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Chi l'avrebbe mai detto che in Giappone, Paese famoso per i suoi orari di lavoro estenuanti, la settimana lavorativa corta potesse diventare realtà? Il pioniere di questa nuova presa di coscienza è stato Microsoft Japan introducendo per un mese la settimana lavorativa breve (solo quattro giorni in ufficio, dal lunedì al giovedì, senza ridurre la retribuzione). Un esperimento di un paio di anni fa rivelatosi profittevole con un enorme salto in alto nella produttività: dall’analisi delle vendite per dipendente, è risultato infatti che i lavoratori sono stati quasi il 40% più produttivi durante l’agosto delle settimane lavorative brevi che nello stesso mese dell’anno precedente.
Da poco anche il colosso dell'hi-tech Panasonic ha deciso di sposare la causa introducendo per i propri dipendenti (per ora, per quelli delle sue sedi giapponesi) la settimana lavorativa opzionale di quattro giorni. Un annuncio motivato dalla volontà di garantire maggior tempo libero ai lavoratori, che potrebbe essere usato dai dipendenti per proseguire i loro studi, fare volontariato, coltivare i propri hobby e persino portare avanti un secondo lavoro. «Dobbiamo sostenere il benessere dei nostri dipendenti», ha detto il CEO di Panasonic, Kusumi Yuki, spostando l'asticella della soddisfazione: da quella aziendale a quella personale dei dipendenti.
Un atto coraggioso quello di Panasonic, se si esclude la sperimentazione di Microsoft, la prima nel paese nipponico a introdurre la settimana corta a seguito delle raccomandazione del Consiglio per la politica economica e fiscale del paese, che nel giugno 2021 nelle sue linee guida annuali ha sottolineato la necessità di introdurre la settimana corta incoraggiando i datori di lavoro a sperimentare il nuovo modello sul campo.
A partire dal primo gennaio gli Emirati Arabi Uniti hanno ridotto la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici: si è passati da cinque giorni a quattro e mezzo. Secondo Wam, l’agenzia di stampa ufficiale, si tratta del primo Paese al mondo a fare una scelta del genere. Una tendenza che anche altri Paesi stanno incoraggiando stanziando ingenti fondi. La Finlandia, la Scozia e l'Islanda per esempio, stanno incentivando politiche di riduzione dell'orario di lavoro. Ma anche tante aziende, che autonomamente stanno sperimentando con successo la modalità della settimana corta, Buffer, che ha iniziato la sperimentazione addirittura nel 2020 e Unilever che la sta portando avanti su 81 dipendenti in Nuova Zelanda. Nel 2023 all’elenco, che è in continuo aggiornamento, si aggiungerà anche Kickstarter.
«Una rivoluzione possibile», ha detto la premier finlandese Sanna Marin al momento del suo insediamento nel 2020, ormai due anni fa.
Oggi la pandemia ha portato a un inevitabile accelerazione della flessibilità sul posto - con lo smart working - e ha messo in luce i problemi di stress e burnout causati dal superlavoro e dalla necessità di trovare spazi di libertà per se stessi e la famiglia. Per molti, la ripresa da un arresto senza precedenti e da una profonda recessione è diventata così l'opportunità di attuare un cambiamento profondo che altrimenti potrebbe richiedere molti più anni. Ed è su questa scia che la settimana lavorativa di quattro giorni potrebbe essere la prossima rivoluzione «possibile» di cui abbiamo davvero bisogno.