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Discussione: La guerra egemonica

  1. #21
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...e-in-divenire/

    Mentre quasi tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina e su Taiwan, in Medio Oriente si assiste ad importanti sviluppi: la regione, infatti, salderà il fronte russo a quello cinese, specie dopo il probabile ritorno al potere di Donald Trump che metterà Cina ed Iran in cima all’agenda. La contrapposizione tra un Medio Oriente “centrale” a guida turco-iraniana ed uno “periferico” a guida israeliano-saudita è sempre più evidente e rispecchia il dualismo di fondo Germania-Francia.

    Molta carne sul fuoco nell’estate del 2022. In Ucraina, la guerra per procura tra Russia e anglosassoni procede senza sosta e l’attenzione è rivolta sopratutto alla centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto controllo russo: ci si domanda se il regime di Kiev, armato e sobillato dai britannici, voglia innalzare ad un livello superiore lo scontro, orchestrando un attacco alla centrale che ripeta “l’incidente” di Chernobyl del 1986. Sul versante opposto dell’Eurasia, il viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan ha portato la tensione tra Cina e USA a livelli senza precedenti: le esercitazioni militari cinesi dimostrano quanto Pechino sia determinata a difendere la propria sovranità sull’isola. Tra il Mar Nero e Mare cinese, si colloca un’altra porzione cruciale di quel Rimland in cui verrà combattuta la prossima guerra egemonica: il Medio Oriente. Come abbiamo scritto nel precedente articolo, la regione inevitabilmente finirà al centro dello scontro tra anglosassoni e continentali quando, dopo il quasi certo ritorno di Donald Trump al potere ed il consolidamento della “democratura repubblicana”, Iran e Cina finiranno in cima all’agenda militare degli Stati Uniti.

    Sull’assetto in fieri del Medio Oriente abbiamo già scritto diversi articoli e l’attuale analisi vuole soltanto confermare quanto già detto, metabolizzando gli avvenimenti di queste ultime settimane. In linea generale, si può affermare che il Medio Oriente, più ci si avvicina alla guerra egemonica, più si suddivide lungo la faglia terra-mare già evidenziata da Mackinder nei suoi lavori del 1904 e del 1919: ad nucleo, cioè, di potenze mussulmane “centrali” allineate con Russia e Cina, si contrappone una cintura di potenze “periferiche” alleate con gli anglosassoni. In sostanza, al duo Turchia e Iran, si contrappone sempre di più la coalizione incentrata su Israele ed allargata ad Arabia Saudita, Giordania, Cipro, Grecia e Francia. Uno scenario, per molti versi, simile a quello della Grande Guerra del 1914-1918.

    Concentriamoci solo sugli ultimi avvenimenti di queste settimane. Per prima cosa, bisogna soffermarsi sul viaggio del presidente democratico Joe Biden in Arabia Saudita, finalizzato alla creazione di una “NATO araba” (una resurrezione della sfortunata CENTO della Guerra Fredda). Archiviando le presunte “divergenze” col principe saudita Bin Salman e sorvolando sulla ruggine creatasi dopo l’omicidio del dissidente Khashoggi, Biden ha rinsaldato i legami con l’Arabia Saudita, al fine di creare un “fronte occidentale”, imperniato su Israele ed esteso dal Mediterraneo al Golfo Persico: così facendo, Biden ha dimostrato che le amministrazioni si alterano alla Casa Bianca, ma la strategia e la geopolitica rimangono invariate. Al vertice per la creazione della NATO araba erano presenti nove Paesi: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar, Bahrain, Oman, Egitto, Giordania e Iraq. Di questa lista, al netto delle divisioni etnico-politiche e delle debolezze interne, solo due possono avere una qualche funzione militare nei disegni anglosassoni: Arabia Saudita e Giordania, entrambe strettamente connesse ad Israle.

    Forte della “riabilitazione” ricevuta da Biden, il principe saudita Bin Salman ha quindi compiuto a sua volta un viaggio all’estero dall’alto contenuto geopolitico: prima si è recato nella Grecia del premier conservatore Kyriakos Mitsotakis e poi nella Francia di Emmanuel Macron, siglando in entrambi i Paesi importanti contratti. La rete geopolitica mediorientale, così, si allarga ed infittisce. La Grecia, senza che l’alternanza di governi progressisti e conservatori modifichi minimamente la traiettoria, sta emergendo sempre più come il “bastione” occidentale nel Mediterraneo nord-orientale. Francia, Israele ed Arabia Saudita stanno moltiplicando gli investimenti economici ed industriali nel Paese, con la benedizione degli anglosassoni che stanno elevando l’isola di Creta e la base navale di Suda ad un ruolo sempre più importante. I francesi, che hanno siglato nel 2021 un trattato bilaterale di mutua assistenza con Atene, vendono i Rafale e le moderne fregate Belharra, gli israeliani rilevano le industrie belliche elleniche (il produttore ELVO) per modernizzarle, i sauditi iniettano denaro fresco. Il ruolo della Francia, seconda tappa del recente viaggio di Bin Salman, è evidente ed è già stato sottolineato nelle nostre analisi: man mano che il focus degli anglosassoni si sposta sul Pacifico e sull’Oceano indiano in vista della guerra contro Cina e Russia, Parigi riceve in “subappalto” il settore mediterraneo, con la specifica missione di ingaggiare/contenere i rivali degli anglosassoni nella regione: Iran, Russia e… Turchia (i rapporti franco-turchi, si noti, non si sono mai più ripresi dalla crisi diplomatica del 2020).

