https://www.limesonline.com/notizie-...-italia/129452
Putin ha promosso colonnello generale (generale di corpo d’armata) il capo della Cecenia Ramzan Kadyrov.
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Protesta di 500 russi mobilitati, "ci trattano come animali"
Protesta di 500 uomini russi mobilitati che sono scesi dal treno nella regione di Belgorod lamentando di non essere ancora stati assegnati ad alcuna unità, di non avere elmetti, giubbotti antiproiettile, medicine, denaro e persino cibo. I video della protesta sono stati postati su Twitter dal consigliere del ministro dell'Interno ucraino Anton Gerashchenko. I soldati, a volto coperto, raccontano che prima di partire sono stati portati in un posto che 'andava bene per gli animali', 'gli ufficiali ci trattano come animali'. Riferiscono di non avere informazioni su cosa andranno a fare, di non essere stati addestrati, di aver ricevuto un'arma che non è stata neppure registrata a loro nome. "Stiamo mangiando solo quello che ci siamo portati da casa", dicono nei video, "abbiamo già speso un sacco di soldi".
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Tessera nr. 5 del club Ma il PD ?
Meno di un mese fa, il 21 settembre, Vladimir Putin annunciava alla Russia la “mobilitazione parziale” di uomini fra i 18 e i 50 anni da inviare al fronte in Ucraina. L’obiettivo era arruolare 300.000 soldati, che secondo le dichiarazioni ufficiali sarebbero stati scelti fra i “riservisti”: negli ultimi giorni l’operazione di reclutamento, secondo il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, sarebbe arrivata a due terzi, con oltre 200mila arruolati.
Alcuni di questi nuovi soldati sarebbero già stati mandati al fronte, ma non è ancora del tutto chiaro quale sarà il loro impatto. Anche perché, come ritengono vari esperti, la Russia non ha ancora deciso del tutto cosa fare con le enormi quantità di nuovi coscritti che sono entrati o stanno per entrare nel suo esercito: se inviarli immediatamente al fronte per frenare l’avanzata ucraina, correndo il rischio che siano impreparati e male addestrati, oppure se prendersi il tempo necessario per l’addestramento, correndo però il rischio di perdere altro territorio a favore degli ucraini.
La mobilitazione ha provocato problemi e critiche in Russia: ha causato la fuga all’estero di un numero importante di russi e generato un forte sentimento di opposizione interno, anche in settori della popolazione che finora avevano guardato alla guerra in Ucraina con approvazione o sostanziale disinteresse.
Fin dai primi giorni dell’annuncio, molti esperti avevano mostrato grossi dubbi sulla possibilità che una coscrizione di leva, che in Russia non si realizzava dalla Seconda guerra mondiale, potesse avere un impatto in una guerra moderna. Dal 2008 la Russia, come numerosi altri paesi, aveva deciso di rendere il suo esercito sempre più professionale, con militari di carriera, e meno dipendente dalla leva, in un tentativo di modernizzare le sue forze armate che si è rivelato decisamente insufficiente.
Le grandi perdite fra i 150.000 militari inizialmente stanziati per la cosiddetta “Operazione speciale” e i successi della controffensiva ucraina hanno spinto Vladimir Putin a un cambio di politica, già auspicato dai nazionalisti più critici sulla gestione della guerra. Secondo le stime del ministero della Difesa americano la Russia e i separatisti delle autoproclamate repubbliche del Donbass avrebbero perso 80.000 soldati fra morti, feriti e prigionieri. Il governo russo sostiene invece che i morti nel proprio contingente siano seimila appena.
Ora l’esercito sta ammassando uomini, in una coscrizione obbligatoria che non ha riguardato solo i riservisti e che mostra molte differenze a seconda delle regioni del paese: quelle della Russia asiatica, dove vivono le minoranze etniche e le fasce più povere della popolazione, sembrano esserne state interessate in misura percentualmente maggiore.
I metodi di impiego di tale grande numero di uomini pongono però dei problemi di non facile soluzione per l’esercito russo: addestrare e rendere pronti a un conflitto i militari di leva presupporrebbe almeno 3-4 mesi di preparazione, potenzialmente troppi per un esercito che nelle regioni occupate viene descritto come “esausto e poco motivato”. L’altra possibilità è quella di avere forze fresche subito, riducendo al minimo l’addestramento e inserendo i coscritti nelle unità già presenti sul territorio ucraino. In questo modo riempirebbero i vuoti lasciati da chi è stato ferito, ucciso o catturato, ma costituirebbero un rinforzo solo numerico e forse poco efficiente.
