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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Il bello è che uno dei problemi maggiormente sentiti in Italia è quello delle delocalizzazioni. Con Montezemolo leader del Centrodestra - con tutta la propaganda basso-patriottica, istituzionale, antiberlusconiana - ci aspettiamo il voto in massa degli italioti, che si dimenticheranno molto presto di questo piccolo dettaglio.

  2. #12
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    L'articolo di GLG l'avevamo letto, il discorso di fondo è corretto: Tangentopoli è servita a permettere la svendita del paese e il saccheggio neo-liberista , ma è anche vero che Berlusconi sui "magistrati comunisti" non ha tutti i torti, nel senso che la sinistra e le toghe "rosse", piaccia o no, sono figlie della via al comunismo gramsciana: infiltrare l'intellighenzia del paese in alternativa alla impossibile conquista del potere attraverso le elezioni, che poi tra i comunisti italiani sia prevalsa la "corrente filo-Americana" (Napolitano & compagnia) è un altro discorso, Berlusconi però ha tutto il diritto di utilizzare lo spauracchio comunista nel suo armamentario polemico. Quindi a parte i riferimenti alla Vandea reazionaria, quello che non capiscono certi marxisti è che ad es. nell'ostilità all'alluvione immigratoria e al revanscismo islamico anti-europeo che si porta dietro (il dilagare di moschee, i predicatori che invocano l'islamizzazione d'Europa, etc.) e che è una questione *reale*, non c'è assolutamente nulla di filo-americano o filo-globalista in sé, si tratta di difendere la nostra popolazione e il suo spazio vitale, proprio come l'indipendenza e i nostri settori nazionali di punta, oltretutto è chiaro che a favorire l'ingresso di immigrati e la pericolosa congiuntura invasione allogena-decremento demografico autoctono è proprio la "GFeID", senza contare il ruolo dei servizi segreti anglo-americani (negli anni '80 e '90) nel supportare l'islamismo militante integralista servendosene contro la Russia e l'Europa, in Afghanistan, in Jugoslavia, un domani magari dentro la stessa Europa occidentale strabordante di immigrati. Certo è vero che i giornali berlusconiani spesso adottano posizioni "neo-cons", ma questo non significa che il pregiudizio verso l'esplosione islamica in Europa sia infondato: dopotutto chi per primo ha concepito lo scontro delle civiltà - Samuel Huntington - per primo aveva messo in guardia dall'illusione di esportare all'estero i "valori occidentali" (concezione neo-con), auspicando invece un ordine mondiale pluralista fondato sulle differenti civiltà, ancora, i partiti cosiddetti "anti-islamici", come Lega Nord, FPOE, Front National, etc. non hanno mai aderito pienamente o convintamente alla campagna di guerre americane contro il mondo islamico (contro l'Iraq ad esempio), piuttosto si riconoscono nella massima "ognuno padrone a casa propria". Non si può *negare* un problema cruciale come quello del confronto tra nord e sud del mondo, preconizzato da Spengler, Boumédienne, Huntington, Faye, etc. Certo, sarebbe meglio per chi denuncia l'islamizzazione smetterla di aderire totalmente alle massime concepite dai neo-conservatori americani sulla lotta tra "democrazia" e islamismo, che in risposta alla marea montante islamica ci vorrebbero interni alle logiche di dominio unipolare americano per il XXI secolo come le hanno concepite i sedicenti neo-conservatori - tutto questo non in nome del terzomondismo o della solidarietà internazionalista, ma solo nell'interesse europeo, a lungo calpestato.

    carlomartello
    Ultima modifica di carlomartello; 14-10-10 alle 14:03

  3. #13
    Bushidō
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Si' concordo, e' anche la visione esposta da Ettore Bernabei, il rischio del nostro tracollo demografico e quindi della sostituzione del popolo italiano con gli immigrati fa certamente gola ai capi religiosi islamici che sognano di soggiogare Roma culla e capitale della cristianita'.

    Tornando al Tremonti "anti-privatizzazioni".



    «Avete voluto il libero mercato? Ecco il risultato»
    Economia: Tremonti contro le società privatizzate «Erano meglio le banche di Stato».

    La folgorazione «colbertiana» di Giulio Tremonti ospite di Assolombarda

    Le privatizzazioni fatte «nel decennio passato sono una patologia». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, citando fra l'altro i telefoni e le autostrade, «chissà chi le ha fatte?» ha detto rivolgendosi ai banchi dell'opposizione.