    L’intera strategia anglosassone nella regione è, infatti, mirata sempre più espressamente non solo contro “tradizionali” nemici dell’Occidente come Russia ed Iran, ma anche contro una potenza, la Turchia, che è ancora formalmente un membro NATO (sebbene le voci negli Stati Uniti per espellerla stiano crescendo mese dopo dopo mese). Come si diceva all’inizio, quindi, è sempre più evidente il classico schema geopolitico mackinderiano per cui alle potenze mediorientali centrali (Turchia ed Iran), gli anglosassoni contrappongono una fascia di potenze israelo-greco-franco-arabe periferiche. Se, infatti, la Grecia riceve investimenti occidentali sempre più massicci, la Turchia procede col contestatissimo acquisto dei sistemi di difesa russi S-400 e minaccia tuttora di boicottare l’accesso di Finlandia e Svezia alla NATO. Il progressivo scivolamento della Turchia verso il blocco continentale-revisionista è stato confermato dalla cronaca di queste settimane: mentre infatti l’Arabia Saudita (ai ferri corti con Ankara su diverse questioni) rinsaldava i legami con Grecia e Francia, il presidente turco Recep Erdogan volava a Teheran per un incontro trilaterale Turchia-Russia-Iran. Quando al summit trilaterale in Iran è seguito un ulteriore incontro tra Putin ed Erdogan a Sochi, il Financial Times ha intitolato sibillino: “Alarm mounts in western capitals over Turkey’s deepening ties with Russia” (7 agosto 2022).

    Si potrebbe obiettare che tra Turchia, Iran e Russia non mancano i punti di frizione (Siria, Armenia, Azerbaijan, turcofoni dell’Asia centrale, etc.). Tuttavia, l’impostazione geopolitica di Ankara diretta verso il Mar Nero e l’Asia centrale è sempre stata quella funzionale agli interessi anglosassoni. Un’altra impostazione geopolitica è possibile ed è certamente più lucrosa: è lo sguardo diretto non verso l’Asia continentale ma verso i mari circostanti, in primis proprio il Mediterraneo orientale, con la sua naturale continuazione nel Mar Rosso, sino a raggiungere la grande base turca in Somalia. La strategia della “Patria Blu” (Mavi Vatan) che ispira l’espansionismo turco in direzione dei mari si ispira proprio a questo principio ed è perfettamente compatibile con l’alleanza con Russia ed Iran. Anzi, di più: il Mavi Vatan turco integra alla perfezione l’alleanza russo-iraniana-cinese, creando davvero un trapezio che preme in direzione degli Oceani con perfetta continuità, dal Mar Baltico a quello cinese, con la concreta capacità di espellere gli anglosassoni dal Rimland.

    In questo quadro mediorientale sempre più delineato e preciso, resta solo più alcune domande: cosa farà la Germania che, in Turchia come in Algeria, si trova sulla barricata opposta della Francia? E, in subordine, cosa farà l’Italia? Fino a quando i governi-marionetta installati in Germania e Italia dagli anglosassoni avranno la meglio sulla geopolitica?


    concorso cimad 2022

  2. #22
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...e-in-divenire/

    Alle porte dell’autunno, la strategia anglosassone per affossare l’Europa, già ben delineata all’inizio dell’anno, si sta concretizzando: i flussi energetici dalla Russia si sono quasi fermati, creando un mix tossico di recessione ed inflazione. Per raffreddare i prezzi, la BCE sarà quindi indotta a rialzare i tassi, dopo anni di economia monetaria accomodante ed aumento esponenziale dei debiti pubblici: il prossimo governo “sovranista” italiano completerà il quadro, portando al massimo la tensione dentro la UE.


    Settembre è arrivato, l’autunno incombe e, come ampiamente previsto nelle nostre analisi, la trappola anglosassone ai danni dell’Europa e dell’Italia in particolare (anello debole dell’eurozona e perciò martoriata senza sosta) sta per scattare. Il Vecchio Continente, totalmente in balia degli strateghi angloamericani, sta per affrontare il mix tossico di recessione ed inflazione che, attraverso l’aumento dei tassi delle banche centrali, si trasformerà ben presto in una nuova crisi del debito. Per acuire al massimo le tensioni dentro la UE, gli anglosassoni si apprestano inoltre ad installare a Roma un governo “sovranista” di provata fede atlantica, che indirizzerà i propri attacchi contro la BCE e la sua politica monetaria, portando al massimo le tensioni politico-finanziarie dentro la UE.

    Ma procediamo con ordine e partiamo, quindi, dal tema cruciale dell’inflazione. Nel “lontano” giugno del 2021, prima quindi della guerra in Ucraina, fummo tra i primi ad evidenziare la strategia sottostante all’aumento dei prezzi che caratterizzava il mondo post-covid. Distruggendo le consolidate catene logistiche, smantellando la trentennale suddivisione internazionale del lavoro ed agendo su determinate aziende che controllano le materie prime (ecco perché i ceo delle multinazionali sono invitati ai forum della Chatham House ed affini), gli anglosassoni miravano a creare un clima inflazionistico che ponesse fine all’era della politica monetaria accomodante iniziata nel 2008: un’era in cui, per fronteggiare gli choc multipli (dalla crisi dei mutui subprime ai danni della pandemia), i debiti pubblici mondiali erano esplosi, potendo contare sul denaro a costo zero. L’inflazione mirava (e mira) proprio a far esplodere la mole di debito pubblico accumulata negli ultimi dieci anni, obbligando le banche centrali ad aumentare i tassi (rendendo il denaro più caro, si “raffreddano” i prezzi).