Molte testimonianze dai social network, ma anche dai report dei servizi di intelligence, fanno pensare che la Russia abbia scelto almeno in parte la seconda via, fornendo un supporto immediato ma impreparato ai comandanti delle forze in Ucraina. Alcuni soldati russi, ad esempio, sui social si lamentano di un addestramento ridotto a una giornata in cui hanno sparato tre colpi con un fucile automatico. Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di Difesa ucraino, e quindi fonte molto parziale, seppur informata, ha detto recentemente: «Molti dei russi mobilitati sono già al fronte, molti sono stati catturati, molti sono stati già distrutti».
Più probabilmente la Russia sta inviando parte dei rinforzi immediatamente, mentre altri sono in fase di formazione. Il ministro dell Difesa Shoigu aveva annunciato l’installazione di 80 campi e 6 centri di addestramento, anche se un ulteriore problema può essere costituito dalla carenza di addestratori, con i soldati professionisti e più esperti in gran parte impegnati direttamente nel conflitto. Una testimonianza dei problemi organizzativi arriva anche dal rinvio della leva classica, quella annuale, posticipata di un mese e ridotta nei numeri.
Alcuni dei campi di addestramento sono stati mostrati pubblicamente sui media da alcune autorità locali, come quelli di San Pietroburgo, Krasnodar, Rostov o della base militare di Pechenga, nella regione al nord della Russia al confine con la Norvegia. L’obiettivo di alcuni di questi articoli e video era smentire che le condizioni dei soldati fossero difficili, con attrezzature vetuste ed equipaggiamento inadeguato, come invece era trapelato dai social network. I comandanti di alcuni di questi centri hanno dichiarato che la fase di addestramento durerà un mese.
L’esercito russo ha fretta perché, come ha stimato Jeremy Fleming, direttore dell’agenzia governativa britannica di sicurezza e intelligence, «le forze russe sono esauste e il ricorso all’uso di prigionieri e alla mobilitazione di decine di migliaia di coscritti senza esperienza è segno di una situazione disperata». Secondo le informazioni di Fleming l’esercito russo sarebbe anche a corto di munizioni: un problema che si aggiungerebbe a una generale disorganizzazione e a casi non così isolati di «sabotaggi e rifiuti di eseguire ordini».
Dal giorno dell’annuncio della mobilitazione parziale avrebbero inoltre lasciato la Russia almeno 700mila cittadini, secondo i dati dell’edizione russa della rivista Forbes. Molti di questi si sarebbero diretti verso i paesi dell’Asia centrale più disposti ad accogliere i russi, fra cui Kazakistan, Mongolia e Georgia.
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https://www.rid.it/shownews/5232
Dopo l’attacco ai danni del ponte di Kerch, la risposta russa alla probabile azione ucraina non si è fatta attendere. Tra le prime ore del 10 ottobre e nelle 24 ore successive, Mosca ha lanciato un attacco su larga scala sull’intero territorio ucraino, andando a colpire infrastrutture strategiche (centrali elettriche/termiche e siti industriali) presenti all’interno o nelle periferie di oltre 20 città – Kiev inclusa – nonché edifici militari e/o legati alla presunta presenza di personale militare, diplomatico (come l’ufficio visti dell’Ambasciata tedesca) o appartenente ai servizi d’intelligence. Lo strike è stato caratterizzato dall’impiego contemporaneo, lungo almeno 3 diverse direttrici, di missili da crociera 3M-14 KALIBR, 10/12 lanciati da corvette classe STEREGUSHCHIY in navigazione nel Mar Nero, da 15/20 Kh-22, Kh-101 e Kh-555 lanciati da una dozzina di bombardieri Tu-22, Tu-95 e Tu-160 in volo, rispettivamente, sull’area di Bryansk, Kransodar/Rostov e zona caspica e, infine, da 20/25 UAV spendibili iraniani SHAHED-136 (GERAN-2, secondo la denominazione russa) lanciati a ridosso dei confini settentrionali dell’Ucraina, e dalla aree controllate dai russi (Crimea, Donetsk, Luhansk). Dalle stesse aree, in particolare dal Donbas e dal confine nordorientale ucraino, sono stati lanciati circa 15 missili balistici ISKANDER e TOCHKA, salve