Caso camici, i pm chiedono il processo per Attilio Fontana e altre quattro persone.
La Procura contesta al governatore lombardo il concorso in «frode in pubbliche forniture»: non sarebbe stato adempiuto il contratto su 25 mila camici non consegnati. Coinvolti il cognato Andrea Dini e il dg di Aria Filippo Bongiovanni.
L’utilità, nel mondo del presidente leghista della Regione Lombardia Attilio Fontana, non si è realizzata. «Il presidente - spiegava qualche giorno fa il suo difensore Jacopo Pensa dopo mesi di riflessioni di Fontana se farsi o non farsi interrogare all’esito della conclusione in luglio dell’inchiesta sulla fornitura di camici sanitari da parte della ditta del cognato -, ritenendo evento utopistico che la Procura, dopo l’avviso di chiusura indagine, possa mutare impostazione accusatoria a seguito di un suo interrogatorio, ha deciso di riservare le proprie difese alle fasi processuali successive di fronte a giudici terzi».
Così, senza quelle controargomentazioni difensive che Fontana tante volte aveva assicurato agevole dare ai magistrati, ora la Procura della Repubblica ha formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio per l’ipotesi di reato di concorso in «frode in pubbliche forniture». «Allo scopo di tutelare l’immagine politica del presidente della Regione Lombardia, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dalla parentela con il fornitore» cognato Andrea Dini (cioè con il titolare della Dama spa aggiudicatasi il 16 aprile 2020 in emergenza Covid un contratto da 513.000 euro con la centrale acquisti regionale Aria spa per 75.000 camici e 7.000 set di calzari e cuffie), Fontana e il cognato avrebbero ripiegato sull’idea di simulare l’esistenza sin all’inizio di una donazione (dei 50.000 camici fino a quel momento già consegnati) al posto del reale contratto di fornitura onerosa.
E un intervento sul direttore generale di Aria spa, Filippo Bongiovanni, affinché rinunciasse a pretendere da Dini la consegna anche dei residui 25.000 camici, sarebbe stato funzionale a che il cognato limitasse i danni; mentre per i camici ormai già «donati», a mo’ di indennizzo personale al cognato, Fontana iniziò a dare alla propria fiduciaria l’ordine (poi sospeso dopo un alert antiriciclaggio) di bonificare a Dama spa 250.000 euro corrispondenti alla fatturazione dei camici consegnati.
Per questi «interesse e convenienza personali anteposti all’interesse pubblico» la Procura contesta al presidente leghista della Regione il concorso in «frode in pubbliche forniture» sotto il profilo dell’inadempimento del contratto sui 25.000 camici non consegnati. Il che avrebbe fatto «mancare beni destinati a far fronte al quotidiano fabbisogno di camici» (50.000 al giorno in quel momento) «richiesti dallo stato di emergenza sanitaria».
Stessa accusa è mossa al cognato Andrea Dini, titolare al 90% della società di cui la moglie di Fontana ha il 10%; a Filippo Bongiovanni; alla manager di Aria spa, Carmen Schweigl; e al vicario del segretario generale della Regione, Pier Attilio Superti. Il quale — secondo l’incastro di chat e testi operato dai pm Luigi Furno (da poco passato al Tar), Paolo Filippini e Carlo Scalas — dopo una riunione in Regione il 19 maggio 2020 avrebbe comunicato a Bongiovanni, «dietro mandato e nell’interesse di Fontana», la «diretta volontà del presidente alla quale dover dare esecuzione». Fontana di fronte a queste accuse si è in pubblico sempre detto «molto amareggiato per le questioni morali e politiche che emergono da questa vicenda e che rappresentano esattamente il contrario della verità».
https://milano.corriere.it/notizie/c...6939b6a5.shtml