    Sul tema dell’inflazione, si innesta alla perfezione la guerra in Ucraina, scatenata dagli anglosassoni installando a Kiev il fantoccio Zelensky e minacciando le posizioni russe nel sud-est del Paese. Il conflitto in Ucraina è un moltiplicatore efficientissimo, si può dire quasi diabolico, della manovra anglosassone. Interrompendo i tradizionali flussi energetici tra Russia ed Occidente, si spingono alle stelle i prezzi del gas e del petrolio, generando così ulteriore inflazione, e, allo stesso tempo, si spingono le economie europee più legate alla Russia verso la recessione, attraverso la penuria di energia. Il risultato finale è il sullodato mix tossico di “receflazione”: l’economia reale arranca o addirittura si contrae, mentre i prezzi continuano a salire, spingendo così decine di milioni di persone verso la povertà.

    Nel corso dell’estate del 2022, gli anglosassoni hanno fatto di tutto per portare esacerbare la guerra per procura in Ucraina contro i russi, tanto che Mosca ha detto gli scorsi giorni che gli USA sono quasi parte attiva del conflitto. Fornendo armi di gittata sempre maggiore (i missili Himars con raggio di circa 80 chilometri) agli ucraini, Londra e Washington hanno inasprito il conflitto a tal punto da indurre Mosca a interrompere, o perlomeno a ridurre al minimo, i flussi energetici verso l’Europa, così da cercare di frantumare il fronte “occidentale”. Il risultato finale, ad ogni modo, è quello ampiamente previsto dalle nostre analisi. Alle porte dell’inverno, specialmente dopo l’interruzione del Nord Stream 1 annunciata il 2 settembre), Germania e Italia, i due Paesi più dipendenti dalla forniture russe, devono fronteggiare una drammatica penuria di gas e, in ogni caso, pagarlo quasi 30 volte di più (trenta volte!) rispetto al 2019. L’economia reale (impianti siderurgici, chimica, farmaceutica, meccanica e persino alimentare) si contrae mentre i prezzi, trainati dal costo dell’energia, continuano a salire.

    In questo quadro, aumenta quindi la pressione sulle banche centrali per raffreddare i prezzi, rendendo il denaro più caro. La lotta all’inflazione diventa la nuova priorità. Le danze, come sempre, sono state aperte dalla Federal Reserve e dalla Bank of England: la prima ha già portato i tassi al 2,5% e si ripromette di portarli al 3% nel corso di settembre, mentre la seconda li ha alzati all’1,75% e molti credono che saliranno fino al 4% nel corso del 2023, per stroncare un’inflazione a due cifre. Le mosse della banche centrali anglosassoni, ovviamente, drenano capitali dall’Europa, già alla prese con guerra e crisi energetica: il risultato finale è, come scontato, l’incessante indebolimento dell’euro che, mese dopo mese, scivola verso minimi sempre nuovi (al momento, è al minimo storico degli ultimi 20 anni). L’indebolimento dell’euro, si noti, rende più caro per gli europei acquistare gas e petrolio dagli USA o dai loro satelliti arabi, generando quindi ulteriore inflazione!

    In questa “corsa al rialzo denaro”, la BCE è drammaticamente indietro: a luglio, il costo del denaro è stato portato da zero allo 0,5%, ma le pressioni aumentano per un più rapido aumento dei tassi già nel mese di settembre. La riluttanza della BCE ad intervenire in maniera più decisa (nonostante anche la Germania vada verso un’inflazione al 10%) è semplice: un aumento del costo denaro, quasi certamente, innescherebbe una nuova crisi del debito europeo, quella crisi che gli speculatori di Wall Street e della City aspettano con ansia (si vedano le maxi scommesse degli hedge fund britannici contro l’Italia, recentemente messe in luce dal Financial Times).

    Entra a questo punto in campo l’Italia che, come si è detto, rappresenta l’anello debole dell’eurozona e, se portata al default, può affossare l’intera unione monetaria. Sull’Italia si sta abbattendo la tempesta perfetta: il motore economico del Paese, le industrie del Nord, stanno per fermarsi a causa della penuria di gas, mentre la bolletta energetica continua a salire e con lei l’indice dei prezzi. Portando avanti l’oculata strategia di distruzione della finanze pubbliche, il governo Draghi sta “tamponando” l’emergenza con decreti aiuti “miliardari” che contribuiscono all’aumento del debito pubblico in un contesto sempre più ostile. Nessuno agisce per stroncare alla radice il problema, ossia porre fine al conflitto in Ucraina e riportare il prezzo dell’energia ai livelli ante-bellici, ma tutti invocano pannicelli caldi miliardari che, molto presto, risulteranno essere letali per l’Italia.

    Il quadro italiano è completato dalle imminenti elezioni italiane, tese proprio ad acuire al massimo le tensioni finanziarie dentro la UE. Assicurandosi la vittoria della coalizione trainata da Fratelli d’Italia, gli anglosassoni, infatti, mirano proprio a installare a Roma un governo che, anziché agire sulla radice del problema (guerra in Ucraina e conseguente inflazione), professerà sicura fede atlantica, prendendo invece di mira proprio la Banca Centrale Europea, rea di alzare i tassi e rendere perciò sempre più insostenibile il debito pubblico italiano. Già nel mese di luglio, Giorgia Meloni, prodotto dell’Aspen Institute e del Gruppo l’Espresso, aveva attaccato la BCE per l’aumento del costo del denaro a 0,5% e tutto lascia supporre che gli attacchi si moltiplicheranno nelle prossime settimane, aprendo una nuova fase della crisi del debito europea. In termini cartografici, si potrebbe quindi immaginare che, con le elezioni del 25 settembre, gli anglosassoni si apprestano ad incendiare un nuovo fronte dell’Europa: quello meridionale e, in particolare, quello italiano. Come ha lucidamente scritto la Pravda, il prossimo governo di Giorgia Meloni sceglierà la strada del caos e porterà l’Italia verso una crisi ancora più profonda. Si potrebbe aggiungere: per la soddisfazione anglosassone. La guerra avanza.
    concorso cimad 2022