    MILANO - «Avete voluto il libero mercato? Ecco il risultato. Una volta c´erano le Bin (Banche d´interesse nazionale, ndr.) che magari avrebbero fatto diversamente e mi sembra che andassero molto bene, le grandi Bin». Stillano nostalgia per gli istituti di credito pubblici come Comit, Bnl o Credito Italiano, le parole di Giulio Tremonti. Quelle banche che, al contrario di Unicredit e San Paolo Intesa magari avrebbero sottoscritto i Tremonti bond. Guai a chiamarli così, però: «La prego di non accostare il mio cognome», chiede a un giornalista, «a quelli che sono bond dello Stato». È un ministro dell´Economia che spara a zero contro le privatizzazioni. Dice: «Avete voluto spacchettare l´Enel? Avete visto i risultati in bolletta: fantastici. Avete voluto privatizzare Telecom? Ecco i risultati. Le Autostrade? Vi do l´indirizzo: rivolgetevi agli ingegneri dell´industria e della finanza». Insomma, nel giorno in cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lancia il grido d´allarme per «l´eccessivo indebitamente pubblico», sottolineando la necessità di «modificare l´ordine delle voci della spesa pubblica» il ministro dell´Economia si smarca: «Non commento le cose che non ho letto pur avendo un grandissimo rispetto per le Istituzioni». E poi si scaglia contro le società privatizzate. A cominciare dalle banche. Non c´è male per l´ospite d´onore di Assolombarda, la più potente associazione dell´industria privata italiana. La tesi di Giulio Tremonti è semplice: «Il 90-95% dell´economia italiana è generato da imprese con meno di 15 addetti. Al contrario il 30% del mercato del credito è concentrato in due grandi banche, due giganti quasi monopolistici lontani dal territorio» come Intesa San Paolo e Unicredit. E allora? Per il ministro «la crisi ha fatto emergere un sistema bancario italiano troppo asimmetrico e staccato dal territorio».

    13.10.2009


    Il ricordo della crociera sul Britannia nel '92, quando si prepararono le privatizzazioni

    Intervistato dal Corriere, Tremonti ricorda l'operazione Britannia.

    Ma le «élite antipatriottiche» hanno dovuto fare i conti con Berlusconi

    ROMA - «Ogni tanto, penso che questo periodo ha qualche affinità con i primi anni ' 90: ricorda la crociera sul Britannia, nell' estate del ' 92? Ecco, quella fu un' operazione elitaria, che prescindeva dal popolo, ma poi il popolo ha eletto Berlusconi. Non mi pare che ci si possa riprovare, ignorando la volontà popolare». Il potere adora andare per mare, ogni magnate ha la sua enorme barca e quella crociera sul Britannia fatta nell' estate del ' 92 resta, nell' immaginario di molti, la metafora di un cambio politico fatto pagando il prezzo di un pezzo di sovranità italiana. Si trattò, in realtà, di una sola giornata e sul regale yacht si imbarcarono per poche ore i massimi esperti inglesi delle privatizzazioni e gli uomini che allora potevano influenzare quelle italiane. Chi c' era a bordo? Si fa prima a dire chi non c' era. Salirono da Nino Andreatta a Mario Draghi, da Bazoli a Spaventa, più alcuni professionisti esterni al circuito del potere, invitati in qualità di osservatori. Tra questi ultimi, anche l' avvocato Giulio Tremonti: «Oggi non c' è il clima di quegli anni. Non ci sono, almeno, gli elementi del dramma. Siamo nell' euro ed una crisi simile alla nostra si vive anche in Germania, anche in Francia. La crociera sul Britannia simbolizzò il prezzo che il Paese pagava tanto per "modernizzarsi" quanto per restare nel club». Rievocando quella giornata sul panfilo reale, Tremonti esclude i personaggi in carne ed ossa che in quel giugno del 1992 pranzarono a bordo, condividendo cotolette e mousse di gamberi. E' agli altri, a quelli che aleggiavano pur senza esserci, che corre il suo pensiero: «Mettiamola così. A terra erano rimasti gli armatori, l' Italia del vecchio partito d' azione che aveva mandato in top class chi li rappresentava. Altre cabine erano virtualmente destinate ai postcomunisti, la classe dirigente che stava per entrare nella stanza dei bottoni. Il personale di bordo? I commis d' Etat che avrebbero dovuto gestire centomila miliardi di privatizzazioni». Chi verrebbe imbarcato in una nuova crociera sul Britannia? «Gli armatori non ci sono più. Alcuni ci hanno lasciato, altri sono assai invecchiati. Nemmeno c' è più quel blocco di potere che metteva tutto assieme, le filiere dei giornali, il sindacato, il mondo della cultura, la magistratura. Se si vuole, pure questo un aspetto della crisi che vive in Italia lo Stato-nazione... Anche per le cabine in classe turistica, però, bisognerebbe trovare nuovi passeggeri: i postcomunisti che nel ' 92 si apprestavano ad entrare nella stanza dei bottoni, il potere poi ce l' hanno avuto, l' hanno usato, ne sono stati logorati. S' esaurito il mito della loro superiore capacità di governo». Infine, e per tornare agli scopi di quella crociera, forse oggi il Britannia non avrebbe neppure ragion d' attraccare a Civitavecchia: «Il ciclo storico delle privatizzazioni è quasi completato. Di grosso restano le aziende locali, ma si tratta di un patrimonio collocato nel retroterra, nelle Regioni, nei Comuni, non gestito dal potere centrale». Il paradosso, riflette ancora Tremonti, è che quelli del Britannia pensavano di andare incontro ad una navigazione tranquilla e poi, arrivati in porto, nel ' 94 si ritrovarono Berlusconi, «le armate popolari che non erano state imbarcate».