di razzi provenienti da sistemi TORNADO-S e una manciata di missili terra-aria appartenenti alle batterie di S-300, già impiegati dai Russi negli ultimi mesi – con scarsi risultati - contro obiettivi terrestri. Alle direttrici citate – confine settentrionale russo-ucraino, Mar Nero e quadrante Donbass/Oblast russi al confine orientale tra Ucraina e Russia – bisogna aggiungere quella nordoccidentale bielorussa, da cui parrebbe siano stati lanciati alcuni degli SHAHED-136 per colpire Leopoli e obiettivi situati nell’area occidentale dell’Ucraina. Secondo una prima analisi, sarebbero stati colpiti almeno 30/35 obiettivi: l’attacco avrebbe comunque nel complesso avuto una certa efficacia, dato un “cocktail” di sistemi che avrebbe un po' sovraccaricato la contraerea ucraina. Detto questo, oltre al chiaro intento di rispondere all’”affronto”di Kerch, dal punto di vista tattico/operativo l’attacco russo evidenzia e conferma un paio di elementi. In primis, dimostra ancora una volta come la Russia, non controllando lo spazio aereo ucraino, debba necessariamente affidarsi a strike effettuati con missili stand-off che consentano di colpire obiettivi da distanza di sicurezza o con munizioni circuitanti, o droni “kamikaze” che dir si voglia. Peraltro, per quanto concerne i missili, se confermata la nostra valutazione, il lancio di una trentina di cruise in un giorno non deve essere preso come reale indicatore di una buona disponibilità di scorte degli stessi. La cifra – abbastanza elevata per gli standard russi degli ultimi 2 mesi – deve essere rapportata al ridotto impiego di tali missili nelle 2/3 settimane precedenti. Inoltre, una buona parte di essi è costituita da Kh-22 antinave risalenti agli anni 80, il cui impiego da parte dei Tu-22 contro bersagli terrestri è stato ampiamente sdoganato dallo scorso aprile, ancorché con risultati non particolarmente incoraggianti in termini di precisione. Al contrario, e qui veniamo al secondo elemento, l’utilizzo degli UAV spendibili si conferma, ancora una volta, dopo gli attacchi Houthi contro Arabia Saudita ed EAU, e il conflitto nel Nagorno Karabakh, estremamente efficace dal punto di vista tattico - soprattutto nell’eliminazione/danneggiamento di infrastrutture non rinforzate, quali quelle industriali/stradali/energetiche o edifici civili – a fronte di costi finanziari e operativi (preservazione di piloti ed aerei) ridotti rispetto all’impiego dei più costosi – e pochi - cruise. Proprio tenendo in considerazione la loro citata efficacia e la relativa difficoltà nel loro contrasto per difese aeree sprovviste di sistemi ottimizzati, sarebbe lecito aspettarsi per l’Ucraina una fornitura di sistemi C-RAM nella prossima tornata di aiuti militari occidentali (un primo pacchetto peraltro già approvato). Nello specifico, è verosimile ritenere favorita la variante terrestre del CIWS navale PHALANX che è attualmente posto a protezione di strutture diplomatiche e militari americane in Iraq dove ha già dimostrato la sua efficacia proprio nel contrasto a UAV spendibili iraniani. Quello che è da capire è la quantità di droni ancora disponibili per i russi. Fonti USA a giugno parlavano di almeno 100 velivoli. Tuttavia, tenuto conto del rateo d’impiego delle ultime 4 settimane – una decina ogni 2 giorni – o le scorte sono in via esaurimento, oppure la cifra è almeno da raddoppiare. Anche in questo caso, però, esistono perplessità derivanti dal fatto che, ad oggi, dati attendibili sulle capacità produttive delle industrie iraniane parlavano di una capacità di assemblaggio di 30/40 SHAHED-136 all’anno (valore doppio/triplo rispetto a quello relativo ai più complessi UAV armati, come i MOHAJER-6, anch’essi consegnati ai russi). Un’ipotesi concreta che aiuterebbe a far luce su tale elemento potrebbe essere quella che affianca la vendita degli SHAHED-136 già prodotti dall’industria iraniana ad un contemporaneo trasferimento di know how per la loro diretta produzione in Russia, magari con l’invio di consiglieri e tecnici come supporto.
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