  3. #23
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    c.v.d.

    https://www.huffingtonpost.it/econom...ando-10196374/

    Il ministro del Lavoro ha duramente criticato la recente decisione di alzare i tassi di interesse. Il fondatore di Fdi gli dà manforte: “L’inflazione non dipende da una crescita eccessiva della domanda". E il leghista: "Come i medici medievali col salasso".
    concorso cimad 2022

  4. #24
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...lla-sconfitta/

    Il 10 settembre 2022 il conflitto russo-ucraino ha probabilmente assunto un nuovo, ed inaspettato, corso: operando uno sfondamento nella regione di Charkov, gli ucraini, forti di una schiacciante superiorità numerica (si parla di un rapporto 8:1) hanno travolto le linee russe, cancellando conquiste costate mesi di fatiche e migliaia di vite e portandosi fino alla frontiera della Federazione Russa. Di fronte a questo sconcertante successo ucraino, reso possibile dall’ennesimo “fallimento” (o complicità?), dei servizi d’informazione russi, molti si attendevano un’immediata reazione del Cremlino: dopo averla procrastinata per mesi (avrebbe dovuto essere dichiarata già nel mese di marzo, dopo il fallito tentativo di rovesciare il governo Zelensky), si immaginava che finalmente il Cremlino proclamasse la mobilitazione generale, per costituire quella massa d’urto necessaria a vincere un conflitto che non può più essere considerato “un’operazione speciale”. Nulla, invece, è accaduto. Sono ormai così numerosi, e così macroscopici, gli errori della gestione di Vladimir Putin da consentire di avanzare l’ipotesi anche più azzardata, ossia che l’ex-protégé di Henry Kissinger sia in combutta con le potenze anglosassoni, le uniche finora a trarre evidenti ed indiscussi benefici dalla guerra in Ucraina.

    Ma procediamo con ordine, per dimostrare quanto siano solidi questi sospetti.

    Come scrivemmo in un lucidissimo e chiaroveggente articolo del febbraio 2015, a qualsiasi esperto di strategia e geopolitica era chiaro fin dal principio che le potenze anglosassoni, spingendo la Russia ad invadere l’Ucraina per proteggere le regioni russofone minacciate dal governo nazionalista di Kiev, mirassero a ripetere la “trappola” dell’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979: isolamento internazionale, estenuante guerriglia alimentata dagli anglosassoni, erosione delle forze economiche e militari russe. A differenza dell’invasione sovietica del 1979, il quadro ucraino del 2022 presentava però significative differenze: la Russia, innanzitutto, poteva godere dell’esplicito e generoso supporto della Cina, assurta nel frattempo a prima economia mondiale. A differenza del teatro afghano, l’Ucraina presentava poi una seria di evidenti vantaggi facilmente sfruttabili da Mosca: un terreno famigliare, un’incredibile vicinanza al cuore demografico ed economico della Russia, una popolazione di etnia e lingua russa in attesa di essere “liberata” dal governo nazionalista di Kiev, una serie di obiettivi geopolitici e militari perseguibili senza particolari difficoltà (nelle nostre analisi dello scorso febbraio, si era ipotizzata la riva orientale del Dniepr). L’invasione dell’Ucraina, in sostanza, presentava chiare chances di successo: conseguendo una rapida vittoria militare, la Russia avrebbe potuto ristabilire il controllo sul Mar Nero, riconquistando una dimensione mediterranea, mediorientale e quindi davvero mondiale.

    Nel mese di febbraio-marzo, avvalendosi di una “errata” valutazione dei servizi d’informazione russi, il Cremlino si è lanciato nell’assedio di Kiev, coll’obiettivo di defenestrare Zelensky e installare un nuovo governo filo-russo. L’obiettivo, sebbene improbabile (i servizi occidentali avevano avuto 8 anni di tempo per epurare l’apparato burocratico ucraino), era legittimo: entra la fine di marzo, era comunque fallito. Allora, il Cremlino avrebbe dovuto prontamente imboccare la strada della guerra per conseguire tangibili risultati territoriali e militari: riversando la propria schiacciante superiorità militare e demografica in Ucraina, Mosca avrebbe cioè dovuto annettersi nel volgere di pochi mesi il bacino del Donbass, assicurarsi il ponte terrestre con la Crimea e occupare Odessa, così da riconnettersi con la Transnistria e privare gli ucraini di qualsiasi accesso al mare. Qualora questi obiettivi non fossero stati conseguibili all’interno dell’operazione speciale (circa 150.000-200.000 uomini sul campo), il Cremlino avrebbe dovuto, settimana dopo settimana, mobilitare un numero di uomini sufficienti a chiudere la partita in tempi ragionevoli, anche perché il tempo gioca a favore di Kiev: forte di una mobilitazione generale della popolazione maschile e di forniture di armi sempre più potenti da parte degli anglosassoni, le forze armate ucraine si rafforzano infatti mese dopo mese.

    Attorno al 20 maggio, la città portuale di Mariupol è stata conquistata con notevole ritardo sulla tabella di marcia ipotizzata. Poi l’offensiva russa, mirante sulla carta a “liberare” il Donbass, è entrata progressivamente in una fase di stallo fino al sullodato 10 settembre, quando gli ucraini hanno travolto le linee russe nella regione di Charkov, spostando il piano inclinato della guerra a loro favore. Nella seconda metà di settembre, è ormai evidente che gli ucraini hanno acquistato lo slancio per riportare una vittoria totale sulla Russia, cancellando cioè anche le perdite subite nel 2014, in primis la penisola di Crimea. Mobilitando l’intera popolazione e addestrando grazie agli istruttori occidentali un numero sempre crescente di truppe, Kiev potrà entro il 2023 disporre di una schiacciante (e paradossale!) superiorità di 5:1 su tutto il fronte, travolgendo chilometro dopo chilometro le difese russe. A quel punto, la vittoria delle potenze anglosassoni sarebbe travolgente.

