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Risultati da 1 a 4 di 4

Discussione: Gli occhi

  1. #1
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    Predefinito Gli occhi

    Il filosofo e gesuita spagnolo Baltasar Gracián y Morales (1601 – 1658) in una delle sue trecento massime contenute nel libro titolato “Oráculo manual y arte de prudencia”, pubblicato nel 1647, afferma che

    “Le cose non si percepiscono per quello che sono, ma per come appaiono. Pochi sono coloro che guardano in profondità, molti quelli che si appagano delle apparenze”.

    Simulare e dissimulare, mascherare e smascherare, velare e svelare: sono questi i due estremi che spesso mantengono le relazioni sociali.

    Essere ipocrita e correre il rischio di essere contestato, in tal caso, come nella fiaba “I vestiti nuovo dell’imperatore”, di Hans Christian Andersen, il “re rimane nudo”.

    Ci vuole prudenza, nella consapevolezza che, alla maniera evangelica, in questo mondo bisogna muoversi con la semplicità della colomba ma anche con la prudenza del serpente.

    Baltasar Graciàn continua dicendo che “La nostra vita si svolge come in una commedia e solo nel finale avverrà lo svelamento”.

    Prima di questo filosofo spagnolo, già Machiavelli nel “Principe” non esitava ad affermare che “ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”.

    Gli occhi sono organi di conoscenza.

    Il pittore e scultore Amedeo Modigliani (1884 – 1920) a chi gli chiedeva il perché in alcuni ritratti di quegli occhi bianchi senza iride, l’artista rispondeva: “Quando conoscerò la tua anima dipingerò i tuoi occhi”.


    Amedeo Modigliani: “Ritratto di Jeanne Hebuterne”, 1917, olio su tela, collezione privata

    Nel quadro è raffigurata Jeanne, fidanzata di Modigliani che all’ epoca aveva diciannove anni. E’ più giovane di lui di quattordici anni quando si incontrano a Parigi. Jeanne è una dotata pittrice dalla forte personalità, affascinata dall’artista livornese.

  2. #2
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    Predefinito Re: Gli occhi



    Per Luigi Pirandello nelle relazioni sociali indossiamo delle metaforiche maschere da usare nelle diverse circostanze che ci vengono imposte dalle convenzioni e dalle norme di comportamento.

    Per questo drammaturgo siciliano la vita non è nient’altro che “un’enorme pupazzata”, uno spettacolo all’interno del quale ognuno di noi è ridotto a marionetta, costretto a compiere atti e gesti che non gli appartengono, impossibilitato a fare scelte e a realizzare i propri desideri e le proprie aspirazioni, così scrisse in una lettera alla sorella.

    Pirandello mi evoca il sociologo Erving Goffman, il quale sosteneva che nella vita quotidiana ognuno di noi è chiamato a recitare una serie di “ruoli”, all’interno dei quali deve assumere determinati comportamenti: come se fossimo attori, recitiamo una parte. Secondo Goffman sono normali strategie dell’interazione sociale.

    Per Pirandello, invece, le diverse “maschere” che usiamo nelle relazioni sociali sono un pesante fardello, come nei “Sei personaggi in cerca d’autore”.

  3. #3
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    Predefinito Re: Gli occhi

    Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray” fa dire a questo dal Lord Henry Wotton che “Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze”.

    E’ un modo per dirci che le apparenze contano. E’ la prima cosa che sappiamo degli altri ed è la prima cosa che sembriamo agli altri.

    Il problema nasce quando un individuo si fa “impadronire dal “complesso di Erostrato”, desunto dal trattato enciclopedico in 17 libri titolato “De natura animalium ” (Sulla natura degli animali), scritto Claudius Aelianus (170 circa - 235 d. C.): in questo trattato ci sono anche racconti leggendari, come quello riguardante il pastore Erostrato di Efeso: il 21 luglio del 356 a. C., nella sua città incendiò il tempio dedicato alla dea Artemide per avere notorietà, ma poi fu catturato, condannato a morte e alla damnatio memoriae.

    Il “complesso di Erostrato”, dal nome di quel pastore efesino, si manifesta col bisogno di essere famoso, con la necessità di avere l’approvazione sociale, di distinguersi, di essere sempre al centro dell'attenzione, ma invece di sviluppare le proprie qualità e abilità si costruisce una falsa personalità, e diventa prigioniero dell’apparenza.


