https://www.huffingtonpost.it/blog/2...83285-P7-S4-T1
“Imagine all the people, living life in peace”. Era il 1971, poco più di 50 anni fa e John Lennon provava a immaginare un mondo di pace, un sogno molto lontano in quegli anni, travolti dal devastante conflitto in Vietnam e nel pieno della guerra fredda. Dopo oltre mezzo secolo, la pace continua ad essere un miraggio e i conflitti sono sempre più diffusi in tutto il mondo. Anche se a prima vista sembrerebbe che la corsa degli armamenti che caratterizzava quegli anni, in cui i due blocchi di superpotenze si armavano come minaccia l’una nei confronti dell’altra, sia ormai molto lontana, i numeri ci dicono il contrario.
La spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000, in forte aumento in quasi tutti i paesi del mondo, e si sta avvicinando a 2 mila miliardi di dollari all’anno. I singoli governi sono obbligati ad aumentare le proprie spese militari perché altri, percepiti come avversari, aumentano le loro: in questo circolo vizioso, si continua ad alimentare una corsa agli armamenti, con un costo immenso. Nello scenario peggiore, è un percorso che porta a conflitti devastanti. Nello scenario migliore, è un colossale spreco di risorse che possono essere usate più saggiamente. Nel mondo un bambino su sei, più di 450 milioni, vive in una zona di conflitto e, tra questi, circa 200 milioni vivono nelle 13 aree di conflitto più letali al mondo. La cifra più alta degli ultimi dieci anni (appena dopo i 208 milioni raggiunti nel 2008), aumentata di circa il 20% rispetto ai 162 milioni dell’anno precedente in parte a causa delle violenze scoppiate in Mozambico e ai conflitti in corso in Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria e Yemen, paesi già gravemente colpiti dalle conseguenze della crisi climatica e con livelli di crisi alimentare potenzialmente letali. Nemmeno una pandemia globale è bastata per fermare le guerre e le atrocità più brutali. Milioni di bambini non hanno conosciuto altro che la guerra con conseguenze spaventose per la loro salute mentale, la loro educazione o l'accesso ai servizi salvavita.
Questa è una vergogna per la comunità internazionale. Una comunità che è sempre di più alle prese con sfide globali che richiedono scelte coraggiose e impegnative da parte di tutti e che ha dimostrato come il destino di ciascuno sia interconnesso a quello degli altri. E che ha insegnato come uno sforzo comune possa portare lontano: in pochi mesi il mondo è stato in grado di ottenere notevoli progressi con i vaccini contro il Covid-19, dimostrando che un impegno collettivo è possibile. Ora dobbiamo combattere con la stessa forza le diseguaglianze generate dalla pandemia, i cambiamenti climatici, le nuove possibili epidemie. Immaginare un mondo in cui i diritti siano di tutti non è un sogno e a piccoli passi si possono ottenere grandi risultati. Eppure un enorme impegno politico ed economico resta concentrato sul tema della difesa.
“Imagine all the people, living life in peace”. Era il 1971, poco più di 50 anni fa e John Lennon provava a immaginare un mondo di pace, un sogno molto lontano in quegli anni, travolti dal devastante conflitto in Vietnam e nel pieno della guerra fredda. Dopo oltre mezzo secolo, la pace continua ad essere un miraggio e i conflitti sono sempre più diffusi in tutto il mondo. Anche se a prima vista sembrerebbe che la corsa degli armamenti che caratterizzava quegli anni, in cui i due blocchi di superpotenze si armavano come minaccia l’una nei confronti dell’altra, sia ormai molto lontana, i numeri ci dicono il contrario.
La spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000, in forte aumento in quasi tutti i paesi del mondo, e si sta avvicinando a 2 mila miliardi di dollari all’anno. I singoli governi sono obbligati ad aumentare le proprie spese militari perché altri, percepiti come avversari, aumentano le loro: in questo circolo vizioso, si continua ad alimentare una corsa agli armamenti, con un costo immenso. Nello scenario peggiore, è un percorso che porta a conflitti devastanti. Nello scenario migliore, è un colossale spreco di risorse che possono essere usate più saggiamente.