    Enumeriamo, infatti, quali risultati hanno già ottenuto Londra e Washington:

    come ampiamente previsto nelle nostra analisi, l’Europa è piombata in una crisi energetica che colpisce, in particolare, i due Paesi più dipendenti dalle forniture russe: Germania e Italia;
    l’eurozona è precipitata in un mix tossico di inflazione e recessione che rende possibile una nuova crisi del debito;
    la Scandinavia è entrata nella NATO;
    l’Inghilterra ha creato con Paesi Baltici, Polonia e Ucraina un’agguerrita alleanza militare;
    gli USA possono beneficiare dell’esportazione di gas liquefatto a prezzi prima inimmaginabili;
    La Russia è stata isolata dal resto dell’Occidente e, qualora dovesse perdere la guerra ucraina, subirebbe una sconfitta di dimensioni storiche, tale da mettere a repentaglio l’esistenza stessa della Federazione Russa.

    La posta in gioco, in sostanza, è ormai tale che il Cremlino dovrebbe essere pronto a tutto per riportare una vittoria, seppur limitata, in Ucraina. Nulla, invece, sembra evidenziare una volontà di Vladimir Putin di raddrizzare il corso della guerra, imprimendole quella svolta ormai improcrastinabile per riportare il successo. Elenchiamo, di seguito, i maggiori errori macroscopici nella gestione del Cremlino:

    fin dall’inizio del conflitto, Mosca non ha fatto nulla per imporre una “no-fly zone” sull’Ucraina e stabilire quel dominio dell’aria necessario, sebbene non sufficiente, a vincere una guerra moderna:
    tranne qualche sporadico impiego sull’acciaieria di Mariupol, Mosca non ha fatto uso dei bombardieri strategici;
    le infrastrutture logistiche ucraine non sono state bersagliate con quella costanza e sistematicità tale da sortire concreti risultati. Lampante l’esempio dei ponti sul fiume Dniepr (quante analogie con i ponti sul Reno del 1944!): mentre gli ucraini bombardano senza sosta quelli occupati dai russi nella regione di Cherson, i russi lasciano intatti quelli dell’avversario. Similmente grave (e incomprensibile!) il mancato bombardamento metodico delle ferrovie che portano le armi occidentali dalla Polonia al lontano fronte bellico nel sud-est del Paese;
    nonostante diversi appelli da parte della “opposizione” politica, Vladimir Putin non ha ancora imboccato la strada, ormai improcrastinabile, della guerra totale: mobilitazione della popolazione maschile e produzione bellica a pieno regime per imporre (perlomeno!) un rapporto di 1:1 sul fronte.

    A qualsiasi esperto di storia o strategia militare, gli errori del Cremlino appaiono ormai così numerosi, così eclatanti e così gravi, da avanzare persino l’ipotesi che Vladimir Putin sia colpevole di intelligenza col nemico: sfruttando cioè la sua posizione di “zar” consolidata negli ultimi 20 anni, il capo del Cremlino starebbe in sostanza consentendo agli anglosassoni di riportare una vittoria totale sul fronte europeo/atlantico, cosicché possano concentrarsi senza preoccupazione su quella che è sempre stata, e rimane, la principale minaccia all’orizzonte: la Cina, impegnata ad organizzare la massa afro-euro-asiatica con una rete sempre più fitta e capillare di infrastrutture. Il comportamento dei vertici cinesi indica chiaramente che tale sospetto inizi a serpeggiare anche a Pechino: se a febbraio, infatti, Xi Jinping aveva invocato un’amicizia “illimitata” tra Russia e Cina, al vertice russo-cinese del 15 settembre, svoltosi in terra neutrale a Samarcanda, il presidente cinese ha preso esplicitamente distanza da Vladimir Putin e dalla sua gestione del conflitto ucraino, esprimendo le proprie “preoccupazioni” e avanzando diverse “domande” sulla guerra ucraina. In sostanza, si chiedono a Pechino, Vladimir Putin vuole davvero creare un fronte europeo anti-anglosassone, forte del supporto cinese? O sta facendo di tutto perché gli anglosassoni possano concentrare tutte le loro forze sulla Cina?

    Il percorso politico di Vladimir Putin è noto. Uscito dalle file del KGB, l’attuale zar deve molte delle sue fortune all’incontro, nei primissimi anni ‘90, con Henry Kissinger. Subentrato alla disastrosa gestione di Boris Eltsin nel 1999, Putin ha appoggiato più o meno apertamente “le guerre al terrore” lanciate dagli angloamericani nel 2001 e miranti a ridisegnare la cruciale fascia mediorientale che va dalla Libia all’Afghanistan, passando per la Somalia. Le sue strette relazioni con Israele ed il leader Benjamin Netanyahu sono di pubblico dominio. La sua “intesa” con Donald Trump e gli ambienti israeliani americani è nota. Più aspetti del passato di Vladimir Putin, insomma, lasciano supporre una possibile ed inconfessabile intesa con gli anglosassoni, a detrimento della Germania e, soprattutto, della Cina. Un’intesa, però, diretta in primis contro gli interessi della Russia stessa.

    Qualora, infatti, Vladimir Putin non decidesse di imboccare, nelle prossime settimane al massimo, una profonda revisione della strategia in Ucraina, la Russia sarebbe destinata inesorabilmente a perdere il conflitto, con conseguenze di portata storica simili ai “collassi” del 1917 e del 1991. Molti Paesi dell’ex-area URSS cercherebbero nuovi protettori, la dimensione mediterranea ed euroasiatica della Russia sarebbe irrimediabilmente perduta insieme alla Crimea, la tenuta stessa della Federazione Russa sarebbe messa in pericolo dal riemergere delle forze centrifughe.

