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L’ultimo caso eclatante è accaduto due estati fa. In occasione della festa del Santo Patrono organizzata alla Mole Antonelliana di Torino, la dj Ema Stokholma è, infatti, stata vittima di una molestia sessuale nel corso del sound check precedente all’evento di cui sarebbe stata protagonista.

Molestia largamente riconosciuta da tutte le donne che ne sono vittime, ma non (ancora) dalla legge: si tratta dell’upskirting, ossia la ripresa non consensuale delle parti intime femminili. In questo caso, il cellulare era stato appoggiato su una cassa vicino alla consolle ed era diretto sotto la sua gonna. Faceva caldo, avevo un vestito estivo – ha raccontato sul suo profilo Instagram la conduttrice, dj e modella francese – ed ero con il mio manager, che è anche il mio migliore amico, e un’altra decina di persone. Quando ho raccolto quel cellulare, accanto alla cassa, mi sono accorta che c’era un video delle mie parti intime di dieci minuti. E c’erano anche altri video così, di altre ragazze, tutti lunghissimi. Stokholma ha subito denunciato l’accaduto e ne ha ampiamente discusso sui propri canali social. Non tutte le donne, però, hanno la possibilità di essere ascoltate. Per tale motivo, risulta altamente necessario ricorrere a provvedimenti concreti, in modo tale da individuare i casi di upskirting e porre la luce sulla loro incommensurabile gravità. Vediamone i dettagli. La parola “upskirting” è un neologismo nato nello slang inglese e composto dalle parole “up”, “su, insù”, e “skirt”, “gonna”. Essa si riferisce, dunque, a tutte quelle riprese, effettuate con una fotocamera o una telecamera, rivolte dal basso verso l’alto e indirizzate verso le parti intime di una donna che indossa, appunto, una gonna o un vestito, in modo tale da inquadrarne la biancheria e/o le nudità. Il fenomeno ha visto una notevole diffusione nell’era di internet, circolando mediante filmati su YouTube o in siti appositi, anche di natura pornografica. A favorirne la propagazione, però, sono stati sicuramente i dispositivi mobili, come cellulari, smartphone e affini, capaci di catturare video e immagini in modo molto più agevole e “nascosto” rispetto al passato.

Sebbene a numerose persone non sembri tale, l’upskirting è, quindi, a tutti gli effetti, una forma di molestia sessuale. La sua dinamica si basa, infatti, su un sopruso: lo scatto o la ripresa di parti che vogliono e devono restare intime (nonostante ciò che si indossa!) violano la privacy della donna che ne è vittima, dal momento che gli episodi avvengono in modo non consensuale e violento.

In questo senso, la pratica dell’upskirting si può considerare come un’evoluzione 2.0 del voyeurismo o del feticismo, proprio per il suo carattere di azione inappropriata, irrispettosa e lesiva dell’intimità (fisica e psicologica) del soggetto che la subisce inconsapevolmente e inerme. Soprattutto se si considera la varietà di forme in cui può verificarsi, come si legge su Mashable Italia:

C’è chi installa una microcamera nelle scarpe e dà poi la caccia alle sue prede sulle scale mobili dei centri commerciali, chi posiziona microcamere sotto le scrivanie delle colleghe, chi ne installa sotto le griglie dei tombini stradali, chi lascia cadere marsupi in terra proprio mentre passa la malcapitata di turno.

Insomma, non ci sono limiti alla fantasia: purtroppo, in questo caso. Oltre al caso italiano di Ema Stokholma, c’è stato un altro episodio che ha sollevato l’attenzione e la riprovazione del popolo inglese, e non solo. Nel 2017, infatti, Gina Martin, a un concerto insieme alla sorella, si è accorta che un uomo aveva posizionato il proprio cellulare tra le sue gambe, sotto la gonna della ragazza. Martin, accortasi dell’accaduto, ha avuto la prontezza di sfilare il dispositivo dalle mani dell’aggressore e di sporgere denuncia ai poliziotti ivi presenti. Unico problema: gli officiali non hanno saputo come aiutarla, perché, all’epoca, non era ancora in vigore una legge in grado di tutelare le donne da questo tipo di molestie. E, a quanto pare, le foto non erano abbastanza “oscene” da incastrare il colpevole.

Come ha raccontato lei stessa alla BBC: Era l’8 luglio ed ero in mezzo alla folla in fila ad Hyde Park per il British Summer Time Music Festival. Ridevo con mia sorella. Due uomini erano vicino a noi e, dopo averci offerto delle patatine, diventarono molto sfrontati. Uno di loro si è avvicinato a me e deve essere successo allora che ha messo il telefono tra le mie gambe e ha scattato delle foto. Io non mi sono accorta di nulla finché con la coda dell’occhio non ho visto l’uomo che guardava delle foto sul telefonino e rideva. Ho riconosciuto le mie mutande! […] Se avessi scelto di non portare la biancheria intima, l’uomo sarebbe stato perseguito, per quanto assurdo possa apparire.

In seguito a questa brutta vicissitudine, Gina Martin ha deciso di lanciare una petizione con l’hashtag #StopSkirtingTheIssue, raccogliendo 100.000 firme e riuscendo a portare l’attenzione su una pratica che, dal 2015 al 2017, aveva lasciato senza giustizia almeno 78 donne. È soprattutto grazie a Martin, dunque, se nel 2019 il Regno Unito ha approvato la proposta di legge che prevede fino a due anni di carcere per chi compie riprese o scatta fotografie non consensuali alle proprie “prede”.

Esempio che, in quegli anni, è stato seguito anche dalla Francia, dove il reato di upskirting è stato inserito nella legge del 2018 contro le violenze sessuali e il sessismo, e dalla Germania, che ha iniziato a punire questo tipo di infrazione con reclusione e sanzioni a partire dal 3 luglio 2020. A prevedere conseguenze penali vi sono, poi, anche la Scozia (con norme introdotte già nel 2010), l’Australia, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti (a livello locale, statale e federale). All’appello manca – come spesso accade, purtroppo – l’Italia, in cui non è ancora presente una disposizione specifica circa tale genere di reato.

L’unico appiglio è l’articolo 612 ter del Codice penale, il quale punisce la “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, senza, però, prendere in considerazione foto e video effettuati senza il consenso, come nel caso dell’upskirting.

Che non sia forse il momento di rimediare?