    23.07.2005
    Ultima modifica di carlomartello; 18-09-11 alle 13:58

  4. #14
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Comunque sia ha ragione Tremonti: altro che crescita drogata dalla finanza, bisogna tornare alla vita austera antecedente agli anni '90. Abbiamo toccato il fondo, riemergiamo...

    carlomartello
    Ultima modifica di carlomartello; 03-09-11 alle 17:55

  5. #15
    Bushidō
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti



    Rpt-Governo, Bossi difende Tremonti: "È come Bismarck"



    ROMA, 14 ottobre (Reuters) - Il leader della Lega Nord Umberto Bossi difende il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che paragona al cancelliere tedesco Otto Von Bismarck.

    Al termine di un pranzo con il titolare di Via Settembre Bossi così dice ai cronisti: "Lui è come Bismarck, il cancelliere di ferro".

    "Sapete cosa diceva Bismarck? Chi tiene stretta la borsa, tiene stretto anche il potere", ha detto Bossi.

    "Io lo difendo sempre", ha aggiunto Bossi a proposito degli attacchi che vengono a Tremonti dagli altri colleghi di governo.

    Bossi non si sbottona invece quando gli si chiede se ci si possa fidare di Gianfranco Fini e dei parlamentari Futuro e libertà. "Speriamo", dice il senatur.
    Rpt-Governo, Bossi difende Tremonti: È come Bismarck | Reuters
    Ultima modifica di carlomartello; 01-06-11 alle 14:58

  6. #16
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Ultima modifica di carlomartello; 23-12-10 alle 03:06

  7. #17
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Tremonti: i paralleli con il 1992


    Un'idea delle discussioni reali negli ambienti di governo in Europa, dietro la cortina delle dichiarazioni di maniera che negano ogni crisi dell'euro, è stata data dal vice premier Giulio Tremonti.

    A seguito di una serie di incontri nelle capitali europee, in cui ha tra gli altri incontrato Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Gordon Brown, Tremonti è stato intervistato dal Corriere della Sera del 23 luglio. L'attuale fase storica, ha detto Tremonti, gli ricorda il periodo del complotto sul Britannia, un riferimento al famoso incontro sul panfilo di Elisabetta d'Inghilterra, avvenuto nel 1992 al largo di Civitavecchia. In tale incontro furono discusse con i principali rappresentanti della City di Londra le privatizzazioni e le "riforme" politiche per l'Italia, nel contesto del "progetto euro". Il Trattato di Maastricht, che codifica il sistema euro-EMU, fu sottoscritto quello stesso anno.