    Vladimir Putin sta perdendo la guerra. Molti elementi lasciano supporre che sia colpevole di intelligenza col nemico. Bisognerà vedere se l’apparato burocratico-militare russo ha in sé le forze sufficienti per riportare la Nazione sulla retta via. In ogni caso, nel prossimo articolo, prenderemo in analisi l’ipotesi peggiore: sconfitta militare in Ucraina e scomparsa della Russia come fattore potenza in funzione anti-anglosassone.
    concorso cimad 2022

  5. #25
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...uova-tsushima/

    Un approfondito studio della geopolitica di inizio Novecento, quando le grandi ferrovie continentali iniziarono a coprire l’Eurasia e Mackinder scrisse il suo celebre lavoro del 1904, risulta estremamente utile per capire quanto sta avvenendo e, probabilmente avverrà, nella cosiddetta Isola Mondo nei prossimi anni. Analizzare le strategie usate in passato dalle potenze marittime anglosassoni per scongiurare il temutissimo “blocco continentale” ed assicurarsi la vittoria delle due guerre mondiali, cui sta ormai subentrando la terza, consente di azzardare alcune ipotesi su basi fondate.

    Mentre tutti gli occhi sono puntati sul Donbass e sale la tensione attorno a Taiwan e nelle acque del Pacifico (dove si decideranno i destini del XXI secolo), è opportuno fare un salto indietro di un secolo abbandonante, rispolverando una battaglia navale e sopratutto una combinazione geopolitica che pochissimi, oggi, ricordano: la battaglia navale di Tsushima del 1905 e l’allora possibile alleanza tra l’impero zarista (la Russia di oggi) ed il Reich tedesco (la Cina di oggi).

    Saremo precisi, ma anche snelli nell’esposizione dei fatti, cosicché si possano bene afferrare le analogie col presente. Correva l’anno 1905 ed il Reich tedesco, forte di un’economia tecnologicamente all’avanguardia, di una flotta sempre più forte e di una rete ferroviaria che stava per raggiungere il Golfo persico (Bagdadbahn), appariva agli angloamericani come la minaccia n.1, la moderna Cina. Il kaiser Guglielmo II, descritto dalla storiografia come un militarista goffo ed impulsivo, era tutt’altro che sprovveduto: nella sua mente aveva concepito un’alleanza che avrebbe assicurato alla Germania l’egemonia mondiale e scongiurato il “secolo americano”. Lui, Guglielmo II, sarebbe diventato il padrone dell’Atlantico, mentre Nicola II, lo zar delle Russie, sarebbe diventato il padrone del Pacifico. L’Eurasia, in sostanza, avrebbe diretto tutto il suo dinamismo verso gli Oceani, contro gli anglosassoni.

    Erano i tempi, bisogna ricordarlo, in cui la Russia stava terminando la Transiberiana (ahinoi, sono ad singolo binario, fino ai primi anni ‘30!) e premeva verso la Manciuria, Porth Arthur, Vladivostock e la Corea. La combinazione tra Germania e Russia era quindi perfetta: Berlino spingeva ad ovest e San Pietroburgo spingeva ad est. Come scongiurare l’alleanza russo-tedesca? Come impedire che i due giganti continentali allestissero due flotte così potenti da sconfiggere l’Inghilterra ed uccidere sul nascere la superpotenza americana? Molto semplice, fermando il dinamismo della Russia verso Est e indirizzandolo, nuovamente, verso ovest, ossia contro la Germania.

    Erano gli anni, infatti, in cui gli angloamericani, dopo aver allevato la “rivoluzione Meiji”, si erano creati un efficiente ed agguerrito vassallo in Estremo Oriente: il Giappone. Prima che le ferrovie russe dirette verso la Corea fossero completate, gli angloamericani innescarono quella è nota come la “guerra russo-giapponese” del 1905. Tokyo (Kiev, mutatis mutandis), generosamente finanziata ed armata dagli anglosassoni, riportò una netta ed inaspettata vittoria sulla Russia, che aveva allora difficoltà a riversare il suo potenziale militare ed umano in Asia orientale. Celebre è la battaglia di Tsushima del 1905, in cui la flotta nipponica distrusse quella russa, che aveva dovuto circumnavigare l’Europa e l’Africa prima di raggiungere il teatro delle operazioni.

    A noi preme sopratutto evidenziare gli effetti geopolitici dell’avvenimento. La sconfitta russa del 1905 scosse innanzitutto alle fondamenta la Russia (rivoluzione di San Pietroburgo e sanguinose rivolte nel Caucaso) anticipando di circa un decennio quelle dinamiche che sarebbero poi sfociate nel collasso dell’impero russo e nella rivoluzione bolscevica del 1917. Ma, sopratutto, la sconfitta del 1905 mutò il corso del Novecento: dopo aver trovato la strada sbarrata ad Oriente, la Russia tornò infatti ad interessarsi dell’Occidente e, in particolare, a quella polveriera che erano i Balcani, dove tedeschi e slavi erano in frizione per il controllo della regione. Il cambiamento è rapidissimo: se fino al 1905 era possibile un’alleanza russo-tedesca (trattato di Björkö del luglio 1905) solo due anni dopo, nel 1907, la Russia firma il trattato anglo-russo per la ripartizione delle sfere d’influenza tra Londra e San Pietroburgo, completando in questo modo “l’accerchiamento” della Germania da parte degli anglosassoni. Nel 1914 è l’attentato di Sarajevo: si incendiano i Balcani, la Russia collassa, la Germania è sconfitta e gli USA iniziano la scalata all’egemonia mondiale.

