Finalmente è arrivato il momento di rivedere le migliaia di bandiere rosse sventolare in molte piazze d'Italia. Oggi i cuori comunistoidi si gonfieranno a dismisura . Fiom-Cgil e francazzisti centrosocializzati oggi mostreranno il loro volto "rivoluzionario" quello che tanto piace ai sinistrati .... vedremo certamente anche gigantografie di foto del "Che"
Il Pd alla prova del Fiom Day
D’Alema: «Tornare ai conflitti»
di Stefano Cappellini
La nuova opposizione. Dietro le tute blu Cgil un vasto schieramento politico alternativo al Pd. Il quale, come al solito, per metà va e per metà no. Alta tensione per il rischio centri sociali.
Oggi sfila a Roma la Fiom. Sarà un corteo imponente, di una organizzazione seria e strutturata, con parole d’ordine radicali e molti nemici da additare: il governo e Confindustria, naturalmente, Cisl e Uil accusati di collaborazionismo, ma soprattutto la Fiat. Il caso Pomigliano resta la scintilla ideologica della mobilitazione. Non mancheranno attacchi al Pd, perché la manifestazione si è trasformata in qualcosa di molto più rilevante di un corteo sindacale, come testimonia il fatto che molte associazioni hanno preferito disertare il no B-day del 2 ottobre per dirottare le energie su oggi.
E ancora una volta il Pd si trova in mezzo al guado. Ma stavolta non è la solita conta della vigilia - il «vado», «non vado», «decido all’ultimo» di dirigenti e parlamentari - il cuore della faccenda. Il problema è più serio, perché il Fiom Day, cui parteciperà un numero cospicuo di esponenti democrat, è la rappresentazione plastica del bivio davanti al quale si trova il Pd, l’innesco definitivo del dilemma strategico già esploso con la sigla del patto Bersani-Vendola. A quale longitudine vanno piazzati i paletti a sinistra? Dove vanno poste le colonne d’Ercole del dialogo con le forze più radicali? Nel futuro prossimo, anche elettorale, il Pd si prepara a giocare la parte della forza moderata che recupera qualche pezzetto di sinistra o del partito di sinistra che recupera qualche pezzetto di centro?
Il Pd non ha aderito ufficialmente al corteo. «Ci saranno nostri rappresentanti», ha tagliato corto Pier Luigi Bersani, seguendo la formula usata altre volte nei confronti di iniziative che hanno creato un qualche imbarazzo in casa democrat. La situazione però è ben diversa. Il protagonismo della Fiom non è la sfida di un Grillo o di un Di Pietro - che ha trasformato l’Idv in una novella (e poco credibile) Harri Batasuna dei metalmeccanici Cgil - tribuni capaci di usare la piazza per inoculare divisioni e tensioni anche dentro il Pd ma che restano comunque strutturalmente altri rispetto alla sua storia, programma e profilo. Qui c’è di mezzo il principale sindacato operaio del principale sindacato di sinistra, che si prende la scena in un momento delicatissimo, di profonda crisi sociale ed economica, di imminenti elezioni e di massima divisione nel campo delle sigle confederali. E Bersani non deve solo rimettere in agenda l’annoso problema del rapporto col sindacato - riemerso peraltro in tutta Europa, come dimostra il contributo fondamentale delle unions nella svolta che ha portato Ed Miliband alla guida del Labour. Ha, per così dire, un problema più urgente e “personale”: che distanza può permettersi di tenere dalla Fiom e dal mondo che essa rappresenta un segretario che ha scelto il neo-laburismo come cifra del proprio mandato? La risposta, a differenza dei quesiti precedenti, è scontata.
Un altro gruppo dirigente, in un’altra fase storica (il che nel caso del Pd equivale a dire: gli stessi di oggi ma dieci anni fa) avrebbero forse liquidato blairianamente l’esuberanza Fiom con un «it’s not my business». Oggi no. Che sia per convinzione o per tatticismo, il recupero di un’interlocuzione con la sigla che organizza e rappresenta le tute blu, pure molte di quelle che poi nell’urna votano Lega, è il core business del nuovo corso.
«Il ventennio che abbiamo alle spalle è stato segnato da una egemonia neoliberista che ha portato con sé l’impoverimento del lavoro e una progressiva spoliazione del lavoro dai diritti. Il lavoro è stato nuovamente ridotto a merce». Così scrive Massimo D’Alema nell’introduzione al numero appena uscito del bimestrale della fondazione Italianieuropei, dedicato appunto al lavoro. Sostiene D’Alema che tornare a «mettere radici nei conflitti sociali» è la priorità «per una sinistra che non voglia arretrare a ruolo di minoranza etica, espressione del ceto medio riflessivo». Nei Novanta il predominio tra i «ceti medi riflessivi» era considerato il fiore all’occhiello dell’Ulivo. Adesso è visto come una gabbia nemmeno troppo dorata. Sulla stessa rivista, poche pagine più avanti, Alfredo Reichlin aggiunge: «Bisogna riscoprire questa parola dimenticata: lotta».
Si capisce bene come su questo terreno si aprono le vere crepe interne al Pd. Altro che le «lettere al paese» di Veltroni o i mal di pancia di Beppe Fioroni. Perché monta l’insofferenza del “partito” Cisl, perché il vicesegretario Enrico Letta considera un cedimento strutturale l’alleanza con Vendola, figurarsi la sponda alla Fiom (a proposito, a prescindere da chi abbia ragione, è normale che il vicesegretario caldeggi un disegno strategico completamente alternativo a quello del segretario?), perché il fronte moderato chiede a Bersani di scegliere tra l’asse a sinistra e l’esperimento al centro, e non di provare a tenere insieme la Fiom e Casini, Landini e Buttiglione. La linea del leader è però proprio questa: spostare più a sinistra il baricento interno del Pd, nella convinzione che il partito sopravvive solo se torna a fare il pieno nel proprio campo, e però inseguire a tutti i costi un allargamento al centro della coalizione rispetto ala vecchia Unione. Una via molto stretta. L’esito della manifestazione Fiom - politico, numerico, di ordine pubblico - aiuterà a capire se almeno un pertugio c’è.
venerdì, 15 ottobre 2010
Il Riformista