinata dall'accumularsi (durante l'evoluzione) di sequenze che, in quanto funzionali, oggi troviamo conservate. La localizzazione lungo gli introni di tali sequenze conservate indica che molte di esse hanno un ruolo nella corretta formazione degli RNA messaggeri, cioè delle molecole che funzionano da stampo per la sintesi delle proteine. Alcuni geni contengono un grande numero di sequenze conservate negli introni. Si tratta di sequenze che hanno un ruolo nello sviluppo embrionale e in processi cellulari fondamentali.
    I geni che sono attivi nel cervello hanno più sequenze introniche conservate di tutti gli altri.
    Malgrado ciò, ci sono molte sequenze corte (per adesso più di 3000), localizzate sia dentro gli introni che nel DNA intergenico, che hanno subìto molteplici variazioni negli ultimi sei milioni di anni e sono quelle che fanno la differenza tra il genere Homo e le scimmie antropomorfe. (ma queste ultime regioni regolative – le HAR - sono state trovate quasi tutte dopo la pubblicazione di questo articolo, che però è chiaro su altri argomenti)
    L'RNA non codificante in biologia molecolare è un trascrittore genico che non va incontro a traduzione; ciò significa che il gene che codifica per tale RNA non codifica per una proteina ma semplicemente per una molecola di RNA. L'RNA non codificante può svolgere diverse funzioni: può essere un componente di complessi enzimatici implicati nei processi di trascrizione, replicazione, splicing e in altri processi riguardanti l'espressione genica. Fra l'RNA non codificante si possono citare i long non coding RNA, che sono lunghi più di 200 nucleotidi che non codificano per proteine. Tali RNA sono oggetto della ricerca odierna e sembrano essere coinvolti in molti meccanismi biologici: splicing, processi trascrizionali e post-trascrizionali, e tutta una serie di patologie ad essi associate. Quando si parla di geni, in genere si intende quelli che codificano per proteine e sono piuttosto lunghi con andamento a tre a tre, quasi sempre a pezzi intervallati da altro materiale genetico senza importanza per le proteine che dovranno formarsi. Ci sono però altri geni che non codificano per proteine, ma per fattori di trascrizione che agiscono su altri geni che codificano per proteine. Un fattore di trascrizione aggancia un altro gene capace di codificare per proteine e lo costringe a mettersi in azione con una certa intensità di produzione fino a che lo fa cessare dal produrre. In genere questi fattori di trascrizione sono parecchio più corti dei geni che codificano per proteine (circa 500 nucleotidi invece che migliaia). Naturalmente i geni che codificano per fattori di trascrizione non vanno a tre a tre e tale struttura non è ancora ben compresa, anche se ormai riconoscibile da algoritmi. in Inglese si chiamano Enhancer (rafforzatori). Sono geni di un livello più elevato che controllano dei geni sottostanti di cui si conosce la struttura. Di questi geni di livello più elevato non si capisce come funziona la struttura, ma sono riconoscibili da un algoritmo.

    E’ possibile che ci siano geni ancora più elevati che controllano gli Enhancer di cui, oltre a non conoscere la struttura, non possediamo ancora un algoritmo per trovarli. E non è detto che sia finita qui ... Il discorso fatto per le HAR (270 nucleotidi di media) vale anche per il famosissimo gene FOXP2 (500 nucleotidi di media). possediamo algoritmi in grado di ricercare e trovare queste sequenze entro un DNA qualunque e metterle a confronto con le omologhe di altri animali del phylon.

    Clonazione

    Adesso (dopo la pecora Dolly del 1997) per clonazione si intende il procedimento di sostituzione del nucleo dell'ovocita col nucleo di una cellula qualsiasi di un individuo. Quindi l'assetto cromosomico è dato solamente dal nucleo inserito nell'ovocita. 
    Negli anni ottanta del secolo scorso invece, per clonazione si intendeva il procedimento mediante il quale veniva inserito nel genoma circolare di un batterio un gene umano interessante per vari motivi. Se poi si voleva inserirlo in un altro animale, si usava un virus come vettore. In ogni modo la cosa importante era spezzare il DNA circolare del batterio (che è esattamente come i mitocondri umani), inserire il gene da studiare entro il circolo del DNA e richiudere il cerchio. Poi ci pensavano i batteri a moltiplicarsi in modo velocissimo, producendo così milioni di copie del gene in questione. Tutto questo poteva anche essere usato per obbligare i batteri a secernere proteine oppure ormoni umani per gli interessi delle case farmaceutiche. In tal maniera, per esempio, si è riusciti a produrre l'insulina a prezzi ragionevoli, contro il metodo precedente che consisteva nel macellare centinaia o migliaia di animali per estrarne dal pancreas l'insulina.

    SEQUENZIAMENTO

    Si poteva configurare l'embriogenesi come il graduale dispiegarsi del processo di regolazione genica a partire da un embrione di una sola cellula. Per un genetista, lo sviluppo di un organismo si potrebbe descrivere dunque come l'induzione (o la repressione) sequenziale dei geni e dei circuiti genetici. I geni specificavano le proteine che attivavano i geni che specificavano le proteine che attivavano i geni, e così via, fino alla primissima cellula embrionale. Erano geni da un capo all'altro, come le tartarughe di Aristotele che sorreggono il mondo.
    La regolazione genica, l'attivazione o la disattivazione dei geni da parte delle proteine, descriveva il meccanismo attraverso il quale si poteva generare complessità combinatoria dall'unica "hard copy" di informazioni genetiche di una cellula, ma non poteva spiegare la copiatura dei geni stessi. Come si duplicavano i geni, quando una cellula si divide in due, o quando si generano spermatozoi e ovuli? Ma una doppia elica di DNA non può fare una copia di sé in maniera autonoma, altrimenti potrebbe duplicarsi senza alcun controllo. 
    C'era probabilmente un enzima preposto alla copiatura del DNA, una proteina replicatrice. Il biologo Arthur Kornberg decise di isolare l'enzima replicatore. Se un enzima del genere esisteva, il posto ideale in cui trovarlo sarebbe stato un organismo che si divideva in fretta, per esempio Escherichia Coli durante la sua furiosa fase di crescita. Kornberg distillò e ridistillò il brodo batterico fino a ottenerne un preparato enzimatico quasi puro. Lo chiamò "DNA polimerasi" (il DNA è un polimero di A,C,G,T, e questo era l'enzima fabbrica polimeri). Quando aggiunse al filamento di DNA l'enzima appena trovato e vi addizionò una fonte di energia e una riserva di basi nucleotidiche (A,T,G,C) fresche, assistette alla formazione di nuovi filamenti di acido nucleico in provetta. Il DNA fabbricava DNA a sua immagine e somiglianza.
    Esiste qui un processo ricorsivo che vale la pena mettere in rilievo : come tutte le proteine, la DNA polimerasi (l'enzima che permette al DNA di replicarsi) è essa stessa prodotta da un gene. Incorporati in tutti i genomi, quindi, vi sono i codici per le proteine che consentono al genoma di riprodursi. Questo ulteriore strato di complessità, ossia che il DNA codifichi una proteina che permetta al DNA stesso di replicarsi, è importante, perché fornisce un nodo critico per la regolazione. La duplicazione del DNA è attivata o disattivata da altri segnali e regolatori, come l'età o lo stato nutrizionale di una cellula, e questo consente alle cellule di fabbricare copie del DNA solo quando sono pronte a dividersi. Tale meccanismo però (purtroppo) contiene uno svantaggio : quando i regolatori si inceppano, niente può impedire a una cellula di duplicarsi in continuazione (Cancro). Con il Progetto Genoma al tempo del presidente Clinton, si intendeva risolvere il problema di scrivere, una dopo l'altra, tutte le sequenze di (A,G,T,C) dalla prima all'ultima lettera per tutto il genoma umano, per tutti i tre miliardi e 200 milioni di nucleotidi. L'ideale sarebbe stato di mettersi a cavalcioni della DNA polimerasi e scrivere tutte le lettere, una dopo l'altra, dalla prima all'ultima, dell'intero genoma. Ma questo era impossibile per le prime macchine semi-automatiche che i genetisti usavano a quell'epoca. Così si ebbe l'idea di variare un pochino la composizione dei nucleotidi aggiunti per rallentarne il riconoscimento da parte della cellula, in modo che il processo diminuisse la sua velocità e desse alla macchina il tempo di seguire il procedimento. Durante questi ingorghi, si poteva trovare e scrivere una Adenina qua e una Guanina là. Ben presto si riuscì a fabbricare macchine sequenziatrici migliori e non servì più manipolare i nucleotidi aggiunti per formare il nuovo DNA, rallentando così il procedimento di riconoscimento degli stessi. Adesso le macchine agiscono da sole, senza alcun bisogno di un operatore : basta inserire una quantità irrisoria di DNA e la macchina in tempi brevissimi sforna su carta la sequenza completa di qualunque DNA dal primo nucleotide all'ultimo. I costi di sequenziamanto del DNA vanno calando a vista d’occhio, col progressivo miglioramento delle macchine sequenziatrici.
    A questo punto abbiamo accumulato una consistente base di conoscenze per affrontare il funzionamento delle zone di controllo dei geni.

    COSA FA HAR1

    Attenzione che l’articolo è del 2006 e a quell’epoca solo una manciata di HAR era stata trovata (l’algoritmo per trovare queste sequenze relativamente brevi è stato costruito nel 2013) e quegli effetti sul cervello sembravano l’unica differenza tra il Sapiens e lo Scimpanzé.
    Non sempre si vede, ma c' è. E ora la differenza tra uomo e scimmia ha un nome. Quello di una zona genomica interessata allo sviluppo della neocorteccia, un pezzo di Dna che agisce nel cervello dell' uomo, appare ripetuto a dismisura. Nel Dna dell' uomo, HAR1 (in gergo tecnico MGC8902) ricorre 212 volte. Mentre in bonobo e scimpanzé, i parenti più stretti, appare solo in 37 copie e nei macachi in 30. E da qui a scendere sempre più fra le altre scimmie. L' MGC8902 sembra legato alla produzione di una proteina che abbonda nei neuroni della neocorteccia, dove risiedono le funzioni cognitive più nobili, come quelle legate alla consapevolezza e al linguaggio. La stessa proteina si trova anche in neuroni di animali geneticamente più lontani dall' uomo, come conigli ed elefanti. Ma solo nell' uomo HAR1 ricorre in copie tanto numerose. Di norma, in ogni DNA, ogni gene e ogni zona genetica compaiono in due copie, che costituiscono l' unità attiva. Un gene che, per qualsiasi ragione, dovesse trovarsi in copia unica, non riuscirebbe ad attivarsi. Di un gene (o di una regione genomica) in più copie, quelle attive sono sempre solo due, mentre le altre rimangono silenti. Di qui la domanda: a che pro le copie ridondanti? Pur non avendo funzioni proprie, queste servono da serbatoio di ricombinazione. Massa di parti cioè da smontare e montare in combinazioni sempre nuove per formare geni e zone genomiche più evoluti e che, a posteriori, si sono dimostrate capaci di miglioramenti fisiologici o intellettivi. La ricombinazione è uno dei meccanismi all' origine dei fenomeni di mutazione del Dna, che rappresentano passi e svolte sul cammino dell' evoluzione. Ogni incremento delle possibilità di ricombinazione impone un' accelerazione ai processi evolutivi. Ed è facile immaginare come cambiano le possibilità di ricombinazione a partire da 212 piuttosto che da 30 elementi. Lo straordinario sviluppo della neocorteccia nell' uomo, con la sua complessa struttura a strati, appare proprio un caso di evoluzione accelerata da episodi frequenti di ricombinazione, scrive sulla rivista Nature Kathrine Pollard. Già nell' embrione, allo sviluppo di questa struttura (neocorteccia) presiede HAR1 che nell' uomo è passata attraverso numerose mutazioni ma che da 300 milioni di anni risulta immutato, o quasi, negli altri animali, scimpanzé compresi (gli scimpanzé mostrano due mutazioni, come si può vedere dal disegno di pagina 4). In sei milioni di anni, da quando cioè ci siamo divisi da uno stesso antenato, la struttura di HAR1 ha maturato 18 mutazioni nell' uomo e solo due nello scimpanzé. La neocorteccia è la componente più sofisticata del cervello umano ma anche una delle più voluminose, rispetto agli altri animali, proprio perché tanto sviluppata e complessa. Una delle ragioni per cui il cervello umano è grande tre volte quello di uno scimpanzé. Il lavoro di analisi comparativa del Dna umano e delle grandi scimmie avviato in molti centri di ricerca è comunque solo alle prime battute. Pollard ha individuato 49 porzioni del genoma umano caratterizzate da un elevato tasso evolutivo, 12 delle quali legate al sistema nervoso centrale (non si dimentichi che Pollard parla nel 2006, ma ad oggi le HAR sono diventate 3000). E alla fine sarà la somma di tanti dettagli come l' MGC8902 a dare ragione del tutto. Ma comprendere le differenze servirà a chiarire anche quanto uomo e scimmia hanno in comune. Dopotutto il DNA dell' uomo rimane identico per quasi il 99% a quello dello scimpanzé, mentre la parentela genetica si abbassa al 97% con primati come gorilla e orango.