    Ora, rapidissimo salto agli anni ‘20 del XXI secolo. In questi anni si è parlato (e le nostre analisi trattavano quasi sempre quest’argomento) di alleanza russo-cinese. L’alleanza, dicevamo, era perfettamente complementare ed avrebbe sicuramente assicurato a Mosca e Pechino la vittoria, in quanto metteva gli anglosassoni di fronte al rischio di una guerra su due fronti: la Russia avrebbe premuto verso Ovest e la Cina verso Est. Atlantico e Pacifico. Vittoria finale. Ad essere sinceri, pareva tutto troppo semplice e, infatti, nel corso del settembre 2022 si iniziano a capire molte cose.

    Quando invocavamo che Russia e Cina stessero “schiena contro schiena”, davamo infatti per scontato che il dinamismo russo verso Occidente risultasse vincente. In poche parole, davamo per scontato che la Russia vincesse la guerra in Ucraina, riacquistando così una vera dimensione mediterranea, euroasiatica e quindi mondiale. Come scritto molto lucidamente nella nostra ultima analisi, è invece ormai evidente che l’attuale classe dirigente russa, tradendo gli interessi stessi del Paese, stia facendo di tutto per non vincere il conflitto ucraino che, al contrario, si sta trasformando in una vittoria piena delle potenze anglosassoni. Non solo, infatti, gli angloamericani sono riusciti a gettare Germania ed Italia in una severa crisi energetica, ma hanno addirittura eretto un’agguerrita barriera militare che si estende dalla Finlandia (prima neutrale) fino all’Ucraina, passando per la Polonia, baricentro della coalizione anti-russa. Il dinamismo russo verso Occidente, salvo improbabili colpi di scena, è quindi fermato.

    Contemporaneamente, gli anglosassoni stanno incendiando (ed è probabile che moltiplicheranno gli sforzi non appena la Russia avrà ufficialmente perso la guerra ucraina) l’Asia centrale. A distanza di pochi giorni dallo sfondamento delle truppe ucraine a Charkov, si è tornato a sparare tra Azerbaigian e Armenia e tra Kirgikistan e Tagiskistan. Tutto lascia supporre, quindi, che le potenze marittime anglosassoni vogliano incendiare a breve quelli che Zbigniew Brzezinski definì nel 1997 “i Balcani mondiali”: una zona di importante strategica non solo per le ricchezze del sottosuolo (uranio, petrolio, gas, oro, minerali vari, cotone, etc.) ma anche per le vie di comunicazione est-ovest. Molte delle ferrovie in uso e progettate dai cinesi all’interno della Nuova Via della Seta passano infatti proprio in questa regione. Nell’Asia centrale, l’influenza militare russa è ancora forte, ma è facile che gli anglosassoni adoperino la prossima sconfitta russa per scardinare tutti gli ultimi “bastioni imperiali” russi rimasti dopo il collasso dell’URSS nel 1991. Dalle guarnigioni militari in Transnistria alle basi militari in Tagikistan passando per gli avamposti in Georgia, tutto subirà gravi ripercussioni dopo la probabile sconfitta russa in Ucraina.

    A quel punto, Pechino potrebbe essere tentata/costretta a colmare il vuoto in Asia centrale, entrando in frizione con la Russia che si vede bloccata la strada verso l’Occidente. In sostanza, lo schema del 1905 “invertito”, in quando la moderna Germania è proprio la Cina.

    Questa è, quasi certamente, la grande strategia degli anglosassoni per rompere l’alleanza russo-cinese e, si noti, è perfettamente compatibile con quanto scritto nelle nostre precedenti analisi, quando ancora davamo per scontata la vittoria russa in Ucraina: un riavvicinamento tra USA e Russia, cioè, dopo la prossima “guerra civile” americana ed il ritorno al potere di Donald Trump.

    Gli eventi sono fluidi. Molto è ancora incerto. Ma tra la polvere del campo di battaglia, si inizia a delineare un nuovo scenario. Più complesso e, perciò, più realistico. Se le sorti del XXI secolo si decideranno nel Pacifico, l’Asia centrale ed i “Balcani mondiali” avranno dunque un ruolo sempre più importante nei meccanismi geopolitici mondiali. Se abbiamo ragione, con la presente analisi, rimaniamo ancora in prima linea.

    concorso cimad 2022

  6. #26
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...isfatta-russa/

    Nella nostra recente analisi, abbiamo messo in luce come moltissime delle scelte strategiche adottate da Vladimir Putin siano palesamene errate da lasciare addirittura pensare che l’inquilino del Cremlino siano colpevole di intelligenza col nemico. Gli ultimi sviluppi in Ucraina confermano quest’ipotesi e lasciano presagire un futuro molto fosco per la Federazione Russa. Dopo la disfatta nella regione di Charkov ed il passaggio dell’iniziativa agli ucraini, si aspettava infatti un radicale cambio di strategia di Mosca, ma le decisioni assunte lasciano davvero stupefatti e lascia supporre che sia sopratutto una manovra di Putin per evitare di essere defenestrato dai “falchi” che premono per un cambiamento a 180 gradi della strategia.

    Il 20 settembre, infatti, è stato annunciato che le quattro regioni ucraine separatiste (Donetsk, Lugansk, Cherson e Zaporija) indiranno a breve un referendum per accedere alla Federazione Russa. L’atto politico, di per sé, è neutrale. La tempistica, però, è tutto. Se infatti tali referendum fossero stati annunciati sull’onda di una netta ed inconfutabile vittoria militare russa in Ucraina (facilmente conseguibile, se la guerra fosse stata impostata in tutt’altro modo), avrebbero semplicemente ratificato un nuovo rapporto di forza nell’Est europeo: il controllo russo di buona parte delle coste ucraine e del Mar Nero. I referendum, al contrario, sono stati indetti sull’onda della disfatta di Charkov e, sopratutto, dopo le reiterate affermazioni di Vladimir Putin (ripetute da Narendra Modi e da Recep Erdogan) di voler porre fine alle ostilità il prima possibile.