    Tremonti ha detto al Corriere: "Ogni tanto penso che questo periodo ha qualche affinità con i primi anni '90: ricorda la crociera sul Britannia nell'estate del '92? Ecco, quella fu un'operazione elitaria che prescindeva dal popolo ... non mi pare che ci si possa riprovare ignorando la volontà popolare". Tremonti ha riferito che allora fu invitato a bordo del Britannia, come "osservatore". Oggi "siamo nell'euro ed una crisi simile alla nostra si vive anche in Germania, anche in Francia. La crociera sul Britannia simbolizzò il prezzo che il paese dovette pagare tanto per 'modernizzarsi' quanto per restare nel club."

    Prendendo in considerazione la possibilità di un governo di unità nazionale in Italia Tremonti ha spiegato: "Ma è un'ipotesi che mi sembra difficilmente realizzabile, a meno che, dopo le elezioni, non si vari in Germania una Grosse Koalition".

    Il complotto del Britannia fu denunciato nel 1993 da un articolo dell'EIR e da una vasta campagna del Movimento Solidarità, su cui si appoggiarono numerose interrogazioni parlamentari e servizi giornalistici.
    Tremonti: i paralleli con il 1992

  8. #18
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale


    Documento diffuso dall'EIR e dal Movimento Solidarietà il 14 gennaio 1993


    Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il «Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.
    Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: “Stiamo per passare dalle parole ai fatti”. Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario.
    Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il “primo mobile” dietro tutto il dibattito sulle privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e newyorkesi. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc.
    Prima di esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro potrebbe ottenere dalla svendita dell'ENI, dell'IRI ecc., cerchiamo di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell'OCSE e nel mondo dei mass media.
    Queste grandi finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della CEE per la Politica di Concorrenza ed è l'autore delle regole bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente, nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.
    Nonostante le illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.

    La globalizzazione e il “Big Bang” londinese

    La formula che gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio ed al tempo stesso “promuovere la competitività”, fu collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale per conto del governo della “Lady di Ferro”.
    Così un ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni l'economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner, sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a poco tempo fa dall'economista arciliberista Milton Friedman, ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.
    Friedman è l'architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura di Augusto Pinochet. Essa si riduce all'idea di tenere il governo fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando propose che l'eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati alla stregua di una “merce” normale, in modo da permettere al consumatore di “scegliere liberamente” se acquistarla o meno.
    Sotto la rivoluzione “liberistica” imposta dalla Thatcher sono state messe all'asta le imprese migliori dell'Inghilterra, dalla British Petroleum alle compagnie del gas e dell'acqua, fino alla industria militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella “privatizzazione” furono principalmente gli amici della Lady di Ferro.
    D'altro canto quel “collaudo” dimostra come non sia affatto vero che l'industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13 anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo del settore macchine industriali ed automobile, l'Inghilterra è stata superata anche dall'Italia. L'essenza del “liberismo” thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito dello sviluppo industriale dell'economia nazionale.
    Questa degenerazione britannica toccò il fondo nell'ottobre del 1986, quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria della City di Londra, che fu chiamata il “Big Bang”. Poco meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da essa iniziata.
    In Inghilterra il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli interessi dell'alta finanza e non quelli delle capacità produttive del paese.
    Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente portato alla rovina economica nazionale. L'Inghilterra versa nella peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL. Però, contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.
    Ma, a prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del “liberismo ad oltranza”, la privatizzazione decisa della Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la “mano invisibile” tanto cara alle teorie liberistiche. Questa “mano invisibile” anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni operate da altri governi nella misura in cui questi sono così stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente “consulenze finanziarie” proprio a quella cricca di finanzieri.
    Alla fine degli anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Regan, presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della Citicorp, si impegnarono a lanciare una “rivoluzione finanziaria” sulla stessa falsariga che in America fu chiamata “deregolamentazione dei mercati finanziari”.
    Quando Ronald Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington. Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli autotrasporti, per non parlare dell'economia in generale. Le leggi che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla “legge del Far West” che prevede la sopravvivenza del più cattivo.
    Negli anni ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era “tutto è ammesso, dillo con i soldi”. Così al crimine organizzato fu permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri. Grazie al proliferare delle “obbligazioni spazzatura”, o altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo termine su cui cresceva l'impresa, cercando solo di realizzare profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel.
    In questi anni Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros., lanciarono la “globalizzazione dei mercati finanziari”. Il presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e “vincere”.
    Uno dei sofismi utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema finanziario del paese preso di mira come “superato”, “obsoleto”, “non abbastanza dinamico”; insomma, da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così l'intera Europa fu accusata di soffrire di “Eurosclerosi”. Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati “arretrati” o “provinciali” e sfruttare la maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.