    Un pesciolino vuol far credere di essere una balena

    Le persone che danno priorità alle apparenze hanno bisogno di far credere agli altri che hanno successo e sono importanti. Ostentano i loro beni materiali e spesso si vantano anche delle loro relazioni sentimentali, perché per loro rappresentano una ulteriore conquista. Non hanno mai problemi, la loro vita è semplicemente perfetta. Infatti, a volte arrivano a credere così tanto al personaggio che costruiscono su sé stessi che rifiutano di credere che la vita si sta sgretolando attorno a loro come il fragile castello di carte.

    Da dove viene il desiderio di fingere di essere ciò che non siamo?

    Alla base della finzione c’è il bisogno di essere accettati e amati, oltre a sentire che siamo importanti.

    Secondo il medico e psicoanalista viennese Alfred Adler (1870 – 1937), allievo di Freud, il complesso di inferiorità può essere di tipo primario o secondario.

    Il complesso di inferiorità primario ha origine nel periodo infantile, quando il bambino sperimenta la sua impotenza e dipendenza. Durante l’adolescenza questi sentimenti possono essere rafforzati dai giudizi negativi su di lui.

    Il complesso di inferiorità secondario si sviluppa nella fase adulta, ma l’origine deriva dall’infanzia o durante l’adolescenza. Tale disagio psicologico è legato alla sensazione, spesso inconscia, di non essere in grado di raggiungere il successo. La persona ha bassa autostima.

    Adler considerò il “sentimento di inferiorità” la spinta propulsiva dell’individuo a raggiungere livelli di superiorità nel suo ambito. Se tale aspirazione innata rimane frustrata, può degenerare in nevrosi e indurre l’individuo a compiere atti anti-sociali per dimostrare di aver raggiunto comunque la superiorità, anche se confondendola col potere e con la prevaricazione.

    Il discorso può essere ampliato a chi compie atti di bullismo .

    Il desiderio di evidenziare determinate caratteristiche o proprietà socialmente attraenti o positive nasconde la propria insicurezza: lindividuo pensa di non essere intelligente, né attraente, né socialmente sufficiente per attirare l’attenzione per ciò che è, ha bisogno di esagerare o persino inventare delle cose per ottenere l’approvazione sociale. L’insicurezza gli fa recitare il ruolo della persona sicura.

    La compensazione, il meccanismo psicologico proposto da Adler in relazione ai sentimenti di inferiorità, è una strategia attraverso la quale si copre in modo conscio o inconscio le frustrazioni, i desideri.

    Nella fase adulta, questa risposta adattiva può diventare un modello nevrotico. La persona che vive delle apparenze dipende quasi interamente dalle opinioni altrui, così costruisce un’immagine fittizia con la quale ottenere l’accettazione di cui ha bisogno.

    Il problema è che spesso finisce per identificarsi con quell’immagine. La ricerca dell’approvazione altrui nasconde la paura di essere rifiutati, di perdere l’affetto. Queste persone pensano che se si mostrano come sono, se sono autentiche, gli altri non le accettano. Ciò significa che non accettano alcune delle loro caratteristiche, ma invece di intraprendere un lavoro interiore per cambiarle, decidono di nasconderle. Pertanto, ogni finzione è il riflesso di una mancanza, un obiettivo frustrato e/o un rifiuto interiore.

  4. #4
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    Predefinito Re: Gli occhi

    Nel libro titolato” “Riflessioni o sentenze e massime morali”, scritto dal principe François de La Rochefoucauld (1613 – 1680), c’è questo aforisma:

    “Siamo così abituati a camuffarci agli occhi degli altri che alla fine ci camuffiamo anche ai nostri occhi”. Si riferisce alle persone che hanno scarsa autostima e si limitano a cercare l’approvazione costruendo una maschera dietro cui nascondersi. Questi individui restano intrappolati nella “maschera che indossano”, diventano incapaci di stabilire relazioni solide e sincere, ignorano il vecchio detto popolare “l’abito non fa il monaco”, anche se nel nostro tempo è abbastanza vero il contrario, “l’abito fa il monaco”, conta molto per come si appare, l’immagine tende a soverchiare la realtà e media i rapporti dell’umanità.

    Lo psichiatra e psicoanalista Carl Gustav Jung (1875 – 1961) usò il termine “imago” per definire lo schema immaginario che orienta il modo in cui il soggetto percepisce l’altro.


 

 

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