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A due anni dall'inizio della pandemia è sempre più evidente come il Covid abbia rappresentato e rappresenti tutt'oggi una grave e insidiosa concausa alla disuguaglianza sociale tra i giovani. A dimostrarlo sono i dati messi in luce nell’ultimo rapporto "Education at a glance" dell'Ocse, che evidenziano come le chiusure prolungate delle scuole nei primi 18 mesi di pandemia abbiano lasciato segni profondi tra gli studenti, accrescendo quel divario tra l'Italia e il resto d'Europa per numero di Neet (Neither in Employment nor in Education or Training). Secondo l'Eurostat in Italia il 29,4% di giovani tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, contro una media europea del 17,6%. E la percentuale sale al 35% se si tratta delle donne (contro il 24% degli uomini). In pratica più di una donna su tre nel nostro Paese non riesce a trovare uno sbocco educativo e professionale. A gravare su questo preoccupante fenomeno è stata la chiusura delle scuole a causa della pandemia, che ha costretto milioni di studenti italiani a casa per un periodo equivalente al 45% del calendario scolastico. Rispetto al resto del continente infatti il nostro Paese ha tenuto chiuse le scuole superiori per 90 giorni contro una media di 70 dei Paesi Ocse, obbligando i ragazzi a ricorrere alla dad, uno strumento che per le famiglie più povere si è rivelato del tutto insufficiente, quando non addirittura inesistente per mancanza di dispositivi mobili e connessioni wifi. Che fare allora? Ritenendo impensabile abbattere le differenze economiche in casa, almeno nel breve periodo, è giusto che le scuole tornino a essere facilitatori di mobilità sociale. Non a caso, anche nella logica del governo, saranno proprio gli istituti scolastici "gli ultimi a chiudere". Come spiegato ieri in conferenza stampa da Mario Draghi, "la scuola è fondamentale per la democrazia, va tutelata, protetta, non abbandonata". "Probabilmente ci sarà un aumento delle classi in Dad ma quello che va respinto è il ricorso generalizzato alla didattica a distanza", ha chiarito il premier, che ha evidenziato "anche motivazioni di ordine pratico: ai ragazzi si chiede di stare a casa, poi fanno sport tutto il pomeriggio e vanno in pizzeria? Non ha senso chiudere la scuola prima di tutto il resto, ma se chiudiamo tutto torniamo all'anno scorso e non ci sono i motivi per farlo". In caso contrario, oltre alle ripercussioni psicologiche, le stime indicano che ci sarà una perdita di apprendimento equivalente a 7 mesi di didattica (quasi un intero anno scolastico) e un aumento del 25% della quota di studenti al di sotto del livello minimo di competenze. Tornare a ripensare alla scuola come a una priorità da proteggere, difendere e tutelare è il miglior antidoto contro l'abbandono scolastico, l'analfabetismo, la disoccupazione e, da ultimo, la disuguaglianza economica e sociale.