    La grande speculazione e la finanza angloamericana

    Il vero e proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla “globalizzazione” dei mercati finanziari in stile thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla fine degli anni '60, inizio anni '70. A partire da quel periodo, le grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell'economia interna americana non erano così profittevoli come quelli all'estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L'astuto Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell'IMI), si recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento di Stato USA a far rimanere all'estero quei capitali, in modo che Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di “banchiere mondiale” che la City aveva svolto fino al 1914. E' ironico che il primo prestito in “Eurobbligazioni” sottoscritto da Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla Società Autostrade dell'IRI.
    La vera trovata di Warburg fu però l'uso dei dollari espatriati in Europa, i cosiddetti “Eurodollari”, che si rivelarono l'innovazione finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker, annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali. Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton Woods del 1944 che stabilivano l'ordine monetario postbellico. Di colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di “tassi di cambio fluttuanti” che trasformò il sistema monetario basato sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.
    Nel maggio 1973, sei mesi prima che scoppiasse la “crisi petrolifera”, l'oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere la fase successiva del “ricatto” esercitato per mezzo del dollaro sull'economia mondiale. Tra gli ospiti di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l'egida del Club Bilderberg, c'era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si discusse che bisognava persuadere l'OPEC ad aumentare il prezzo del petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la domanda di dollari sul mercato internazionale.
    Henry Kissinger, un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò l'idea col nome di “riciclaggio dei petrodollari”. I suoi interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert O. Anderson dell'americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come impedire i catastrofici effetti sull'economia mondiale derivanti da un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l'intera discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno all'idea di come assicurare che poche, scelte banche americane controllassero la nuova ricchezza dei “petrodollari” in mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei loro amici europei, alle spese del resto del mondo.
    Negli anni '80, dopo due crisi petrolifere e l'equivalente shock della stretta creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve (1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò, nel contesto di un valore “fluttuante” del dollaro e del riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio, quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle tran-
    sazioni finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600 e i 1000 miliardi di dollari.

    La Lugano connection

    A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella “privatizzazione” delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come “consulenti” del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una “svendita” del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.
    Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di “insider trading” che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un “ufficio di guerra economica” in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò “gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici”. Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro “senior partner”, John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei “futures”. La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un “ufficio operativo” a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni.
    La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata “La Mina”, che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates.
    Dopo gli scandali di “insider trading” e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska. Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank. Lo stesso Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni '80, al finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome, finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned Parenthood, l'Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il Population Council.
    La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della “Pizza connection”, che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Regan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.
    Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come “consiglieri per la privatizzazione”. Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!

    Moody e la guerra della lira

    Quasi in contemporanea con la nomina del governo Amato, l'agenzia di “rating” newyorchese Moody's annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe retrocesso l'Italia in serie C dal punto di vista della credibilità finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La giustificazione di Moody's fu che il nuovo governo non dava sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody's è famosa perchè usa come arma “politica” la sua valutazione di rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di banche rivali o, come nel caso dell'Italia, di intere nazioni. Il presidente della Moody's, John Bohn, ha ricoperto un'alta carica nel ministero del Tesoro USA sotto George Bush.
    La mossa di Moody's costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d'interesse sui BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l'inizio di una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i più aggressivi speculatori contro la lira, nell'attacco del luglio scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra. Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L'Italia fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit.
    Ciò che Amato non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre finanziarie di Wall Street un grande “vantaggio”. Calcolato in dollari, l'acquisto delle imprese da privatizzare è diventato, per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente, specialmente dopo l'ultimo attacco speculativo dell'inizio dell'anno, la lira si va assestando sul valore “politico” di circa 1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana.
    Come mai questa “coincidenza”? Come mai la finanziaria newyorchese ha appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano Prodi, “senior adviser” della Goldman Sachs, suggerisce di privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d'interesse nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina (Convegno presso l'Assolombarda il 30 settembre 1992)?
    Lo stesso Prodi, che nel passato è stato a capo dell'IRI, oggi sembra aver sposato completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver proposto, a metà novembre, che l'Europa applichi verso i paesi dell'est una politica simile a quella dell'accordo di libero scambio siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro attività all'est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la crisi all'ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un abbassamento della produttività anche all'est, dato che la manodopera sottopagata è anche meno qualificata.
    Il governo italiano deve scartare una simile politica, così come deve abbandonare il circolo vizioso dei tassi d'interesse alti che, per difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono aumentati paurosamente, da circa l'11% al 20% prima che la lira abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d'Italia mantiene il tasso d'interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita.
    Andando avanti su questa strada, l'Italia commetterà un suicidio economico. La sola via d'uscita è l'adozione di una politica creditizia nazionale del tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia. Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all'avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partners europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d'Italia, la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello stato per poi rivendergliela a tassi “di mercato”, cioè da usura. I motivi che hanno portato al “divorzio” tra il Tesoro e la Banca d'Italia, e cioè l'improduttivo finanziamento del debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare il governo. Perciò occorre porre fine al “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro.
    Una efficace repressione dell'attività di riciclaggio del denaro da parte della mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la fiducia popolare. L'alternativa è il caos e la guerra civile.
    Privatizzazioni