    HAR2, meglio nota come HACNS1, opponibilità del pollice e deambulazione bipede

    Nel 2008, il gruppo di ricerca guidato da James P. Noonan della Yale University School of Medicine, trasferì dall’uomo in alcuni embrioni di topo una sequenza di DNA priva di geni, ma fortemente modificata nella nostra specie rispetto alle altre. Il ruolo di questa breve sequenza genomica era ignoto, come ignoto era il motivo per cui tale regione avesse fissato un considerevole numero di cambiamenti nell’uomo. Al fine di determinare la funzione di questa sequenza genomica chiamata Human Accelerated Conserved Non-Coding Sequence 1, embrioni transgenici di topo in cui era stata introdotta la versione umana di HACNS1 vennero messi a confronto con embrioni nei quali era stata introdotta la corrispettiva versione di scimpanzé. I risultati furono talmente inaspettati, che lo studio si guadagnò la pubblicazione sulla rivista Science. Gli esperimenti dimostravano infatti che i topi trattati con la versione umana di HACNS1 sviluppavano una “migliorata” struttura degli arti superiori, e in particolare della opponibilità del pollice, con conseguente aumentata capacità di manipolare oggetti.

    Faccio notare che uno scienziato evoluzionista non avrebbe mai usato la parola “migliorata” , bensì “diversa” o qualcosa di simile, perché l’Evoluzione non ha mire particolari, non ha finalità “migliorative”, che conducano a un fine, come l’Uomo Vertice della Creazione. L’Evoluzione è opportunista, sa sfruttare tutte le situazioni che possano dare anche un lieve vantaggio, ma è cieca.
    Questi stupefacenti effetti però non si riscontrarono nei topi trattati con la sequenza di scimpanzé. Questa regione del genoma umano agisce modulando una serie di geni preposti allo sviluppo strutturale degli arti superiori, ma anche del bacino, accorciandolo. La sequenza HACNS1 è un introne presente nel cromosoma 2 e costituisce il secondo sito genomico con la più accelerata velocità di cambiamento rispetto a quella nei primati non umani.
    Induce lo sviluppo dei muscoli nell’eminenza tenar (muscolo opponente del pollice), che consente di afferrare e manipolare oggetti anche molto piccoli, oltre a quella grande e complessa quantità di ossicini, muscoli e tendini, presenti tra la mano e l’avambraccio, che dona alla mano una gran quantità di gradi di libertà, oltre a una buona precisione nei movimenti. La sua azione di “potenziatore genico” si esplica anche nei confronti della giunzione tra piede e gamba, dove però si è verificata una diminuzione dei gradi di libertà di movimento, che vede il forte sviluppo delle ossa del calcaneo e dell’astragalo, del tendine di Achille e dei muscoli poplitei, in funzione di una migliore efficienza e facilità della deambulazione su due piedi.
    Dati successivi dimostrarono che la versione umana di HACNS1 funziona anche quando viene inserita nel genoma dello scimpanzé, attivando gli stessi profili di espressione genica attivati nell’uomo.
    Si conosce anche quante mutazioni ha avuto HACNS1 durante la filogenesi che interessa l’Uomo : 13 su una sequenza di solo 81 nucleotidi.

    HARE 5 (Human Accelerated Region Enhancer 5)

    La storia della ricerca scientifica è piena di episodi in cui ricercatori impegnati a studiare un dato evento si imbattono casualmente in un altro, ben più importante. Questo è accaduto anche al gruppo della Duke University North Carolina che, intento a studiare il gene FZD 8, coinvolto nello sviluppo cerebrale dei Primati, scopriva una peculiare regione di DNA limitrofa a quel gene. La porzione non aveva le caratteristiche di un gene, si trattava infatti di una regione genomica a funzione regolatrice che dimostrerà di avere un ruolo determinante nell’incrementare l’attività di diversi geni specificamente coinvolti nello sviluppo encefalico. Si tratta di un’altra zona del genoma umano in cui si concentra un notevole numero di cambiamenti positivi (16 mutazioni nucleotidiche) non riscontrabili nelle scimmie antropomorfe. Le mutazioni evidenziate sono alla base del potere che questa zona genomica umana esercita nel confronto di specifici geni (non si sa ancora quali, anche se ci sono degli indizi). Al fine di dimostrarlo, il biologo molecolare Lomax Boyd predispose un esperimento sui topi. I topi non hanno la regione HARE 5 nel loro genoma e rappresentano quindi un ottimo modello su cui studiare gli effetti prodotti dall’introduzione di HARE 5 nel loro genoma. I biologi allora inserirono nel genoma di alcuni embrioni di topo la sequenza HARE 5 umana e in altri embrioni di topo la stessa sequenza, ma di scimpanzé (sequenze omologhe). Lo sviluppo degli embrioni geneticamente modificati venne monitorato e i risultati dell’esperimento dimostrarono che le due versioni di HARE 5 avevano una diversa capacità di regolare la crescita encefalica : la versione umana di HARE 5 risultò attivarsi in una fase precoce dello sviluppo embrionale, portando le cellule progenitrici dei neuroni cerebrali a proliferare per un periodo di tempo più lungo prima di trasformarsi in neuroni cerebrali maturi. Alla fine della gestazione, tutti i topi trattati mostravano un incremento della massa encefalica rispetto ai topi non manipolati, ma quelli con la variante umana avevano sviluppato un encefalo del 12% più grande rispetto a quelli trattati con la variante scimpanzé.
    Considerazioni

    Finora ci eravamo imbattuti solo in interruttori genici, tipo ON/OFF. L’Enhancer non è un interruttore, ma un amplificatore. HARE 5 è stato il primo Enhancer trovato, ma in seguito ne sono stati trovati molti altri. Pare anzi che ogni gene abbia parecchi enhancer, taluni situati nelle vicinanze del gene da lui amplificato, ma altri addirittura molto lontani, centinaia di migliaia di nucleotidi, che in qualche modo entrano in azione. Per capire come un tale fatto possa succedere, basti pensare che nell’embrione è tutto vicino. Ma non ci sono solo gli enhancer, ci sono anche i “silencer”, che hanno funzioni opposte a quelle dell’enhancer : rallentano e, al loro massimo grado, fino a inibire la trascrizione di un gene. L’insieme di enhancer e silencer fanno la funzione di “dosatore” per ogni singolo gene. Quindi il numero delle proteine da fabbricare viene definito dall’insieme di enhancer e silencer.

    IL PARADOSSO DEL CODICE

    Si è pensato a lungo che le differenze anatomiche tra gli animali si riflettessero in chiare differenze nel contenuto dei rispettivi genomi. Ma confrontando genomi come quelli di topo, ratto, cane, uomo e scimpanzé, si vede che i rispettivi cataloghi di geni sono notevolmente simili. Il numero approssimativo di geni che codificano per proteine nei genomi di ciascun animale (circa 20 mila) e la posizione relativa di molti di essi si sono conservati piuttosto bene in 100 milioni di anni e più di evoluzione. Ciò non vuol dire che non ci siano differenze nel numero e nella posizione dei geni, ma non c'è nulla in questi inventari di geni che dica con evidenza "topo", "cane" o "essere umano". Per esempio confrontando il genoma di un topo con quello umano si identifica uno stesso schema per almeno il 99% dei geni. In altre parole non è vero, come era stato ipotizzato, che noi esseri umani abbiamo più geni degli altri animali, e neppure più di un pesce palla. Sarà una delusione, ma non c'è altro da fare che accettare il fatto. 
    Guardando in dettaglio i singoli geni, la somiglianza tra le varie specie è di nuovo la regola. Solitamente le sequenze di DNA di due versioni qualsiasi di un gene, come pure quella delle rispettive proteine per le quali codificano, sono simili, in una misura che riflette semplicemente l'intervallo di tempo trascorso dal momento in cui le due specie cominciarono a divergere a partire da un antenato comune.
    Questa conservazione delle sequenze codificanti nel corso dell'evoluzione lascia perplessi, quando si considerano i geni coinvolti nella realizzazione dell'architettura e della forma del corpo : solo una modesta frazione di tutto il complesso dei geni, meno del 10%, è dedicata alla realizzazione dell'architettura e della forma del corpo, nel corso dello sviluppo dall'uovo fecondato all'individuo adulto. Il resto di essi è coinvolto nei compiti quotidiani svolti dalle cellule nei vari organi e tessuti. Anzi, la scoperta che le proteine coinvolte nella costruzione del corpo sono mediamente ancora più simili tra loro che con le altre, è stata fonte sia di perplessità che di interesse, a causa del paradosso al quale sembra metterci di fronte : animali diversi, come il topo e l'elefante, assumono la propria forma mediante uno stesso insieme di proteine tra loro assai simili, indistinguibili dal punto di vista funzionale. Lo stesso vale per gli esseri umani e i loro più stretti parenti: la maggior parte delle nostre proteine differisce da quelle degli scimpanzé soltanto per uno o due amminoacidi fra le centinaia di cui è fatta ciascuna di esse, e il 29 per cento delle nostre proteine ha esattamente la stessa sequenza. Come spiegare tanta disparità fra questi due livelli dell'evoluzione, quello delle proteine e quello dell'anatomia? Da qualche parte, in tutto il DNA che compone il genoma, devono esserci differenze significative dovute all'evoluzione. Si trattava di trovarle; e, per farlo, si è trattato di decidere dove cercarle. E’ venuto fuori che queste zone sono più difficili da localizzare degli stessi geni, anche se al presente (2020) sono stati trovati nuovi algoritmi in grado di cercarle.

