Originariamente Scritto da
animal
Alcune settimane fa fece scalpore il caso dell'opera "Komme, Frau", del giovane artista polacco Jerzy Szumczyk. La statua vuol rammentare i numerosi stupri che i soldati dell'Armata Rossa, avanzando in suolo tedesco (oggi spesso parte della Polonia) nel 1944-45, compirono ai danni delle donne tedesche; fenomeno immortalato a suo modo da un testimone oculare d'eccezione, Aleksandr Solženicyn, nel suo Prusskie noči. La scultura, posta senza permesso nel centro di Danzica, è stata rimossa dalla polizia e il suo autore arrestato per qualche ora.
A riconferma dell'adagio secondo cui sono i vincitori a scrivere la storia, nonché della particolare ferocia che in quegli anni mostrarono i Tedeschi, oggi sappiamo tutto degli efferati crimini di guerra della Germania nazista; ma delle rappresaglie che cittadini tedeschi, spesso innocenti, dovettero subire nei mesi della sconfitta, è ben più raro leggere o udire. Il fatto che quasi sempre si trattasse di reazioni alle atrocità precedentemente commesse dalla Germania aiuta a comprendere ma non permette di giustificare moralmente tali rappresaglie.
Le violenze compiute dai Sovietici sono emerse per prime alla pubblica notorietà, se non altro perché presto l'URSS divenne il nemico per tutto l'Occidente, e nessun argomento era più tabù per attaccarlo. Si stimano in circa 12 milioni i tedeschi che, sul finire della guerra e negli anni immediatamente successivi, emigrarono, volontariamente o perché minacciati di violenza o ancora scacciati con la forza, dall'Europa Centro-Orientale, e in particolare dalle regioni della Germania Orientale che furono annesse alla Polonia o alla Russia. La stima delle morti occorse in tale processo è assai variabile, ma mai molto inferiore al mezzo milione.
Difficilmente si troveranno invece notizie di crimini di guerra a danno dei Tedeschi a opera delle potenze occidentali. Ciò può dipendere dal fatto che, se vi furono, furono di scarsa entità; o che siccome la Germania Ovest fu subito reinserita internazionalmente nel sistema della NATO e della futura UE, nessuno ritenne opportuno soffermarsi su quelle pagine di storia che potevano compromettere la ritrovata amicizia.
Tra i sostenitori di quest'ultima tesi è James Bacque, scrittore canadese autore di un libro che, alla sua uscita nel 1989, suscitò un certo clamore: Other Losses, pubblicato in Italia da Mursia col titolo Gli altri Lager nel 1993.
Quando le truppe statunitensi e britanniche avanzarono in Germania, si trovarono di fronte a soldati che sembravano solo desiderare d'arrendersi loro. Gli alti comandi tedeschi sapevano che la guerra era perduta e, disattendendo gli ordini di Hitler, opposero una strenua resistenza sul fronte orientale cedendo invece su quello occidentale. I Tedeschi si aspettavano dagli anglo-americani una pietà maggiore di quella che avrebbero ottenuto dai Sovietici (se non altro perché ai primi, a differenza dei secondi, non avevano inflitto milioni di vittime). Milioni di combattenti germanici furono così internati in campi di concentramento statunitensi, britannici e in seguito francesi.
Bacque, aiutato dallo storico militare Colonnello Ernest Fisher Jr., raccolse numerose testimonianze orali e archivistiche, giungendo alla conclusione che nei campi di concentramento statunitensi e francesi morirono di fame o malattia 800.000 o più prigionieri tedeschi. Bacque ritiene che queste morti non furono inevitabili, perché in Europa vi erano allora sufficienti scorte per garantire la sopravvivenza dei prigionieri