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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Mr. Britannia alla Banca d'Italia

    EIR, 5 gennaio 2006 – Con la nomina di Mario Draghi a successore di Antonio Fazio si apre una nuova fase nella colonizzazione finanziaria ed economica dell'Italia. Grazie all'Executive Intelligence Review, Draghi è noto come "Mr. Britannia", nomignolo che gli deriva dall'aver partecipato, quando era direttore generale del Tesoro, alla riunione semi-cospirativa con i banchieri della City sul panfilo della Regina Elisabetta, il 2 giugno 1992. A quella riunione si discusse come "finanziarizzare" il sistema economico italiano, cioè trasformarlo in un sistema in cui la finanza avrebbe preso il sopravvento sull'industria e sulla politica, facendo leva sulle privatizzioni. Denunciato dall'EIR in un dossier del 1993, che diede seguito a numerosi articoli di stampa e interrogazioni parlamentari, Draghi ha poi svolto una sotterranea e intensa opera di public relations per sminuire l'importanza della sua partecipazione a quell'incontro, senza riuscire a togliersi il marchio di dosso. Infatti, il giorno della sua nomina tutti i quotidiani e le agenzie italiane, senza eccezione, hanno dovuto riportare che nel passato del neogovernatore c'è la storia poco chiara del Britannia. Persino il sito Libertà&Giustizia, che rappresenta i duri e puri del gruppone debenedettiano (grande vincitore dello scontro politico-finanziario che ha portato alle dimissioni di Fazio), ha dovuto parlare della crociera del Britannia, naturalmente scrivendo che quanto è stato detto al proposito sono solo "sciocchezze".
    Resta il fatto, invece, che Draghi tenne un discorso a quella riunione, in cui disse esplicitamente che il principale ostacolo ad una "riforma" del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico. Guarda caso, dopo la crociera sul Britannia partì l'attacco speculativo contro la lira e l'uragano di Mani Pulite che proprio quel sistema politico abbatté.
    Negli anni successivi, Draghi fu il regista di tutte le privatizzazioni, che hanno trasformato il panorama economico italiano in modo molto simile a quello pre-1936, con un fitto intreccio tra banche e imprese monopoliste in mano a vecchie e nuove famiglie oligarchiche.
    C'é da prevedere che con Draghi in via Nazionale ci sarà il disco verde per una nuova avanzata delle banche internazionali e dei fondi speculativi in Italia, alla caccia di imprese da fagocitare e dei 140 miliardi di risparmio nazionale, oltre che del bottino rappresentato dalla privatizzazione delle pensioni, obiettivo di sempre del potere sinarchista di cui Mr. Britannia rappresenta uno dei più fidati "assets"
    Mr. Britannia alla Banca d'Italia

  10. #20
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    Predefinito Rif: Il “mercatismo” di Montezemolo contro Bossi e Tremonti

    Draghi e Rohatyn: attacco a tenaglia contro la Nuova Bretton Woods


    dichiarazione di Paolo Raimondi, presidente del Movimento Internazionale per i diritti civili – Solidarietà