    Interruttori genetici

    Negli esseri umani, i tratti di DNA che codificano per le proteine sono appena l'1,5 per cento circa del genoma : in realtà i geni sono piccole isole di informazione in un vasto mare di sequenze di DNA. Gran parte del DNA non codificante non fa nulla, almeno a quanto ne sappiamo, ma alcune di queste sequenze partecipano all'importantissimo compito di regolare l'espressione dei geni. E queste sequenze regolatrici sono la chiave dell'evoluzione.
    L'espressione di un gene comporta la trascrizione della sequenza di DNA in una versione a RNA, l'RNA messaggero (mRNA), e la traduzione dell'mRNA in una sequenza proteica. L'espressione della maggior parte dei geni è regolata a livello trascrizionale : le cellule non sprecano energia nel fabbricare mRNA e proteine di cui non hanno bisogno. Molti geni, di conseguenza, sono espressi solo, in maniera specifica, in un dato organo, tessuto o tipo cellulare. Alcune sequenze non codificanti del DNA hanno un ruolo critico nel determinare dove e quando ciò accade: fanno parte di «interruttori genetici» che accendono e spengono i geni nell'organismo al momento e nel posto giusto. Alcune proteine, i fattori di trascrizione, che si legano al DNA in un modo che dipende dalla sua specifica sequenza, costituiscono l'altra parte dell'interruttore e riconoscono queste sequenze, spesso identificate con il nome di enhancer («intensificatore», dal verbo inglese to enhance). Dal legame dei fattori di trascrizione all'enhancer nel nucleo di una certa cellula dipende se, in quella cellula, l'interruttore, e quindi il gene, risulta acceso o spento. Ciascun gene ha almeno un enhancer. Contrariamente ai geni veri e propri, le cui regioni codificanti sono immediatamente identificabili grazie alla relativa semplicità della grammatica del codice genetico, gli enhancer non si possono riconoscere solo in base alla loro sequenza di DNA : bisogna identificarli per via sperimentale. (all’epoca era così, adesso esistono degli algoritmi in grado di trovarli) In genere gli enhancer hanno una lunghezza di alcune centinaia di coppie di basi, e possono trovarsi sia prima sia dopo un gene, o persino far parte di una sequenza non codificante all'interno di un gene. Ma possono anche trovarsi a migliaia di nucleotidi di distanza dal gene stesso.
    Di grande importanza per questa discussione è il fatto che alcuni geni hanno parecchi enhancer distinti, e questo è vero in particolare per i geni che codificano per le proteine che determinano la forma anatomica. Ogni enhancer regola in maniera indipendente l'espressione del gene in parti diverse del corpo e in diversi momenti del ciclo di vita dell'individuo, per cui l'espressione del gene nel suo complesso è un mosaico di siti di espressione molteplici e a controllo indipendente. Questi enhancer permettono che lo stesso gene sia usato più e più volte in diversi contesti, e così espandono notevolmente la versatilità funzionale dei singoli geni.
    La logica modulare di questo sistema di regolazione genica è illustrata da un gene coinvolto nella colorazione delle diverse parti del corpo del moscerino della frutta. Un gene - il cui nome, Yellow, «giallo» in inglese, può dar luogo a qualche confusione - codifica per una proteina che promuove la formazione di una pigmentazione nera (a essere gialli sono i moscerini mutanti privi della proteina). Il gene Yellow è dotato di diversi enhancer, che lo attivano durante lo sviluppo di svariate parti del corpo del moscerino, fra cui le ali e l'addome . Dato che il gene Yellow svolge un ruolo nello sviluppo di tanti tessuti, le sue eventuali mutazioni potrebbero essere disastrose se dovessero alterare o disabilitare la funzione della proteina; colpirebbero infatti la funzione della proteina della pigmentazione Yellow in tutte le parti dell'organismo. Al contrario, cambiamenti in uno solo degli enhancer del gene riguarderanno soltanto la funzione di quel particolare enhancer, e soltanto i casi in cui l'espressione del gene Yellow è governata proprio da quell'enhancer, lasciando intatta l'espressione e la funzione della proteina negli altri tessuti.
    Determinano la forma del corpo in modo profondo : in teoria, le mutazioni degli enhancer consentirebbero la modifica selettiva di singoli tratti del corpo senza cambiamenti dei geni o delle proteine. E in questi ultimi anni sono emerse prove dirette che l'evoluzione di varie parti del corpo e di vari aspetti della sua organizzazione è avvenuta proprio in questo modo.

    L'evoluzione degli interruttori

    In biologia, una delle strategie principali è individuare i modelli sperimentali più semplici del fenomeno che si desidera capire. Rispetto all'evoluzione dell'aspetto generale del corpo, un modello adatto a capire è la colorazione, una delle caratteristiche più ovvie degli animali, che ha un ruolo di grande importanza nel modo in cui interagiscono fra loro e con l'ambiente. Nei moscerini della frutta, i modelli di colorazione corporea si sono rapidamente diversificati in varie specie strettamente imparentate, e l'analisi di come questi moscerini hanno acquisito macchie e strisce illustra bene come e perché l'evoluzione degli interruttori genetici dirige l'evoluzione delle forme anatomiche. In alcune specie, i maschi presentano intense macchie nere all'estremità delle ali, mentre in altre ne sono privi. In alcune di quelle stesse specie, sull'addome dei maschi c'è una banda nera (che poi è il motivo per cui il più famoso dei moscerini della frutta, Drosophila melano-gaster, si chiama cosi: melano-gaster in greco significa «dalla pancia nera»), mentre i maschi di altre specie non ce l'hanno. Abbiamo scoperto che nelle specie con le macchie la proteina Yellow è prodotta a livelli molto alti nelle cellule che daranno origine alla macchia, e a bassi livelli nelle altre cellule delle ali. Nelle specie senza macchie, la proteina Yellow è prodotta a bassi livelli in tutta l'ala, e genera soltanto una leggera spruzzata di pigmento nero.
    Per capire come mai la proteina Yellow sia prodotta in modo da generare le macchie alari in alcune specie e non in altre, abbiamo esaminato le sequenze che fiancheggiano il gene Yellow, alla ricerca degli enhancer che ne controllano l'espressione in varie parti del corpo. Nelle specie prive di macchie si trova un enhancer (silencer) che conduce a un basso e uniforme livello di espressione di Yellow in tutta l'ala. L'attività di questo enhancer (silencer) genera il colore grigio chiaro delle ali del moscerino. Quando è stato analizzato il corrispondente tratto del DNA di una specie maculata, abbiamo trovato che conduce sia a questa modalità di espressione del gene sia a quella, più intensa, delle macchie. Quel che è avvenuto durante il percorso evolutivo delle specie maculate è che nella sequenza del DNA dell'enhancer alare di Yellow si sono evoluti nuovi siti di legame per alcuni fattori di trascrizione fabbricati nell'ala. Ciò ha dato luogo a un nuovo modello di espressione (le macchie alari) senza alterare né dove è prodotta né come funziona la proteina Yellow in altre parti del corpo. La storia dell'evoluzione della banda nera dell'addome è simile, ma ha una particolarità in più. Di solito viene naturale pensare che la presenza di una caratteristica in una specie e la sua assenza in un'altra a essa correlata sia il risultato di un guadagno da parte della prima, ma spesso non è così. L'altro lato dell'evoluzione, la perdita di determinate caratteristiche, è molto frequente, anche se è assai più raro che se ne tenga conto. La perdita di certi caratteri del corpo illustra forse nel modo più efficace le ragioni per cui l'evoluzione degli enhancer costituisce il cammino più probabile per l'evoluzione dell'anatomia. Uno degli enhancer del gene Yellow controlla la sua espressione nell'addome. Nei maschi delle specie dotate della banda nera, questo enhancer conduce ad alti livelli di espressione del gene Yellow nelle cellule della parte dorsale dell'addome. Alcune specie però, come Drosophila kikkawai, hanno perso questa banda pigmentata nel corso dell'evoluzione. In D. kikkawai, l'enhancer non è più in grado di condurre ad alti livelli di espressione di Yellow nella zona dorsale dell'addome perché le mutazioni hanno scompaginato alcuni dei relativi siti di legame ai fattori di trascrizione.
    Il gene Yellow — è importante sottolinearlo - rimane attivo in altre parti del corpo, e la sua funzione biochimica è intatta. La selezione naturale, infatti, non avrebbe permesso che la perdita della banda nera avvenisse attraverso mutazioni che inattivassero il gene Yellow e la relativa proteina, perché la perdita della funzione di Yellow in altre parti del corpo avrebbe avuto conseguenze dannose per l'organismo.
    La perdita di certe caratteristiche può essere vantaggiosa o meno per la sopravvivenza e il successo riproduttivo, ma in alcuni casi può avere un valore adattativo perché facilita cambiamenti nel modo di vita. Gli arti posteriori, per esempio, sono più volte andati perduti nei vertebrati (in serpenti, lucertole, balene) e quei casi di perdita sono associati all'adattamento ad habitat e stili di locomozione diversi.
    I precursori, in senso evolutivo, degli arti posteriori dei vertebrati a quattro zampe sono le pinne pelviche dei pesci. L'evoluzione ha prodotto anche notevolissime differenze nell'anatomia delle pinne pelviche in popolazioni di pesci strettamente imparentate. Lo spinarello è un pesce che in molti laghi dell'America settentrionale si trova in due forme diverse: una forma d'acqua profonda, dotata di una spina pelvica pienamente sviluppata, e una forma che vive in acque poco profonde, in cui pelvi e spine sono marcatamente ridotte. In acque aperte, le lunghe spine proteggono il pesce dai predatori, ma sul fondo di un lago sono un punto debole, perché le larve di libellula che si nutrono dei giovani spinarelli potrebbero usarle per attaccarsi a essi. Differenze nella morfologia pelvica di questi pesci si sono evolute più volte nei 10 000 anni trascorsi dall'ultima era glaciale. Gli spinarelli oceanici, dotati di spina lunga, hanno colonizzato numerosi laghi separati, dove le forme ridotte si sono evolute più volte in maniera indipendente. Poiché questi pesci sono strettamente imparentati, e si possono incrociare in laboratorio, i genetisti sono stati in grado di mappare i geni coinvolti nella riduzione della pelvi dello spinarello. Si è così dimostrato che alla riduzione pelvica sono associati cambiamenti nell'espressione di un gene coinvolto nella costruzione della parte pelvica dello scheletro. Come la maggior parte dei geni che dirigono la costruzione del corpo, nello sviluppo dei pesci il gene Pitxl svolge molteplici compiti. La sua espressione risulta però selettivamente perduta nella zona corporea del pesce che darà origine alla gemma della pinna pelvica e del relativo aculeo. Responsabili, ancora una volta, sono i cambiamenti evolutivi avvenuti in un enhancer. Nella codifica della proteina Pitxl, invece, non vi sono differenze tra le diverse forme di spinarello.
    Yellow, Pitxl e la maggior parte dei geni che determinano la costruzione e la forma del corpo sono geni «pleiotropici», nel senso che influenzano la formazione o l'aspetto di molteplici tratti. Le mutazioni nella sequenza codificante di un gene pleiotropico hanno molteplici effetti su tutti i tratti controllati da quel gene, ed è improbabile che un livello di cambiamento così drastico possa essere tollerato dalla selezione naturale. La lezione essenziale dell'evoluzione di macchie, bande e scheletri è che le mutazioni che avvengono nelle sequenze regolatrici aggirano gli effetti pleiotropici delle mutazioni nella sequenza codificante e permettono la modificazione selettiva di singole parti del corpo. Le mutazioni delle sequenze regolatrici non sono l'unica modalità dell'evoluzione, a esclusione di tutte le altre, ma sono il cammino evolutivo più probabile quando un gene svolge ruoli diversi e uno solo di essi risulta selettivamente modificato. Geni in comune, varietà infinita.


