Storia curiosa...

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L’amore smisurato per l’Isola di una donna di duemila anni fa

Nel sarcofago, ultima dimora di Iulia Fortunata, un’iscrizione che testimonia le sue origine sarda

Il sarcofago di Iulia Fortunata (foto tratta dal profilo Twitter del museo di York)

Una donna costretta a emigrare ma che sente talmente forte il legame con la sua Sardegna da volerne lasciare una traccia che andasse oltre la sua morte. Niente di strano, tutto sommato. Se non fosse per un particolare tutt’altro che irrilevante: in questo caso, si tratta di una donna vissuta quasi duemila anni fa che, seguendo il marito, personaggio particolarmente influente, andò a vivere a Eboracum, nel nord dell’Inghilterra (l’attuale York).

La vicenda è stata ripresa e raccontata dall’archeologo Nicola Dessì. Una vicenda tornata alla luce in un modo molto particolare. Nel 1926, nella nuova sede del Municipio di Cagliari, finita di costruire diciannove anni prima, giunge una lettera proveniente da Thornton Healt, un’area del sud di Londra che fa parte della contea storica del Surrey e indirizzata al “Major city of Cagliari” (in realtà, quell’anno non c’è un sindaco ma un commissario prefettizio, Vittorio Tredici che, poi, divenne podestà). A firmarla è un gentleman inglese, tale R. Fairbain (impossibile scoprire di più su questa persona).

La lettera, scritta ovviamente a macchina e in inglese, racconta che a York (l’antica Eboracum), durante i lavori per la realizzazione della stazione centrale, è stato ritrovato un sarcofago di una nobildonna sarda (quasi certamente cagliaritana, secondo alcuni studiosi), Iulia Fortunata vissuta nella città britannica nel I secolo dopo Cristo (ma alcuni studiosi parlano di II se non addirittura di III secolo). La lettera, carica, come racconta Dessì, di enfasi ed entusiasmo, riporta il testo dell’epigrafe e si conclude con un affettuoso “Long live Sardinia”.

“Ivl(iae) Fortunatae domo Sardinia Verec(vndio) Diogeni conivncta marito” (“Iulia Fortunata, originaria della Sardegna, fedele moglie del marito Verecundius Diogenes”). Avrebbe potuto far scrivere tante cose nella sua ultima dimora: Iulia Fortunata decise di mettere l’accento, oltre che sul legame con il marito, con il fatto che fosse sarda.

Una scelta dovuta forse al fatto che, senza quella puntualizzazione, nessuno sarebbe mai venuto a sapere del suo sangue sardo. Come racconta Attilio Mastino nel suo “Storia della Sardegna antica”, l’asse privilegiato per le migrazioni dalla Sardegna era con il Nord Africa. Ma talvolta poteva capitare che i sardi si trasferissero in Italia e, addirittura, nelle province più remote.

In questo caso, Iulia Fortunata seguì il marito, importante esponente dell’aristocrazia provinciale. Chi era quest’uomo? “M(arcus) Verec(undius) Diogenes, sevir col(oniae) Ebor(acensis) item q(uinquiennalis et) cives Bituriz Cubus” (questo è il testo di un’iscrizione ritrovata a breve distanza dal luogo in cui fu rinvenuto il sarcofago di Iulia Fortunata). Si specifica, in pratica, che l’uomo faceva parte dei Bituriges Cubi, una tribù della Gallia Centrale la cui capitale per Avaricum Biturgium (l’attuale Bourges) in Aquitania. Precisazione fondamentale per spiegare che aveva ricoperto importanti cariche amministrative pur non essendo originario della Britannia.

La figura del marito di Iulia Fortunata è stata studiata e narrata da G. P. Baker nel suo libro “Constantine the Great, and the Christian Revolution”: lo studioso racconta che Marcus Verecundius Diogenes era il massimo esponente degli industriali dell’oro e dell’argento nella città di Eboracum e divenne in seguito decurione. Il suo alto potere economico, racconta ancora l’archeologo Nicola Dessì, è anche deducibile dal fatto che fu uno dei Seviri Augustales (gli addetti al culto del fondatore dell'Impero nelle città municipali e nelle colonie).

Una donna, dunque, che ha voluto lasciare a memoria imperitura le due cose fondamentali della sua vita: l’amore per il marito Marcus Verecundius Diogenes e l’indissolubile legame con la sua terra, la Sardegna. Quel sarcofago racconta due meravigliose storie d’amore. Anche se l’ultima dimora di Iulia Fortunata è stata, in epoca tardo romana, profanata: fu usata anche per conservare i resti mortali di un uomo anziano. Ma di lui non è rimasto nulla mentre Iulia Fortunata viene ricordata a distanza di duemila anni.