    Roma 24 gennaio 2006 – La recente nomina di Mario Draghi a governatore della Banca d’Italia rappresenta la capitolazione delle istituzioni economiche e politiche italiane agli interessi della grande speculazione internazionale e ai dettami di un liberismo economico-finanziario sempre più selvaggio, ma anche sempre più in bancarotta.
    Con Draghi in Via Nazionale è partita la fase del “Britannia 2”! Le banche internazionali e i fondi speculativi hanno ottenuto il disco verde per una nuova avanzata, per dare la caccia a nuove imprese da fagocitare e ai 140 miliardi di risparmio nazionale, e si preparano a fare bottino con la privatizzazione delle pensioni.
    È la prima volta, nella storia della Banca d’Italia, che il governatore non è stato scelto tra i suoi membri più rappresentativi, ma è stato direttamente catapultato, con grande fanfara, dalla centrale delle finanza internazionale, dalla Goldman Sachs. Perché?
    Chi cerca una risposta nelle beghe interne italiane non capirà niente e in cambio invece riceverà in regalo un pacchetto ben confezionato di manipolazioni.
    Draghi rappresenta un atto di “guerra preventiva” nel campo strategico della crisi finanziaria.
    Il sistema finanziario internazionale è in bancarotta. Le banche centrali hanno finora gestito in coordinazione tra loro la crisi, al servizio degli interessi della grande finanza privata. Ma questa gestione non basta più né potrà reggere gli sconvolgimenti che si prospettano nell’immediato futuro. La bolla speculativa è stata ingigantita a livelli inimmaginabili attraverso le speculazioni immobiliari e soprattutto quella dei prodotti derivati. Basti pensare che una sola banca americana, la JP Morgan Chase, ha ben oltre 50.000 miliardi di dollari in contratti derivati OTC, piu di 5 volte il PIL degli USA! L’economia reale sottostante è stata ovunque distrutta, a cominciare dal cosiddetto settore avanzato, cioè l’Europa e il Nordamerica. Ciò che si sta verificando è un vero e proprio crollo. Fenomeni come quello di LTCM possono ripresentarsi in ogni momento. La paralisi produttiva imposta dalle regole di Maastricht è la garanzia di un terremoto finanziario e bancario.
    La grande finanza internazionale sa bene che, ferme restando le regole della grande speculazione e del liberismo, non ha via d’uscita dalla bancarotta, ma non vuole, ne può, cambiare rotta in quanto questo liberismo selvaggio è la sua anima, la sua essenza. Sa anche che i settori dell’economia reale non possono convivere all’infinito con una crescita cancerogena del debito speculativo. Questo è il motivo per cui ora essa teme la crescente domanda di riorganizzazione del sistema, di una Nuova Bretton Woods, come proposta dall’economista americano Lyndon LaRouche e dal nostro Movimento: una riorganizzazione per bancarotta dell’intero sistema monetario e finanziario internazionale, che reintroduca un sistema di tassi di cambio fissi, che emetta nuovi crediti per grandi investimenti infrastrutturali che rimettano in moto l’economia produttiva e che introduca misure di contenimento e di abolizione delle speculazione. Teme la rivolta di settori statali, industriali, sindacali che possono dire basta alla distruzione dell’economia reale e della società civile produttiva. Teme un ritorno di Franklin D. Roosevelt e del suo New Deal su scala planetaria.
    Ecco, Draghi rappresenta la mossa preventiva contro questa possibilità. E’ una mossa globale, non un segnale “italiano”, bensì sistemico.
    La finanza internazionale fa così sapere di essere pronta ad un’accelerazione del processo di globalizzazione. Purtroppo molti allocchi nostrani, un po’ di tutte le tendenze, hanno volutamente scambiato l’appoggio dato a Draghi dal Financial Time, dal Wall Street Journal e simili con un benevolo reportage turistico sulla “bella Italia”. L’Italia non ha i mezzi per opporre resistenza e si è lasciata subito convincere che i grandi speculatori internazionali sono meglio dei maneggioni dell’economia nostrani.
    Infine, Draghi è l’uomo dei salotti buoni e dei panfili di lusso.