    L'evoluzione degli enhancer non è limitata ai geni che influiscono sulla forma del corpo, né ai moscerini della frutta e a certi strani pesci. Un buon numero di casi di modifiche evolutive avvenute nelle sequenze regolatrici e che alterano l'espressione genica è stato dimostrato anche per alcuni tratti della specie umana.
    Uno dei casi più notevoli nell'evoluzione della nostra specie in tempi recenti è un adattamento, attraverso la perdita selettiva dell'espressione di un gene, a un ambiente in cui è endemica la malaria. Accanto ai gruppi sanguigni A, B e 0, sono stati studiati a fondo diversi altri gruppi sanguigni minori. Uno di questi è definito dalla situazione di una proteina chiamata Dufify, presente sulla membrana dei globuli rossi del sangue. La proteina Dufify fa parte del recettore usato dal parassita Plasmodium vivai, uno di quelli che provocano la malaria, per infettare i globuli rossi; ma nell'Africa occidentale questa proteina è assente dal sangue di quasi il 100 per cento della popolazione, il che rende gli individui resistenti all'infezione. Il gene Duffy risulta espresso anche in parecchi altri tessuti del corpo, e in particolare in cellule della milza, dei reni e del cervello. Nella popolazione africana, l'espressione di Duffy in questi altri tessuti è conservata. Come era prevedibile, quindi, gli individui Dufify-negativi sono portatori di una mutazione di un enhancer del gene Duffy che elimina il sito di legame per un fattore di trascrizione che attiva l'espressione di Duffy nelle cellule destinate a divenire globuli rossi, ma non ha effetto sulla produzione della proteina Duffy in altre parti del corpo.
    Uno degli aspetti più interessanti della biologia umana emersi finora tra quelli che si sono evoluti attraverso mutazioni negli enhancer di più geni riguarda le divergenze tra le sequenze regolatrici delle grandi scimmie e quelle umane che controllano il gene Prodynorphin, che codifica per una serie di piccole proteine oppioidi prodotte nel cervello e coinvolte nella percezione, nel comportamento e nella memoria. In risposta agli stimoli, il gene umano è espresso a livelli più alti della versione dello scimpanzé, e vi sono forti indizi che suggeriscono che la sequenza regolatrice umana si sia evoluta sotto la pressione della selezione naturale, cioè che sia stata conservata perché vantaggiosa. Come illustrano questi esempi, le mutazioni delle sequenze regolatrici hanno senz'altro avuto un ruolo nell'evoluzione, e le variazioni di questo tipo potrebbero essere una fonte importante anche delle differenze fisiche fra gli individui. Dato che gli scienziati non possono giocare con il DNA di esseri umani vivi come fanno con quello dei moscerini e dei pesci, è ben più difficile studiare certi esempi di cambiamenti avvenuti nel DNA di regolazione e che sono responsabili della divergenza della nostra specie da altre, ma alcuni nuovi metodi di analisi dei genomi stanno offrendo spunti di indagine interessanti.


    Siamo ancora agli inizi delle ricerche sull'evoluzione delle sequenze di DNA che regolano i geni. E nello zoo virtuale dei genomi ci saranno ancora un buon numero di interruttori genetici da scoprire e studiare. I biologi, però, stanno già scoprendo nuovi principi, che hanno un valore predittivo per le ricerche future. Unendo questi fatti agli ultimi lavori dei bioinformatici che lavorano su nuovi algoritmi in grado di scovare le zone che controllano i geni, il numero di zone di controllo che in qualche modo sono note sta aumentando vorticosamente.

    (continua)
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    I mutamenti evolutivi relativi all'anatomia, in particolare quelli che coinvolgono i geni pleiotropici, accadono più probabilmente attraverso cambiamenti degli enhancer dei geni che attraverso il cambiamento dei geni medesimi.
    Questo fenomeno chiarisce anche come mai gruppi di animali assai diversi possano condividere la maggior parte dei geni coinvolti nel dar forma al corpo, se non tutti: contrariamente a quanto si attendevano gli scienziati, a dar vita alle diverse forme del regno animale è soprattutto il come e dove vengono usati quei geni. Se vogliamo davvero capire che cosa rende la forma degli esseri umani diversa da quella delle altre grandi scimmie o che cosa renda un elefante diverso da un topo, molta di questa informazione non si trova nei rispettivi geni e proteine, ma in un aspetto del tutto diverso dei nostri genomi, ancora tutto da esplorare.

    ARHGAP11B IL GENE DELLA NEOCORTECCIA

    E’ uno dei geni umani che non hanno corrispondenze ancestrali (non ha omologhi, neanche nello scimpanzé), scoperto nel 2015 dal gruppo di ricerca del Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics di Dresda, guidato da Marta Florio. Il ruolo di questo gene è di strutturare l’area più esterna del cervello, la neocorteccia. La neocorteccia è presente in tutti i mammiferi, ma nella nostra specie raggiunge uno sviluppo e una organizzazione straordinari : quasi un centinaio di miliardi di cellule cerebrali interconnesse che costituiscono un tessuto esteso e convoluto, sede dell’apprendimento e delle funzioni cognitive superiori. Non potremmo essere ciò che siamo senza questo gene. Durante le ultime fasi dello sviluppo embrionale, questo gene provvede affinché particolari precursori dei neuroni cerebrali si replichino per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello che avviene nelle altre scimmie antropomorfe, generando una considerevole popolazione cellulare che migrerà in sede encefalica al momento opportuno. Pare certo che ARHGAP11B sia comparso nella nostra linea evolutiva quasi subito (5.5 milioni di anni fa), abilitando Australopitecine e Ardipitechi al possesso di tale gene, con tutte le conseguenze che il caso comporta.
    Isolato ARHGAP11B dal genoma umano, il gruppo di ricerca della Florio nello stesso anno trasferì il gene in embrioni di topo al fine di studiarne dal vivo gli effetti. Lo studio dimostra non solo il forte sviluppo della neocorteccia nei roditori trattati, ma evidenzia anche come questo sviluppo conduca alla formazione delle tipiche anse normalmente presenti nel cervello umano, ma assenti in quello del topo. Grazie ad ARHGAP11B si induce nei topi uno sviluppo encefalico più avanzato e sono al momento in corso degli studi sul comportamento di questi “roditori speciali”, per valutarne l’eventuale accresciuta capacità cognitiva e mnemonica.

    Come funziona l’intesa tra geni e zone genomiche di controllo

    Durante lo sviluppo embrionale di un dato organismo, quando si definiscono i piani di organizzazione anatomica e si definiscono le caratteristiche biologiche che la specie in questione dovrà possedere, gruppi più o meno numerosi di geni lavorano su fronti diversi. L’attività di questi gruppi di geni “operai” (ogni gene si preoccupa che venga fabbricata la sua proteina), definiti anche “esecutori”, è accuratamente controllata nei tempi e nei modi da un limitato numero di regioni del genoma definite “architetto”.
    Anche se la nostra attuale conoscenza di queste aree del genoma è solo parziale, un importante concetto comincia ad emergere : mediante la modifica di precise aree del genoma è possibile influenzare il lavoro di intere schiere di geni alla base dello sviluppo e del mantenimento di importanti caratteristiche biologiche, causando incisive trasformazioni nell’organismo.
    Facciamo un esempio : un topo ha collo corto e corpo allungato, mentre i polli hanno collo lungo e corpo tozzo. Le vertebre presenti nel collo del topo sono 7, mentre quelle del pollo sono 14. L’origine di questa differenza risiede in una regione “architetto” chiamata HOXC8, presente in tutti i vertebrati, la cui funzione è quella di regolare il lavoro di specifici gruppi di geni (attivandoli e disattivandoli in configurazioni diverse) che definiscono il numero e la forma delle vertebre cervicali.

    Durante l’embriogenesi del pollo, l’attività di HOXC8 si protrae per un tempo maggiore rispetto a quello che avviene durante l’embriogenesi del topo e questo fatto determina un’azione più prolungata sui geni “esecutori” che definiscono le vertebre cervicali, con conseguente aumento numerico delle stesse. Lo scopo di HOXC8 non è quello di “spiegare” ai geni esecutori come “costruire” una vertebra, bensì quello di regolarne l’attività affinché la producano. Progettare nuove specie non vuol dire modificare un gran numero di geni, ma piuttosto significa commutare nel modo giusto una limitata serie di “interruttori” sparsi nel genoma in grado di dirigere lo sviluppo e il differenziamento morfologico e funzionale dell’organismo, oltre a poter far lavorare di più o di meno i geni con gli enhancer e i silencer.

    Caratteristiche comuni tra il cervello umano e quello dei primati

    Una caratteristica comune tra il cervello umano e quello delle altre grandi scimmie, che li differenzia dagli altri mammiferi, è l'alta densità di neuroni per millimetro cubo, che permette un'elevata velocità di elaborazioni complesse, e un diretto e rapido incremento dell'intelligenza in relazione diretta all'aumento delle dimensioni del cervello. Questo non si verifica, ad esempio, nel cervello di una mucca, che pur avendo un cervello grosso come un pompelmo non è molto più intelligente rispetto al topo, che ha un cervello grosso come un chicco d'uva. Cervelli con grossi neuroni hanno distanze maggiori tra i neuroni, e questo rallenta la velocità di elaborazione. I cervelli con neuroni più piccoli e densi hanno una maggiore velocità di elaborazione, con un maggiore "rumore informatico", ma nei cervelli dei primati si sono evoluti sistemi di regolazione, costituiti da inter-neuroni inibitori atti alla soppressione degli effetti del "rumore".

    Il cervello umano in certe strutture (gangli della base, corpo calloso, cervelletto, ipotalamo, ippocampo, lobo dell’insula) assomiglia molto a quello del macaco. Ma rispetto a quello del macaco nell'Homo sapiens si osserva l'aumento del numero degli strati di neuroni nella corteccia, con un enorme aumento della massa cerebrale nei lobi frontali, temporali, parietali e occipitali. Inoltre esiste un enorme aumento del numero dei neuroni fusiformi, molto veloci, che provvedono ad una rapida integrazione tra le varie aree cerebrali, portando un riassunto di tutta l'informazione verso l'area 10 di Brodmann.

    Sequenze che controllano lo sviluppo e la funzionalità del sistema nervoso e del cervello

    Sequenza HAR1

    Il gene HAR1 (da "Human Accelerated Region 1"), è una sequenza di 118 basi nel DNA umano, scoperta nel 2004-2005, che si trova nel cromosoma 20.
    Il gene HAR1 non codifica per alcuna proteina nota, ma per un nuovo tipo di RNA (simile all'RNA messaggero). HAR1 è il primo esempio noto di sequenza codificante l'RNA dove si è avuta una selezione positiva. Il gene HAR1 viene espresso durante lo sviluppo embrionale e produce una migrazione neuronale indispensabile allo sviluppo di un cervello veramente umano. (il pollo e lo scimpanzé differiscono per due basi, l'uomo e lo scimpanzé per 18 basi)

    Sequenza ARHGAP11B

    È un gene specifico umano, responsabile dell'espansione fisica della neocorteccia cerebrale. La duplicazione del gene che ha creato ARHGAP11B è sorta sulla linea evolutiva umana dopo la divergneza dallo scimpanzé, ritrovato anche nei resti uomo di Neanderthal e Denisova.

