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Ringhiere piene di fiori fatti in classe, bandiere gialle e blu che sventolano sui davanzali, cartelloni con la scritta «prit» (ciao): le scuole bresciane in queste settimane si sono colorate di pace e accoglienza per dare il benvenuto ai nuovi studenti ucraini.

Presidi, insegnanti, compagni e genitori: che si tratti di uno striscione appeso in cortile, di un quaderno donato o di un invito a fare merenda insieme, in tantissimi dalla città alle valli, dalla pianura ai laghi si stanno dando da fare per rendere, per quanto possibile, serena la permanenza da noi di bambini, adolescenti e giovani fuggiti dalla guerra.

Ad oggi le scuole bresciane hanno accolto 481 nuovi alunni (dei quali 48 frequentano le paritarie): la nostra provincia è seconda in Lombardia per numero di scolari inseriti negli istituti di ogni ordine e grado. La prima è Milano con 508 presenze; la terza è Varese (307) seguita da Bergamo (228). Giuseppe Bonetti, dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Brescia, fa sapere che «le nostre scuole stanno gestendo bene la situazione: non abbiamo ricevuto richieste di aiuto o segnalazioni di criticità. Dal Ministero, poi, stanno arrivando i fondi promessi: per la gestione del supporto psicologico si tratta di 1.300 euro per ogni scuola impegnata nell’accoglienza e per l’alfabetizzazione sono 200 euro ad alunno». Lo stesso Ministero ha anche diffuso una nota con alcuni suggerimenti. Nota in cui si parla di un «tempo lento per l’accoglienza»: fino alla conclusione di questo anno scolastico l’invito è a puntare sulla socializzazione, sull’acquisizione di prime competenze comunicative in italiano, sull’affronto dei traumi e, per quanto possibile, sulla continuità dei percorsi di istruzione. A questa fase ne seguirà un’altra, in estate, di «consolidamento e rafforzamento» da svolgersi con la collaborazione delle comunità territoriali. Da settembre poi potrebbe farsi largo una terza fase di «integrazione scolastica» ancora tutta da costruire visto che non si può sapere quanto tempo si fermeranno.
Al momento, nel Bresciano, non tutti i bambini ucraini stanno frequentando le scuole: quelli che arrivano dalle città meno colpite dal conflitto stanno infatti seguendo le lezioni in dad con la classe d’origine ora sparsa in mezza Europa, ma comunque unita dalla rete. Curioso è poi il caso di Pisogne: l’Istituto comprensivo ha accolto ben 22 bambini dall’asilo alle medie. «Sei - spiega la mediatrice culturale Iryna Gaborak - sono stati inseriti alla materna: tre nei piccoli e tre nei grandi. Frequentano dalle 9 alle 12. Io aiuto le educatrici a comunicare con loro. E, per facilitare le cose, ho creato un mini-vocabolario con la traduzione di alcuni concetti base: parole inerenti la cucina, le attività quotidiane e domande come "qual è il tuo nome?", "hai mal di pancia?". Tutto prosegue bene, rispetto ai primi giorni ora i bambini sono più sereni».

Gli altri alunni uncraini, che hanno l’età per frequentare elementari e medie, sono riuniti in un’unica classe seguita da un’altra mediatrice, di nome Iryna Demian: «Stanno imparando numeri, colori, alfabeto, nomi dei giorni e dei mesi in italiano - dice -. Abbiamo fatto addizioni, sottrazioni e moltiplicazioni e ora parliamo di cibo. I bambini arrivati dalle città più compromesse inizialmente erano molto chiusi. Ora va un po’ meglio, si è creato un bel gruppetto e si vedono anche dopo la scuola». Tra i nuovi alunni c’è anche suo nipote, 6 anni, arrivato con la mamma. Alcuni frequentano solo una parte delle lezioni, perché fanno anche la dad con la classe d’origine. «Qui cerchiamo di fare cose divertenti e di non parlare della guerra - spiega -: sarebbe troppo doloroso. I papà sono in patria e i bambini sono molto preoccupati. Tutti non vedono l’ora di tornare a casa».