di Norberto Bobbio – «Mondoperaio», aprile 1985, pp. 90-97.
Della scienza politica in Italia si può stabilire con una certa esattezza la data sia di nascita, alla fine del secolo, sia della rinascita, dopo la seconda guerra mondiale. Tanto la nascita quanto la rinascita sono connesse allo sviluppo dello stato liberale e democratico, dello stato liberal-democratico.
Sulla data di nascita non vi sono dubbi. Questa coincide con la pubblicazione degli Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca nel 1896 presso l’editore Bocca di Torino. Nel 1896 Mosca aveva vinto il concorso a professore straordinario di diritto costituzionale (si badi, di diritto costituzionale e non di scienza politica) presso l’Università di Torino e viene chiamato alla facoltà di giurisprudenza della medesima Università a insegnare il diritto costituzionale ma gli viene affidato anche l’incarico di storia della scienza politica che terrà sino al 1909. Come docente di diritto costituzionale resterà a Torino sino al 1924, sino a quando sarà chiamato a Roma a insegnare la storia delle dottrine politiche. Insieme con l’Utet che aveva pubblicato le principali opere di Darwin in italiano, la casa editrice torinese della famiglia Bocca, che risaliva alla fine del Settecento, si distingueva nel panorama degli editori italiani come fautrice e propagatrice della cultura positivistica in Italia, cui la città di Torino era stata particolarmente sensibile, tanto che mi è venuto fatto di chiamarla la città più positivistica d’Italia. Che gli Elementi di Mosca siano stati un’espressione significativa del clima di cultura creato dalla diffusione del positivismo a cominciare dal 1870 sino alla fine del secolo, è fuori di dubbio.
Prima della pubblicazione dell’opera di Mosca, la scienza politica non aveva avuto in Italia (e forse neppure in Europa) né un nome ben definito, né uno statuto riconosciuto, né un contenuto dai contorni precisi.
Comincio dal nome, sul quale faccio alcune osservazioni sparse senza pretesa di completezza. Per quanto l’espressione «scienza politica» risalga all’antichità, politiké epistéme è il termine greco, nella tradizione degli studi politici dell’età moderna sino alla fine dell’Ottocento e sino a oggi il nome più diffuso per designare la trattazione della materia che oggi chiamiamo abitualmente «scienza politica» è stato, a imitazione della grande opera di Aristotele, «politica», puramente e semplicemente. Le lezioni berlinesi di Treitschke, che furono pubblicate postume su per giù negli stessi anni degli Elementi, furono intitolate Vorlesungen über die Politik. La traduzione italiana cinquecentina della Politica di Aristotele ebbe dal suo traduttore, Bernardo Segni, il bel titolo di Trattato dei governi.
Quando apparve l’opera di Mosca, l’espressione «scienza politica» era contrastata dall’espressione, molto più diffusa, «scienze politiche»: con questa espressione più generale e comprensiva si voleva fare intendere che la materia della politica era così ampia da richiedere una trattazione che la considerasse da diversi punti di vista, storico, sociologico, giuridico, psicologico ecc. Quando Brunialti (su cui vedi più avanti) diede avvio alla sua benemerita impresa che avrebbe raccolto in un corpus di più volumi le principali opere di politica pubblicate in Europa nell’Ottocento, la chiamò Biblioteca di scienze politiche. Le facoltà che sorsero a poco a poco dal grembo delle antiche facoltà di giurisprudenza destinate allo studio della materia politica furono chiamate facoltà di scienze politiche. Dopo la guerra, quando gli studi politici ebbero una rapida ripresa, sorse un’associazione di scienze politiche molto tempo prima dell’associazione di scienza politica.
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