    Sequenza ASPM

    Nel corso dell'evoluzione umana, a partire da un progenitore comune con le grandi scimmie (bonobo, gorilla, macaco e scimpanzé) la principale differenza che si nota è lo sviluppo di un cervello tre volte maggiore, come dimensioni relative in rapporto al peso del resto dell'organismo.
    In persone affette da microcefalia, si notano alterazioni del gene ASPM (nel cromosoma 1), che portano a dimensioni ridotte del cervello, fino al 30% rispetto a quello normale. ASPM si coordina con altri tre geni (MCPH1, CD-K5RAP2 e CENPJ) che sviluppano selettivamente determinate aree cerebrali. Ricercatori dell'Università di Chicago e dell'Università del Michigan hanno dimostrato diversi scatti di cambiamento nel corso dell'evoluzione dei primati.

    Sequenza LIS1

    In persone affette da lissencefalia, si notano alterazioni del gene LIS1 (cromosoma 17), oppure del gene per la relina (cromosoma 7), due condizioni diverse che portano al cosiddetto cervello "liscio", ossia nelle settimane di gestazione dalla 12ª alla 24ª non si formano i solchi e le circonvoluzioni della corteccia cerebrale, con una grande riduzione della superficie esterna cerebrale, che si accompagna a profonde alterazioni istologiche negli strati della corteccia ed a grave ritardo mentale, se non al decesso del neonato.
    Questo gene non dovrebbe figurare in questo elenco, perché anche le scimmie sono dotate di questo gene, ma nell'essere umano è sovra-espresso e lievemente diverso.

    Sequenza WNK1

    Il gene WNK1 (noto anche come HAR5, presente nel braccio corto del cromosoma 12) codifica per un enzima, una chinasi del rene, che permette una migliore eliminazione del potassio da parte del rene, e allo stesso tempo, per meccanismi correlati al potenziale di membrana del neurone, consente una maggiore sensibilità e accuratezza di localizzazione da parte dei nervi sensitivi. Questo enzima, migliorando il "feed back" sensitivo, può avere contribuito ad aumentare la perizia nella fabbricazione di attrezzature, oggetti, vestiti, armi, ecc. Inoltre può aver favorito la destrezza nell'andatura, nella lotta e la grazia nella danza.

    Regolazione della divisione cellulare

    Sequenza MAD1L1

    La sequenza MAD1L1 (nel cromosoma 7), nota anche come "Mad1" (oppure come HAR3, per il suo accelerato tasso di cambiamento rispetto al DNA delle scimmie) agisce su proteine che permettono una più ordinata divisione del fuso mitotico, permettendo un minor tasso di errori nella divisione cellulare, dunque una migliore efficienza delle mitosi e delle meiosi, minore quantità di cellule da mandare in apoptosi ed infine una maggiore durata della vita, con meno tumori e in migliore salute.

    Sequenza WWOX

    La sequenza WWOX interviene nella cascata del Tumor necrosis factor, favorendo la morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule tumorali o di altre cellule molto danneggiate. Classificata anche come HAR6. Le versioni alterate spesso diventano degli oncogeni.

    Laringe e viso

    Sequenza FOXP2

    Nel 2001 venne osservato all'Università di Oxford che persone con mutazioni del gene FOXP2 (un'altra sequenza genetica nel cromosoma 7 a cambiamento accelerato rispetto ai primati) sono incapaci di fare movimenti facciali fini e ad alta velocità che sono tipici del linguaggio umano. Questi pazienti mantengono inalterata la capacità di comprendere il linguaggio, dunque il deficit è puramente nervoso-motorio, nella fase di estrinsecazione del linguaggio. La mutazione del gene FOXP2 è condivisa dall'Homo sapiens e dall'uomo di Neanderthal (anche Denisova), ed in base a reperti paleontologici e ai dati di deriva genetica si può calcolare che questa mutazione sia avvenuta circa 500.000 anni fa. Dunque non è la sola ragione del grande sviluppo linguistico e in seguito culturale che porta all'Homo sapiens. Un omologo di questo gene esiste anche nel topo (Mus musculus). Nei topi con mutazioni deleterie di questo gene, si ha la perdita della capacità di produrre richiami ad ultrasuoni.

    Sequenze coinvolte nello sviluppo del polso, della mano, del piede e della deambulazione

    Sequenza HACNS1

    La sequenza HACNS1 (nota anche come HAR2), è un introne (che agisce come potenziatore genico) presente nel cromosoma 2, e costituisce il secondo sito genomico con la più accelerata velocità di cambiamento rispetto a quella nei primati non umani. Induce lo sviluppo dei muscoli nell'eminenza tenar (muscolo opponente del pollice), che consente di afferrare e manipolare oggetti anche molto piccoli, oltre a quella grande e complessa quantità di ossicini, muscoli e tendini, presenti tra la mano e l'avambraccio, che dona alla mano una grande quantità di gradi di libertà, oltre ad una buona precisione nei movimenti.
    La sua azione di "potenziatore genico" si esplica anche nei confronti della giunzione tra piede e gamba, dove però si è verificata una diminuzione dei gradi di libertà di movimento, che vede il forte sviluppo delle ossa del calcaneo e dell'astragalo, del tendine di Achille e dei muscoli poplitei, in funzione di una migliore efficienza e facilità della deambulazione su due piedi.

    Sequenze coinvolte nell'alimentazione

    Sequenza AMY1A

    Il gene AMY1A (nel cromosoma 1) codifica per una enzima, l'amilasi salivare, che permette una migliore digestione dell'amido, cominciando immediatamente nel cavo orale. Si ipotizza l'aumento della sua prevalenza nelle popolazioni che cominciarono a praticare l'agricoltura (avena, farro, frumento, mais, patate, riso, segale, ecc.), e che in questo modo riuscirono a sfruttare meglio non soltanto la terra arata, ma anche gli specifici alimenti (graminacee, tuberi) che essa produceva.
    I carboidrati sono una risorsa ricca di energia, si trovano anche nella frutta, ma in molte regioni a clima secco o molto freddo la frutta non cresce per un lungo periodo dell'anno. Si pensa che l'amilasi abbia giocato un ruolo chiave nell'evoluzione umana, fornendo un'alternativa che grazie all'agricoltura ha permesso l'aumento della popolazione in alcuni territori. Anche i roditori presentano la duplicazione del gene dell'amilasi pancreatica. I livelli di amilasi salivare negli umani sono da 6 a 8 volte maggiori rispetto a quelli degli scimpanzé, che mangiano per lo più frutta e pochi alimenti ricchi di amido.

    Sequenza LCT

    Il gene LCT (nel cromosoma 2) codifica per l'enzima lattasi che nel latte scinde il disaccaride lattosio nelle sue due componenti galattosio e glucosio. Nell'adulto persiste in popolazioni che storicamente si sono dedicate alla pastorizia (Africa ed Europa), che consumavano latte e formaggio, ed è carente tra gli orientali ed i nativi-americani, che hanno un'alimentazione tradizionale a base di riso e di pesce, oppure di mais.

    In questo riassunto sinottico ho scelto la parola “Sequenza” perché è neutra rispetto a “Gene” e “Zona genomica di controllo”. Inoltre quando si parla di Geni non si intende più solo quelli che codificano per proteine, ma anche quelli che codificano per RNA e quindi il loro numero è aumentato fino a più di 35 mila.

    C’è un articolo che fa il punto quasi attuale sulle HAR (Human Accelerated Regions). Si sono fatti passi in avanti, ma non quanto si poteva sperare quando la stessa autrice dell'articolo del 1° Agosto 2016 aveva trovato parecchie decine di quelle sequenze negli anni tra il 2005 e il 2009, mettendo a confronto zone del genoma di vari mammiferi che non mostravano alcuna evoluzione per tempi lunghissimi (dal topo alle scimmie antropomorfe, vale a dire più di 300 milioni di anni), salvo compiere un balzo improvviso negli ultimissimi milioni di anni, da quando la filogenesi degli umani si è separata da quella degli scimpanzé.

    LA DECODIFICAZIONE DELLE HAR (HUMAN ACCELERATED REGIONS)

    Sottotitolo : è possibile che le porzioni del nostro genoma che ci distinguono dagli altri animali contengano il segreto dell'evoluzione umana ?
    di Katherine S. Pollard (1 Ago. 2016)
    * La Pollard era quindi a conoscenza della scoperta di ARHGAP11B ma lo ha ritenuto meno importante delle HAR, forse per la sua estrema antichità, nel senso che ARHGAP11B data da 5-6 milioni di anni, mentre le HAR perlopiù due.

