Libertà di parola. Questo concetto ha un sapore anacronistico e sembrerebbe un diritto/dovere da tempo consolidato. Eppure nel terzo millenno siamo di fronte a una inaspettata quanto pericolosa regressione nell'atro oscurantismo in nome di una neomorale fondata sull'ipocrisia opportunistica di una specifica ideologia: il progressismo.


Il progressismo è oggi diventato un umbrella term, o meglio un umbrella concept, un concetto contenitore che si fregia di inglobare una congerie di idee e interessi con il plastico tessuto del politicamente corretto.

Infatti Capozzi, autore de “Politicamente corretto. Storia di un’ideologia", sostiene che: "Il politically correct è come un “catechismo civile”, una somma di “precetti”, di divieti, di censure in cui si compendia la retorica di un’ideologia ben precisa: quello che possiamo chiamare neo-progressismo"


Essere progressisti comincia a significare, per molti, farsi legislatori del linguaggio. Parte una furia nominalistica che, con ogni sorta di eufemismo e neologismo, si premura di stabilire come dobbiamo chiamare le cose e le persone, in totale spregio del linguaggio e della sensibilità della gente comune, come sostengono Luca Ricolfi e Paola Mastrocola.


Natalia Ginzburg, denuncia l’ipocrisia, e la sopraffazione verso il comune sentire dei ceti popolari, implicite nella pretesa di imporci come dobbiamo parlare e pensare. Ci troviamo così circondati di parole che non sono nate dal nostro vivo pensiero, ma sono state fabbricate artificialmente con motivazioni ipocrite, per opera di una società che fa sfoggio e crede con esse di aver mutato e risanato il mondo.



Per Lottieri, uno dei punti fermi della tradizione occidentale schierata a difesa della tolleranza (da Montaigne a Pierre Bayle, da Baruch Spinoza a John Locke, a John Stuart Mill) è che “le opinioni non sono azioni”. Insomma: una cosa è teorizzare una società marxista e altra cosa (e ben diversa!) è operare un esproprio proletario, derubando il prossimo.







Tuttavia il tirannico neoprogressismo tratta la parola come azione e si propone di coartare le masse imponendo l'adozione di una neolingua progettata per plasmare il pensiero al punto da sovvertire la realtà. Tutti dovranno riconoscere che un uomo che si dichiara donna è donna a tutti gli effetti, che la malattia mentale è una normale neurodiversità, che il bacio del principe azzurro è un tentato stupro e così via. Chi oserà dissentire verrà cancellato, deriso, boicottato a tutti i livelli dal sistema progressista. E per soggiogare anche chi avrà l'ardire di resistere a questa violenza sociale, la nuova ideologia ricorrerà a sanzioni penali creando leggi ad hoc.



Che fare allora?

Il compito dei paladini della libertà di parola è chiaro: DIFENDERE LA LIBERTÀ DI PENSIERO IN TUTTE LE SUE FORME ED ESPRESSIONI.

Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate, scrisse G.K. Chesterton

Prima di arrivare a questo, combattete nell'agone virtuale, divulgate il verbo della libertà espressiva frantumando le imposizioni del polcor.



E ricordiamoci che pronunciare parole come negro, frocio e così via è un modo efficace per garantire l'accettazione a lungo termine di categorie diverse, poiché le differenze esistono e saranno sempre percepibili. Non mi credete? Dedicate 01.45 min alla visione del video in calce








La libertà è una sola, permette di prendere in giro i leghisti e gli ebrei, i gay e i magistrati, i machisti e i navigator, i giornalisti e le femministe, e così via, nessuno escluso.
ENRICO MENTANA