    Mario Draghi è il “Mr. Britannia”. Il 2 giugno 1992 , il “Ciampi’s boy”, allora Direttore Generale del Ministero del Tesoro, guidò il drappello di dirigenti delle Partecipazioni Statali sul “Britannia”, il panfilo della regina Elisabetta II d’Inghilterra, per un incontro con i grandi finanzieri della City di Londra e di Wall Street per svendere l’industria di stato italiana, o per “modernizzarla”, come usavano dire.
    Poi a settembre l’attacco speculativo delle stesse finanziarie, coordinate da George Soros, contro il Sistema Monetario Europeo fece svalutare la lira del 30%, regalando ben 15.000 miliardi di lire agli acquirenti-speculatori che acquistavano in dollari. La chiamammo una svendita a prezzi stracciati a cui certi settori della vecchia Democrazia Cristiana e del PSI di Craxi cercarono di opporsi. Invano. In quegli stessi giorni le “mani pulite” realizzarono il grande massacro politico che aprì la porta al neoliberismo selvaggio e al neoconservatorismo di marca americana.
    Il «Movimento internazionale per i diritti civili – Solidarietà», fu il primo a denunciare queste sporche operazioni con un ampio memorandum del 14 gennaio 1993. E poi, con un esposto alla magistratura nel 1995, chiedemmo un’indagine sull’attacco alla lira e sull’incontro del Britannia. Le nostre denunce ebbero anche vasta risonanza nei mezzi d’informazione.
    Negli anni successivi, diventato il regista delle privatizzazioni, Draghi ha trasformato il panorama economico nazionale in un intreccio incestuoso tra banche e imprese. Se si indaga un poco viene subito alla luce che una delle finanziarie favorite nel processo di privatizzazione è stata la Goldman Sachs.
    Inoltre, uno dei “Draghi’s Boys”, Alberto Giovannini, membro del comitato di esperti del Ministero del Tesoro dall’inizio degli anni Novanta, venne mandato nella dirigenza del fondo LTCM, che fallì clamorosamente nel 1997-8 a causa delle perdite accumulate soprattutto su contratti finanziari derivati. A quelle sue speculazioni internazionali aveva partecipato persino l’Ufficio Italiano Cambi! Lo stesso Giovannini nel 1997 illustrò alla Commissione Europea “i vantaggi” di aprire i mercati ai derivati.
    Nel 2001 Draghi lasciò il Ministero del Tesoro per passare alla vice presidenza di Goldman Sachs, una finanziaria che ricopre un ruolo decisionale centrale nella globalizzazione finanziaria mondiale.
    Perché la magistratura, così solerte in certune circostanze, non ha mai avuto il coraggio di indagare sul ruolo della Goldman Sachs e sul ruolo svolto da Draghi nei passati 15 anni di privatizzazioni?
    Parallelamente all’operazione Draghi, occorre tenere bene in conto un secondo assalto condotto attraverso il banchiere americano Felix Rohatyn, della Lazard Freres, la controparte “democratica” della grande speculazione. Il compito di questo secondo braccio della tenaglia è mettere in campo proposte e idee che suonano molto simili alla nostra proposta per una Nuova Bretton Woods, ma che in realtà intendono confondere e neutralizzare quelle forze che vorrebbero e dovrebbero coalizzarsi contro la grande speculazione. In questo Rohatyn opera in tandem con George Soros, il promotore della liberalizzazione della droga.
    Secondo Rohatyn dovrebbero essere le stesse banche e finanziarie a farsi promotrici delle riforme del sistema monetario e finanziario, mentre al tempo stesso continuerebbero le loro operazioni speculative. Secondo lui gli stati, i parlamenti e le autorità governative dovrebbero essere tenute fuori dalla riorganizzazione. È come dire che bisognerebbe lasciare che la mafia, indubbiamente esperta nel crimine organizzato, detti le regole di sicurezza, lasciando fuori lo stato e le forze di polizia.
    In Italia Rohatyn e co. fanno perno su De Benedetti e i suoi addentellati anche nella sinistra, mentre la destra politica e liberista esalta la “saggezza” del libero mercato speculativo finanziario.
    Questo attacco a tenaglia è stato lanciato in forze in Italia soprattutto per soffocare la nostra proposta per una Nuova Bretton Woods, che lo scorso aprile è stata presentata alla Camera dei Deputati da Mario Lettieri della Margherita e da altri 50 parlamentari appartenenti a quasi tutti i partiti, ed è stata approvata dalla stragrande maggioranza del Parlamento.
    Draghi e Rohatyn: attacco a tenaglia contro la Nuova Bretton Woods

 

 
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