    Quando le sequenze del primo genoma umano furono pubblicate nel 2001, io stavo svolgendo i miei studi per il Ph.D. come esperto di Statistica in un gruppo di scienziati. Sollecitati da Accademia e Biotenologia, puntavamo a scoprire le differenze nei livelli di espressione dei geni tra cellule sane e cellule tumorali. Come molti altri, nutrivo grandi speranze su quello che avremmo potuto fare di quella enorme sfilza di oltre tre miliardi di A,C,T,G. Visioni ambiziose di un preciso diagramma che collegasse le cellule umane con le imminenti cure delle malattie erano comuni tra i miei colleghi Ph.D. e i professori. Ma io ero più eccitata ancora per un uso differente di questi dati e stavo contando i mesi che mancavano al sequenziamento del genoma di scimpanzé, perché essi sono i nostri parenti più prossimi nell'albero della vita. Benché la loro biologia sia largamente simile alla nostra, noi mostriamo evidenti differenze che vanno dagli enzimi digestivi al linguaggio articolato. Inoltre gli uomini soffrono di un insieme di malattie che invece non affliggono, o quanto meno li attaccano in modo meno pesante, inclusi autismo, schizofrenia, morbo di Alzheimer, diabete, AIDS e artrite reumatica. Il genoma dello scimpanzé fu pubblicato nel 2005, al quale seguirono in veloce successione quelli di altri 12 vertebrati. Nel medesimo tempo gli informatici erano occupati a trovare algoritmi che mettono a confronto regioni simili del DNA di diverse specie di mammiferi e di altri vertebrati. Questa conservazione delle sequenze per centinaia di milioni di anni suggeriva che tali aree fossero responsabili di funzioni critiche.
    Io utilizzai queste scansioni genomiche comparate per scrivere un programma per computer che identificasse le sequenze di DNA che si sono conservate in tutti gli altri animali, ma che abbiano subito rapidi cambiamenti nella linea evolutiva che porta all'ominazione. Questa mia firma evolutiva predice una perdita o una modifica di funzione negli umani. I miei colleghi ed io usammo questo programma a due vie per trovare le regioni genomiche umane soggette a massima evoluzione. Ne emerse un modello contemporaneamente eccitante e spaventoso : solo una manciata di HAR erano nei geni. In effetti noi non abbiamo idea di cosa facciano la gran maggioranza di queste sequenze che riteniamo funzionali e che sono tipicamente umane, o che ruolo svolgano nell'evoluzione umana. Le regioni HAR sono corte, in media solo 227 coppie di basi, molto più piccole di qualsiasi gene. Appartengono a quel DNA che un tempo chiamavamo "spazzatura" e non erano di sicuro in cima alla lista delle regioni genomiche da studiare, se non per la loro tenace conservazione nella massima parte degli animali e le notevolissime differenze negli umani.
    Grazie alle innovazioni nelle tecnologie di sequenziamento che hanno prodotto una cornucopia di genomi, più qualche tiratina sui metodi computazionali, la lista delle HAR identificate adesso include circa 3000 segmenti di genoma. Ma l'andamento originario di tutte le HAR trovate tiene ancora : quasi tutte le HAR sono al di fuori dei geni, alcune addirittura molto lontane. Ma cosa fanno di così importante queste HAR per cui le loro sequenze sono così immutabili durante tutta l'evoluzione dei mammiferi (e anche dei vertebrati) ? Come possono queste multiple mutazioni, avvenute solo nell'uomo, ad aver cambiato la funzione di ogni HAR ? Nel mio gruppo (e anche in altri gruppi) stiamo studiando da 10 anni queste questioni nella speranza di comprendere meglio cosa è che rende gli umani diversi da ogni altra specie vivente. Lasciando da parte il DNA umano, le regioni HAR dei mammiferi sono di gran lunga le meglio conservate. Questa immutabilità lascia supporre che le informazioni codificate in queste sequenze siano critiche e che le mutazioni apportate a queste sequenze potrebbero alterare le loro importanti istruzioni. Questo rende le mutazioni umane nelle HAR assolutamente inaspettate. Si è tentati di pensare che queste mutazioni possano alterare la funzione regolatrice dei geni. In effetti il funzionamento delle due prime HAR supportano egregiamente questa idea. HAR1 non codifica per una proteina ma per un lungo RNA, un tipo di molecola che guida le proteine o modula la loro espressione. Abbiamo predetto che lo RNA di HAR1 può ripiegarsi in una struttura tridimensionale perché la sua sequenza ha regioni palindromiche che si accoppiano per formare una serie di "marchi" interconnessi che sembrano una scala a pioli. Tale predizione fu confermata da esperimenti che comprovano la struttura dello RNA, usando RNA di HAR1 umano e di scimpanzé sintetizzati in vitro per identificare i "marchi". Contrassegnando le molecole RNA di HAR1 negli embrioni umani e di macaco, si scoprì che gli RNA funzionavano nei neuroni durante la sistemazione della corteccia, una struttura del cervello che si espande grandemente nelle sue dimensioni, specie nell'uomo. Però quali geni precisamente HAR1 regoli, resta ancora da determinare. HAR2 (nota anche come HACNS1) non codifica né proteine né RNA, piuttosto funziona come un "dosatore" (enhancer = amplificatore oppure “silencer”). Si tratta di una sequenza di DNA che lavora per aumentare o diminuire il livello di espressione di un gene. Un "dosatore" può trovarsi migliaia di basi lontano dal gene che regola. Il gene viene attivato quando viene a trovarsi in prossimità fisica col suo "dosatore" (nell'embrione tutto è vicino). Studi nei topi rivelano che HAR2 umano è attivo in parecchi tessuti embrionali, inclusi quelli del polso e del pollice, in modo tale da formare strutture nuove nei nostri antenati, dopo la separazione dall'antenato in comune con gli scimpanzé. Ancora una volta quali siano i geni soggetti alla regolamentazione di HAR2 non è ancora chiaro, anche se GBX2 (un fattore di trascrizione che controlla espressioni proprie di geni coinvolti nella morfogenesi embrionale) è un candidato promettente.
    Costruendo su queste scoperte iniziali, i ricercatori hanno rilevato il ruolo di altre HAR nella regolazione dei geni, grazie ai progressi compiuti dalle tecniche di misura delle espressioni dei geni a livello di una singola cellula, riescono a localizzare dove le proteine agganciano il DNA e accertano altre proprietà epigenetiche del genoma. Inserendo queste nuove informazioni entro modelli computazionali, i miei colleghi ed io predicemmo che circa il 5% delle funzioni HAR codificano RNA, mentre le altre sono dosatori che controllano l'espressione genica durante lo sviluppo embrionale.
    Per testare più concretamente questa ipotesi, il mio gruppo ha cominciato ad esaminare la funzione delle 100 HAR che si sono evolute più velocemente, molte delle quali si sospetta che abbiano attività di dosatore. Abbiamo iniettato in uova fertilizzate di topo e di pesce le sequenze HAR di fronte a un gene che etichetterà ogni cellula dell'embrione nella quale la HAR funziona da dosatore. Per 26 HAR dosatori ripetemmo l'esperimento con le corrispondenti HAR umane. Otto delle HAR mostrarono differenze nella loro attività di dosatore quando erano presenti le mutazioni umane. Queste differenze modificano l'espressione del gene nello sviluppo di braccia e gambe (HAR2 ; 2xHAR114), occhio (HAR25), e sistema nervoso centrale (2xHAR142 ; 2xHAR238 ; 2xHAR164 ; 2xHAR170 ; ANC516/HARE5). Per la relativa scarsità di punti temporali osservati, è ben possibile che una più alta percentuale delle HAR testate siano dosatori attivi in qualche altro punto temporale che non abbiamo esaminato. Molte HAR sono localizzate vicino ai geni che controllano fondamentali processi di sviluppo in modo tale che la loro alterata funzione regolatrice possa avere effetti profondi sulla biologia umana. A conferma di ciò, la versione umana di una Har enhancer (amplificatore) come HARE 5 è attiva nell'embrione umano prima che in quello di scimpanzé, non solo nello sviluppo, ma anche in una regione più vasta del cervello. HARE 5 umano fa aumentare l'espressione del suo gene bersaglio - Frizzled 8 - intervenendo sulle dimensioni e lo sviluppo del cervello dei topi.
    Questi esperimenti dimostrano che le HAR hanno cambiato dei programmi chiave per lo sviluppo lungo tutto il corso dell'evoluzione umana. Gli studi su HARE 5 sono i più stringenti che i ricercatori abbiano condotto per dimostrare che le sequenze HAR toccano organi importanti per l'evoluzione umana. E' possibile che le mutazioni umane nelle HAR riescano a influenzare dei tratti umani come la destrezza motoria, il linguaggio articolato e la facoltà di apprendere. Ma collegare le mutazioni HAR a innovazioni organiche è difficile, date le ovvie limitazioni sulle sperimentazioni degli effetti di mutazioni genetiche negli umani e nelle scimmie. Trovare queste connessioni è la nostra grande sfida che speriamo possa andare avanti. Il più recente antenato comune di Sapiens e scimpanzé visse probabilmente sei milioni di anni fa. I reperti fossili mostrano che le due specie sono cambiate continuamente in modi diversi sino da allora. Sapere come una HAR sia cambiata durante l'evoluzione umana può essere d'aiuto ai ricercatori nel mettere in correlazione tali mutazioni coi tratti fisici (e intellettuali) che hanno subito mutazioni nello stesso periodo di tempo. Viceversa, se riusciamo a mettere in chiaro quali processi biologici vengano messi in essere dalle mutazioni HAR, le età delle mutazioni possono essere d'aiuto nel datare l'emersione di tratti che sarebbe difficile da discernere nei fossili. La stima del tempo in cui una HAR si sia evoluta è stimolante, perché questi calcoli si basano sul genoma degli ominini che si sono separati dai nostri antenati in tempi diversi nel passato. Senza questi segnali molecolari (come segnali di posta) lungo la filogenesi umana, è difficile dire se una sequenza HAR si sia evoluta subito dopo la divaricazione tra la linea evolutiva che porterà all'uomo e quella che porterà a scimpanzé/bonobo, oppure appena poche generazioni fa. Ma il sequenziamento del DNA antico sta cominciando a gettar luce su questo tema. Per esempio, mettendo a confronto sequenze HAR di un umano con le omologhe di ominino arcaico, i ricercatori possono valutare se quella tale HAR abbia subito mutazioni prima, dopo, o durante il periodo di tempo del nostro comune antenato.
    Queste procedure hanno rivelato che la velocità di mutazione delle HAR puntava a un tempo leggermente superiore a quello della nostra separazione dalla linea Neanderthal-Denisova. Risulta così che la gran parte delle mutazioni delle HAR datano di un paio di milioni di anni e sono condivise dagli ominini estinti che abbiamo esaminato, ma non dagli scimpanzé. Statisticamente parlando, la probabilità che sequenze di DNA così conservative nel tempo cambino molteplici volte nel giro di sei milioni di anni di evoluzione è prossima allo zero, senza che le forze che hanno selezionato contro le mutazioni di dette sequenze non cambino all'improvviso. HAR2 ad esempio sembra aver messo in moto un gene coinvolto nello sviluppo degli arti umani (braccia e gambe) grazie alla perdita delle sequenze che lo tenevano disattivato negli embrioni di altre specie di mammiferi e rettili. Anche se i ricercatori hanno compiuto molta strada per fare chiarezza sulla funzione delle HAR e il loro ruolo potenziale nell'evoluzione umana, siamo tuttavia ben lontani dal capire le loro funzioni specifiche nello sviluppo. Una delle maggiori sfide che dovremo affrontare sarà stabilire dei rapporti di causalità. Fortunatamente, l'emergente tecnologia sul trattamento di singole cellule ha reso possibile creare cellule di cuore, cervello e fegato dalla biopsia della pelle dei primati ed editarne il DNA singolo di ogni cellula. Questi avanzamenti tecnologici autorizzano i ricercatori a testare quali specifiche mutazioni umane alterino l'abilità delle HAR nell'attivare i geni nelle cellule degli umani e degli scimpanzé. Speranze e aspettative che sono ancora più alte, poiché ora è possibile testare l'attività dei dosatori (enhancer e silencer) mediante recentissime tecniche genomiche. E’ concepibile che possiamo muoverci dagli esami precedenti delle HAR (una per una, una alla volta) a una investigazione globale di migliaia di esse in parallelo. Queste eccitanti nuove tecniche promettono di accelerare le ricerche sulle funzioni delle HAR e sulle forze evolutive che le hanno forgiate. La mia analisi che riuscì a scoprire le prime 202 HAR si svolse con l'ausilio di un unico computer. Figuratevi se avessi potuto usare un sistema-rete di mille computer ... In ogni caso abbiamo speso la decade passata a dimostrare che le HAR erano proprio le sequenze giuste per mettere in correlazione tali mutazioni coi tratti fisici (e intellettuali) che hanno subito mutazioni nello stesso periodo di tempo. Viceversa, se riusciamo a mettere in chiaro quali processi biologici vengano messi in essere dalle mutazioni HAR, le età delle mutazioni possono essere d'aiuto nel datare l'emersione di tratti che sarebbe difficile da discernere nei fossili. La stima del tempo in cui una HAR si sia evoluta è stimolante, perché questi calcoli si basano sul genoma degli ominini che si sono separati dai nostri antenati in tempi diversi nel passato. Senza questi segnali molecolari (come segnali di posta) lungo la filogenesi umana, è difficile dire se una sequenza HAR si sia evoluta subito dopo la divaricazione tra la linea evolutiva che porterà all'uomo e quella che porterà a scimpanzé/bonobo, oppure appena poche generazioni fa. Ma il sequenziamento del DNA antico sta cominciando a gettar luce su questo tema. Per esempio, mettendo a confronto sequenze HAR di un umano con le omologhe di ominino arcaico, i ricercatori possono valutare se quella tale HAR abbia subito mutazioni prima, dopo, o durante il periodo di tempo del nostro comune antenato. Queste procedure hanno rivelato che la velocità di mutazione delle HAR puntava a un tempo leggermente superiore a quello della nostra separazione dalla linea Neanderthal-Denisova. Risulta così che la gran parte delle mutazioni delle HAR datano di un paio di milioni di anni e sono condivise dagli ominini estinti che abbiamo esaminato, ma non dagli scimpanzé. Statisticamente parlando, la probabilità che sequenze di DNA così conservative nel tempo cambino molteplici volte nel giro di sei milioni di anni di evoluzione è prossima allo zero, senza che le forze che hanno selezionato contro le mutazioni di dette sequenze non cambino all'improvviso. HAR2 ad esempio sembra aver messo in moto un gene coinvolto nello sviluppo degli arti umani (braccia e gambe) grazie alla perdita delle sequenze che lo tenevano disattivato negli embrioni di altre specie di mammiferi e rettili. Anche se i ricercatori hanno compiuto molta strada per fare chiarezza sulla funzione delle HAR e il loro ruolo potenziale nell'evoluzione umana, siamo tuttavia ben lontani dal capire le loro funzioni specifiche nello sviluppo. Una delle maggiori sfide che dovremo affrontare sarà stabilire dei rapporti di causalità. Fortunatamente, l'emergente tecnologia sul trattamento di singole cellule ha reso possibile creare cellule di cuore, cervello e fegato dalla biopsia della pelle dei primati ed editarne il DNA singolo di ogni cellula. Questi avanzamenti tecnologici autorizzano i ricercatori a testare quali specifiche mutazioni umane alterino l'abilità delle HAR nell'attivare i geni nelle cellule degli umani e degli scimpanzé. Speranze e aspettative che sono ancora più alte, poiché ora è possibile testare l'attività dei dosatori (enhancer e silencer) mediante recentissime tecniche genomiche. E’ concepibile che possiamo muoverci dagli esami precedenti delle HAR (una per una, una alla volta) a una investigazione globale di migliaia di esse in parallelo. Queste eccitanti nuove tecniche promettono di accelerare le ricerche sulle funzioni delle HAR e sulle forze evolutive che le hanno forgiate. La mia analisi che riuscì a scoprire le prime 202 HAR si svolse con l'ausilio di un unico computer. Figuratevi se avessi potuto usare un sistema-rete di mille computer ... In ogni caso abbiamo speso la decade passata a dimostrare che le HAR erano regolatori chiave di sviluppo embrionale, anche se tutto ciò rappresenta un balzo gigantesco, rispetto a come erano viste prima, bizzarre sequenze di DNA spazzatura. guardando avanti, a quando ogni parte del nostro genoma sarà stato analizzato (ed esistono i mezzi per un preciso editing delle HAR nelle cellule umane), sarà possibile raffigurarci quello che successe allorché queste sequenze così conservative per lunghissimi periodi di tempo, improvvisamente mutarono nella filogenesi umana.