Nel mondo un bambino su sei, più di 450 milioni, vive in una zona di conflitto e, tra questi, circa 200 milioni vivono nelle 13 aree di conflitto più letali al mondo. La cifra più alta degli ultimi dieci anni (appena dopo i 208 milioni raggiunti nel 2008), aumentata di circa il 20% rispetto ai 162 milioni dell’anno precedente in parte a causa delle violenze scoppiate in Mozambico e ai conflitti in corso in Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria e Yemen, paesi già gravemente colpiti dalle conseguenze della crisi climatica e con livelli di crisi alimentare potenzialmente letali. Nemmeno una pandemia globale è bastata per fermare le guerre e le atrocità più brutali. Milioni di bambini non hanno conosciuto altro che la guerra con conseguenze spaventose per la loro salute mentale, la loro educazione o l'accesso ai servizi salvavita.
Questa è una vergogna per la comunità internazionale. Una comunità che è sempre di più alle prese con sfide globali che richiedono scelte coraggiose e impegnative da parte di tutti e che ha dimostrato come il destino di ciascuno sia interconnesso a quello degli altri. E che ha insegnato come uno sforzo comune possa portare lontano: in pochi mesi il mondo è stato in grado di ottenere notevoli progressi con i vaccini contro il Covid-19, dimostrando che un impegno collettivo è possibile. Ora dobbiamo combattere con la stessa forza le diseguaglianze generate dalla pandemia, i cambiamenti climatici, le nuove possibili epidemie. Immaginare un mondo in cui i diritti siano di tutti non è un sogno e a piccoli passi si possono ottenere grandi risultati. Eppure un enorme impegno politico ed economico resta concentrato sul tema della difesa.
“You can say, I’m a dreamer, but I’m not the only one”, continua il testo di Lennon. Chi lavora nel mondo umanitario è generalmente considerato un sognatore. Noi “salviamo i bambini”, lo siamo nel nome e proviamo a rendere questo sogno ogni giorno qualcosa di tangibile e concreto. Ma non siamo soli. Per questo Save the Children -già impegnata sul tema dei conflitti da molti anni con la campagna “Stop the war on Children- ha deciso di aderire all’appello lanciato qualche settimana fa dal fisico italiano Carlo Rovelli e da 50 premi Nobel e accademici ai governi: fermiamo la corsa verso il baratro della guerra e occupiamoci delle grandi sfide che abbiamo di fronte. Una proposta semplice e concreta che invita i governi a negoziare un accordo globale per una riduzione bilanciata delle spese militari del 2% all’anno per cinque anni: dal punto di vista di ciascun Paese, la sicurezza non solo non diminuisce, ma infatti aumenta, perché i Paesi percepiti come avversari riducono la loro capacità militare. Deterrenza e equilibrio sono mantenuti. Un simile accordo contribuirebbe a ridurre l’animosità, diminuendo ulteriormente il rischio di guerra. La storia mostra che accordi per limitare gli armamenti sono realizzabili.
Enormi risorse verrebbero liberate e rese disponibili, il cosiddetto “dividendo della pace”, pari a mille miliardi di dollari statunitensi entro il 2030. La metà delle risorse sbloccate da questo accordo verrebbe convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite, per far fronte alle istanze più pressanti dell'umanità: pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema. L'altra metà resterà a disposizione dei singoli governi. Così facendo, tutti i Paesi potranno attingere a nuove e ingenti risorse, che in parte si potranno utilizzare per reindirizzare le notevoli capacità di ricerca dell'industria militare verso scopi pacifici nei settori di massima urgenza. Forse la pace è ancora un sogno lontano, ma a piccoli passi, possiamo avvicinarci un po’ di più a un mondo in cui le persone e soprattutto i bambini, possano conoscere qualcosa di più di un mondo fatto di guerra, violenze e morte.