    RIARRANGIAMENTI MOLECOLARI

    Le mutazioni genetiche possono essere riunite in due gruppi : quelle che comportano la perdita, la duplicazione e l’inversione di tratti del DNA o la fusione/separazione di cromosomi, e quelle puntiformi in cui una base è sostituita da un’altra e che possono influire sulla sequenza degli aminoacidi di una proteina, se colpiscono i geni strutturali, o sul numero di molecole proteiche prodotte, se interessano le zone regolatrici. Al primo tipo può essere ricondotto il diverso numero di cromosomi che l’uomo ha rispetto alle scimmie antropomorfe (23 coppie invece che 24). Ed è interessante notare che 18 sono praticamente identiche, mentre le altre hanno subito rimaneggiamenti anche consistenti. Tra questi c’è un tratto del cromosoma 4, che contiene il gene AF4 che nello scimpanzé è invertito. Sul corso dell’evoluzione ha esercitato un ruolo certamente importante la duplicazione dei geni. La presenza di più copie di un medesimo gene in un organismo consente infatti che una svolga perfettamente la sua funzione a garanzia della vita della creatura, laddove le altre copie possono acquisire mutazioni che potrebbero essere utili nel caso di repentine variazioni ambientali. Diverse ricerche hanno documentato come la duplicazione sia stata frequente negli ultimi 15 milioni di anni della vita dei primati. L’esempio meglio conosciuto di duplicazione nell’uomo riguarda il gene che codifica la struttura della protocaderina XY. Questo gene (PCDHX e PCDHY) era presente originariamente solo sul cromosoma X, ma dopo la separazione dallo scimpanzé la porzione che lo conteneva si è duplicata e una parte è migrata – traslocata – sul cromosoma Y. La protocaderina influenza le nostre capacità manuali e linguistiche, oltre che essere coinvolta nell’asimmetria cerebrale, e la mutazione che ci ha colpito potrebbe essere alla base di non poche differenze tra noi e l’antropomorfa africana. Anche la perdita di tratti del DNA e quindi di informazione genica può essere invocata per spiegare alcuni nostri grandi mutamenti rispetto alle antropomorfe. E tra essi ci sono forse la minore potenza muscolare e la scomparsa della pelliccia. Un esempio ben analizzato sperimentalmente di questo tipo di mutazione riguarda la nostra incapacità di sintetizzare un particolare acido sialico, il Neu5GC. La variazione è insorta negli ominini tra 3 e 2.5 milioni di anni fa e consiste nella perdita – o delezione – di 92 coppie di basi nel gene CMAH. Siccome il Neu5GC è implicato in alcune funzioni inerenti allo sviluppo e al funzionamento del cervello, si può supporre che abbia avuto un qualche ruolo nel suo incremento nella fase tarda dell’evoluzione umana, dato che l’encefalo degli ominini ha cominciato ad aumentare poco dopo la comparsa della mutazione. Il versante delle mutazioni puntiformi è stato indagato in modo altrettanto approfondito e sul piano sperimentale ha fornito indicazioni di notevole importanza. Un recente esperimento ha preso in considerazione la parte regolatrice del DNA invece di quella codificante ed ha dimostrato quanto essa sia evolutivamente rilevante. L’RNA messaggero (mRNA) è la molecola che trasferisce agli organelli cellulari dove si montano le proteine – i ribosomi – l’informazione contenuta nel DNA che stabilisce la loro sequenza aminoacidica. Il risultato fu che il suo livello nel cervello umano era superiore a quello riscontrato nello scimpanzé, mentre nel sangue e nel fegato non si nota alcuna differenza. Nel nostro encefalo insomma lavorano più copie delle stesse proteine che sono presenti anche nei nostri cugini africani. Alla differenziazione uomo/scimmie antropomorfe potrebbe avere anche contribuito il gene MYH16 che codifica per la principale catena pesante della miosina, una proteina coinvolta nella muscolatura deputata a muovere la mandibola. Una mutazione ne ha infatti causato l’inattivazione circa 2.4 milioni di anni fa, proprio quando il genere Homo si è originato. A differenza loro che hanno il gene integro e la cui muscolatura è tanto potente da aver bisogno di creste ossee sulla scatola cranica su cui innestarsi, noi possediamo il gene mutato che ha alleggerito i muscoli masticatori e di conseguenza le sovrastrutture ossee. Una volta che il cranio è stato liberato dalle costrizioni, si è trovato nella condizione di potersi allargare per contenere un cervello più grande – senza che il volume dell’intera testa si modificasse eccessivamente – se nel genoma fosse comparsa l’informazione relativa all’aumento encefalico. Proprio questo potrebbe essere stato il percorso seguito dall’evoluzione. Oggi sappiamo infatti che alla base della microcefalia c’è una mutazione del gene ASPM e che la copia normale del gene umano è diversa da quella dello scimpanzé. Ecco allora che l’enorme sviluppo del nostro encefalo sarebbe stato almeno in parte sostenuto da mutazioni che hanno interessato questo gene e che hanno interagito con quelle del MYH16.

    (continua)
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  4. #4
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    Hard Sweeps and Soft Sweeps

    Nei libri sull'evoluzione si legge che in una popolazione gli alleli favorevoli spazzano via tutti gli altri e si diffondono universalmente : è probabile che molti alleli antichi siano stati fissati in questo modo. (sembra evidente che anche negli Stati Uniti l'editoria scolastica presenti un grave ritardo rispetto al veloce galoppare della Scienza) 
    Tutti gli esseri umani, per esempio, se confrontati con gli scimpanzé, portano la stessa variante del gene FOXP2, l'allele che contribuisce in maniera decisiva allo sviluppo della capacità di parlare. Un altro esempio di allele, diffuso in tutta la popolazione, è il cosiddetto "allele Duffy nullo", che negli africani costituiva una difesa eccellente contro un'antica forma di malaria. Sappiamo che esiste un gene chiamato DARC (Duffy Antigen Receptor for Chemokines), che codifica per una proteina presente sulla superficie dei globuli rossi ; questa molecola ha il compito di inviare messaggi agli ormoni locali (chemochine) all'interno della cellula. Il Plasmodium Vivax, uno dei parassiti che provocano la malaria, usa la proteina DARC come tramite per entrare nei globuli rossi, ma la versione mutata del gene DARC, appunto l'allele Duffy nullo, impedisce l'accesso del parassita ai globuli rossi, e pertanto si è universalmente diffusa. Quasi tutti in Africa hanno l'allele Duffy nullo del gene Darc, mentre quasi nessuno, al di fuori del continente africano, ne è provvisto. 
    Un altro allele molto diffuso è associato al colore della pelle : si tratta di un allele del gene KITLG (KIT legante) da cui dipende il colore della pelle più chiaro. Circa l'86% degli europei e degli asiatici orientali è portatore di questo particolare allele del gene KITLG. Questo allele si è evoluto a causa di una mutazione della versione originale del KITLG (associata alla pelle scura) e presente negli africani. L'allele di un altro gene, SLC24A5, che ha la stessa proprietà di schiarire la pelle, si è a sua volta diffusa, spazzando via quasi tutti gli alleli alternativi tra gli europei. 
    I casi descritti, in cui un allele è stato fissato in una razza e un altro allele (dello stesso gene) è stato fissato in una razza diversa, sono molto pochi, e non bastano certo per rendere conto delle differenze tra le popolazioni.

    Tuttavia, se gli esseri umani hanno lo stesso insieme di geni e i casi di alleli divenuti dominanti grazie a sweeps (spazzate) selettive complete (hard sweeps) sono assai rari, perché le razze risultano una diversa dall'altra?
    Negli ultimi anni alcuni genetisti hanno ipotizzato che la sweep selettiva non debba necessariamente essere profonda per modificare un carattere. Molti caratteri, come il colore della pelle, l'altezza o l'intelligenza, sono controllati da un gran numero di geni diversi, ognuno rappresentato da alleli, cioè da varianti che, prese singolarmente, danno un piccolo contributo al modo in cui un dato carattere appare in una popolazione : di conseguenza se più alleli relativi a un carattere aumentano di frequenza in una popolazione, quel carattere ne risulterà profondamente influenzato. Questo processo è indicato come "soft sweep" (spazzata selettiva morbida) ed è l'opposto della "hard sweep" (spazzata selettiva dura o completa), in cui l'allele di un gene sostituisce sostituisce tutti gli altri alleli per quel gene in una popolazione. A questo riguardo Pritchard ha considerato l'altezza, un carattere influenzato da centinaia di geni, poiché può aumentare in modi molto diversi. Supponiamo che esistano 500 geni potenzialmente in grado di influenzare questo carattere, ognuno presente in due forme alternative (alleli). Di questi alleli, uno non ha effetto sull'altezza, mentre l'altro determina un incremento della stessa di 2 millimetri. L'altezza di un individuo dipende da quanti sono gli alleli in grado di aumentare l'altezza da lui ereditati. Quel numero a sua volta è determinato dalla frequenza di ciascun tipo di allele all'interno della popolazione ; pertanto se ognuno degli alleli che promuovono l'altezza diventasse solamente il 10% più comune in una popolazione, ogni individuo ne erediterà in pratica più di uno e l'altezza in media aumenterebbe di 200 millimetri, vale a dire 20 centimetri. 
    La soft sweep, illustrata nel precedente esempio in cui si ha un piccolo incremento nella frequenza di molti alleli, rappresenta per la selezione naturale un modo più semplice di agire rispetto alla hard sweep (in cui si ha un notevolissimo aumento della frequenza di un solo allele), di solito ritenuta a torto uno dei principali motori dell'evoluzione. Bisogna anche notare che le soft sweeps agiscono su alleli che già esistono e si limitano a renderne alcuni più comuni : possono allora iniziare ovunque ce ne sia bisogno.

    Supponiamo che un gruppo di pigmei debba abbandonare il proprio habitat naturale, la foresta, per iniziare ad allevare bovini in un clima più caldo, dove è un vantaggio essere più alti e snelli, come i Nuer e i Dinka del Sudan. I pigmei più alti genererebbero più figli e, tra i geni che influenzano l'altezza, gli alleli vantaggiosi dovrebbero diventare più comuni nella popolazione . Ad ogni generazione, un individuo avrebbe una probabilità leggermente maggiore di ereditare gli alleli che promuovono l'altezza e la popolazione dovrebbe diventare più alta in un tempo abbastanza breve.

    ANCORA EPIGENETICA

    Cos’è esattamente l’epigenetica ? Il termine lo dobbiamo a Conrad H. Waddington, che all’inizio degli anni quaranta coniò la metafora del “paesaggio epigenetico”, con cui voleva rappresentare la complessità di interazioni, di condizionamenti e di circostanze a cui va incontro il patrimonio ereditario (genotipo) nell’esprimersi in forme e funzioni dell’organismo adulto (fenotipo). Con il tempo abbiamo capito meglio che tra genotipo e fenotipo c’è di mezzo un vero e proprio universo fatto di organizzazione (non solo di sequenze, dunque) del DNA, di elementi biochimici vari e di meccanismi cellulari, tanto da fare dell’epigenetica un campo di studio molto prolifico e promettente.
    In generale è ormai noto che il processo epigenetico coinvolge la regolazione differenziale dei geni e dei loro prodotti in modo che si ottengono svariate decine di tipi cellulari differenti da uno stesso zigote.

    Ci possono dunque essere cambiamenti nell’espressione dei geni senza che intervengano cambiamenti nel genoma proprio di quel dato organismo, ma piuttosto nell’epigenoma dei diversi tipi cellulari, cioè nell’impacchettamento del DNA all’interno del nucleo delle cellule, negli elementi proteici e non solo proteici che concorrono al suo funzionamento. Fra gli elementi non proteici c’è in particolare il gruppo metile, composto da un atomo di Carbonio e da tre di Idrogeno, che può legarsi alle basi azotate della macromolecola del DNA : è questo il fenomeno che prende il nome di metilazione del DNA. La presenza o l’assenza di gruppi metile può fare la differenza nell’attivare o disattivare parti del genoma. Nei mammiferi la metilazione avviene tipicamente a carico della base azotata Citrosina seguita da Guanina (CG) e i suoi effetti sono stati studiati. In genere si associano alla repressione della trascrizione.
    I biologi molecolari sono in grado di mappare i diversi modelli di metilazione anche negli esseri umani. Ma se questo è possibile per una specie vivente, sarà possibile fare la stessa cosa per una specie estinta ? Insomma come possiamo sapere qualcosa dell’epigenoma di resti ormai fossili ?

    La risposta arriva dalle pagine di “Scienze”, dove sono riportati i dati relativi alla metilazione tanto del DNA di un Neanderthal che quelli di un Denisova. La ricerca ha un duplice significato. Possiamo iniziare a capire meglio cosa ha fatto la differenza tra noi (viventi) e loro (estinti) al di là del linguaggio sequenziale del DNA, ma possiamo anche iniziare a comprendere il ruolo dell’epigenetica nell’evoluzione, proprio attraverso al caso-studio dell’evoluzione umana.

    COME LAVORA IL CRISPR SULL’EPIGENOMA

    L’epigenetica è quell’insieme di modificazioni chimiche che influiscono sull’accensione o lo spegnimento dei geni. Il prefisso “epi” in Greco antico vuol dire “sopra” e le informazioni epigenetiche si trovano infatti sopra quelle genetiche, sul DNA o intorno ad esso, non nella successione delle quattro lettere.
    Mentre il codice genetico è elegante e stabile, con le quattro lettere del DNA, il codice epigenetico è ostico e variabile. Esistono dozzine di differenti modificazioni chimiche che possono decorare sia il DNA che le proteine che lo avvolgono (istoni) come tanti fiocchetti apposti sui cromosomi. Queste targhette chimiche non modificano la sequenza del DNA, ma si pensa che influiscano sulla sua accessibilità e dunque sulla sua espressione. Sono state paragonate ai cartelli sulla porta degli esercizi commerciali, aperto, chiuso, torno subito. L’analogia migliore l’ha proposta Nessa Carey : tra genetica ed epigenetica c’è la stessa differenza che passa tra una sceneggiatura originale e quello che succede sul palcoscenico quando viene messa in scena. Regista e attori annotano il testo, arricchendolo di gesti, toni, pause, atmosfere. Finita la stagione teatrale, queste informazioni vanno in buona parte perdute. Lo stesso accade per i marcatori epigenetici, che si modificano con l’avanzare dell’età e in risposta alle mutevoli condizioni ambientali. Non tutte però. Si ritiene che una parte consistente delle modificazioni chimiche resti e possa essere tramandata.
    Il Road Map Epigenetic Project (oltre 90 laboratori coinvolti) ha prodotto un catalogo dei cambiamenti chimici che sembrano capaci di influenzare l’espressione dei geni in 127 tipi cellulari (i tipi cellulari diversi nel corpo umano sono 250). I marcatori epigenetici potrebbero aiutarci a capire come cellule con lo stesso genoma di partenza possano assumere identità diverse, specializzandosi in cellule della pelle, del cuore, delle ossa, del cervello, del sangue e via continuando.
    Ma il codice epigenetico è ancora tutto da decifrare e per riuscirci serve un approccio sperimentale simile a quello dei genetisti che silenziano i geni per capirne la funzione.
    In questo caso serve uno strumento che cancelli e aggiunga le targhette chimiche al DNA e alle proteine dei cromosomi, per vedere se e come ne risente l’espressione.
    Qual è la causa e qual è l’effetto ? Ovvero sono i marcatori epigenetici che cambiano l’attività dei geni oppure sono i cambiamenti dell’attività dei geni che alterano i marcatori epigenetici ?
    Per fortuna ora c’è il CRISPR, anzi una sua variante espressamente riadattata per studiare l’epigenetica. E’ costituita dall’enzima del complesso CRISPR (enzima CAS9) mutato in modo da continuare a interagire con la sua guida e quindi riconoscere specifiche sequenze di DNA, ma senza poterle tagliare. A questo enzima inattivato ne viene attaccato un altro capace di modificare i marcatori epigenetici. In pratica abbiamo rotto le forbici molecolari, mantenuto in funzione la bussola e aggiunto una nuova funzione. Il complesso CRISPR così modificato si dirige al sito prescelto e qui aggiunge o rimuove i gruppi chimici sul DNA o sulle proteine che lo avvolgono.

    RELAZIONE TRA CODICE GENETICO E SINGOLE CELLULE

    Ora è possibile mostrare la differenza tra il PROGETTO GENOMA (il DNA senza marchi epigenetici) quale si trova nelle cellule staminali e tutti gli "spartiti" che trovano posto nel DNA delle singole cellule.
    I marchi epigenetici funzionano come appunti lasciati sopra una frase, o come le note a margine di un libro (segni a matita, parole sottolineate, graffi, lettere barrate e note di chiusura) che modificano il contesto del genoma senza intervenire sul testo. Ogni cellula di un organismo eredita lo stesso libro, ma togliendo certe frasi e aggiungendone altre, silenziando o attivando certe espressioni, enfatizzando certe frasi, ogni cellula potrebbe scrivere un romanzo particolare partendo dallo stesso canovaccio comune.
    Queste note sono progettate per durare, in modo tale che ogni cellula possa bloccare la propria identità. Solo le cellule embrionali hanno genomi abbastanza duttili da acquisire vari tipi di identità, e che dunque possono generare tutti i tipi di cellula di cui un corpo ha bisogno. Una volta che le cellule embrionali hanno assunto un'identità definitiva (si sono trasformate in cellule ematiche, cardiache, ossee od epatiche) è raro che si possa tornare indietro (di qui la difficoltà nel ricavare un girino da cellule intestinali di una rana). Una cellula embrionale potrebbe scrivere migliaia di romanzi a partire dallo stesso canovaccio di partenza/genoma base. L'intreccio tra zone regolatrici, geni ed epigenetica risolve in parte l'enigma della individualità di una cellula. Probabilmente un sistema epigenetico esiste per consentire al genoma di funzionare, anche se molto di questo sistema deve ancora essere scoperto. In definitiva, i differenti genomi in cellule differenti, sembrano essere modificati da diversi marchi chimici in risposta a vari stimoli (compresi gli ambienti, anche culturali). Ma se questi marchi contribuiscono all'attività dei geni (come in effetti fanno), quali potrebbero essere le loro funzioni è ancora soggetto di accesi ed aspri dibattiti.
    (2021)

    .

    (fine)
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  5. #5
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    le prime 4 pagine (quelle scritte in piccolissimo) si possono leggere copia/incollando su Word e poi cliccando i tre puntini verticali dopo "in pausa", in alto della pagina.
    spero che i lettori scusino questa tortuosità di percorso, ma vale la pena di farsene carico.

  6. #6
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    dopo il disegno del filamento del DNA ci va
    La struttura del DNA nucleare è una doppia elica molto lunga (1,1 metri) a forma di spirale. Se poteste prendere una scala a pioli e torcerla in modo da formare una spirale, avreste un buon modello della molecola del DNA. I due montanti della scala sono formati da molecole di zucchero alternate a gruppi fosfato, mentre i pioli perpendicolari ai montanti sono costituiti dalle basi azotate (A,T,G,C). Ogni base forma un legame covalente con la sub unità zuccherina posta nel tratto di montante adiacente ad essa. Le basi appaiate si incontrano sull’asse centrale della doppia elica (a formare un unico piolo) e sono unite da legami Idrogeno, relativamente deboli per potersi aprire al comando della duplicazione cellulare o delle frequenti ispezioni per riparazioni che ricorrono nella vita delle cellule.

  7. #7
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    Eri, scusa : manca pagina 2

  8. #8
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    non serve mandare su Word, basta cliccare col mouse destro sulla piccola foto.
    però manca sempre la pagina due.

  9. #9
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    Citazione Originariamente Scritto da dimecan Visualizza Messaggio
    Eri, scusa : manca pagina 2
    E' coperta dalla pagina 3.
    Sto provvedendo.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  10. #10
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    Predefinito Re: Dentro il genoma

    Fatto.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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