    Così facendo, Vladimir Putin alimenta all’estero l’immagine di una Russia in grande difficoltà, costretta a ricorrere ad improbabili e maldestri “bluff” pur di salvare la situazione sul campo militare. Il 21 settembre, infatti, il capo del Cremlino ha annunciato che i referendum saranno accompagnati da una mobilitazione parziale (estesa cioè solo ai riservisti) e dall’estensione ai “nuovi territori” russi della dottrina nucleare russa: uso di ordini atomici in caso di attacco al suolo nazionale.

    Ora: la mobilitazione (che necessita di almeno 4-6 mesi per produrre i primi effetti) avrebbe dovuto essere proclamata almeno lo scorso marzo, dopo che il tentativo di “rovesciare” Zelensky assediando Kiev era fallito. Non si può certo sperare di ribaltare la situazione sul campo promettendo l’impiego, dopo l’inverno, di una maggiore massa di uomini. L’unica via per puntellare la guerra convenzionale gravemente compromessa è, adesso, ricorrere ad un maggior uso dell’aviazione ed ai bombardamenti strategici, distruggendo (finalmente!) con sistematicità quelle infrastrutture ucraine che il Cremlino ha lasciato incredibilmente intonse in sette mesi di combattimenti: le ferrovie ed i ponti sul Dniepr che portano le armi angloamericane dal confine polacco sino al remoto teatro di guerra nel sud-est ucraino. Se la mobilitazione non produrrà alcun effetti tangibile fino alla prossima primavera, è invece probabile che sia utilizzata fin da subito dalla rete anglosassone per innescare l’ennesima rivoluzione colorata, sulla falsariga del 1905 e del 1917.

    Rimane l’ombrello nucleare russo: dopo aver votato per l’annessione, le quattro regioni sarebbero a tutti gli effetti territorio russo e, quindi, Mosca, potrebbe rispondere con un attacco nucleare tattico qualora gli ucraini continuassero l’avanzata. Putin, nella conferenza stampa del 21 settembre, ha espressamente detto di “non bluffare” sull’uso delle armi nucleari. Ma è credibile? È davvero credibile che chi è si finora astenuto dal bombardare i ponti sul Dniepr, ricorra agli ordigni nucleari tattici? E contro quali obiettivi: la linea d’attrito tra i due schieramenti? O a semplici scopi dimostrativi, alimentando così ulteriormente la pressione politica internazionale sulla Russia e dando la possibilità agli angloamericani di portare la guerra per procura in Ucraina allo stadio successivo? È davvero poco credibile.

    Non solo, dunque, i referendum saranno del tutto inutili a bloccare l’offensiva ucraina, ma rischiano di mettere la Russia in una situazione ancora più critica. Si immagini cosa accadrebbe se gli ucraini attaccassero Cherson o Lugansk dopo il referendum: qualora i russi non rispondessero all’istante con una micidiale rappresaglia, il “bluff” di Putin sarebbe immediatamente scoperto, con un effetto domino su tutte le posizioni russe in Ucraina. Di fronte alla “passività” della Russia nel difendere i propri territori in Ucraina, si accenderebbero in un attimo anche tutte le forze centrifughe all’interno della Federazione Russa, dalla Transnistria agli avamposti in Georgia, passando per Grozny. Tutti metterebbero in discussione la forza militare russa e la sua effettiva volontà di difendersi.

    In sostanza, l’indizione dei referendum nelle regioni separatiste conferma quanto scritto nella nostra ultima analisi: la Russia, grazie alla criminose scelte strategiche della sua classe dirigente, è diretta verso una nuova Tsushima che, quasi certamente, sarà utilizzata dagli anglosassoni per cercare di rompere l’asse russo-cinese. Se nel febbraio scorso, la Russia aveva davanti a sé la possibilità di riacquistare lo status di potenza mondiale attraverso una facile guerra convenzionale, ora sembra minacciare una guerra atomica per salvare se stessa. Più che su improbabili scenari atomici, l’attenzione dovrebbe però focalizzarsi sui caotici scenari che seguiranno la sempre più probabile sconfitta russa in Ucraina. Gli anglosassoni faranno di tutto per separare Mosca da Pechino: spetta ai cinesi prepararsi a gestire il difficile post-Putin.
    concorso cimad 2022

  7. #27
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...ie-elettorali/



    È nostra abitudine dedicare pochissimo spazio alla politica italiana e, quando lo facciamo, è sempre in relazione al resto del mondo. La recente tornata elettorale, che ha decretato la schiacciante vittoria di “Fratelli d’Italia, merita di essere analizzata per due ragioni: è un perfetto esempio di “ingegneria elettorale”, la tecnica con cui si possono indirizzare i voti nella direzione voluta, ed è quasi certamente l’anticamera di una nuova crisi per l’eurozona e le finanze pubbliche italiane.

    Come è stato possibile portare una formazione di destra, che nel 2018 aveva raccolto il 4% delle preferenze, al 26% in cinque anni? Come è stato possibile portare una leader, senza alcun significativa esperienza di governo, a Palazzo Chigi nel volgere di una sola legislatura? Con pochi, semplici, passaggi. Vediamo quali:

    Stai sempre all’opposizione. Governare è redditizio in termini elettorali finché “la torta cresce” ed il benessere generalizzato aumenta: maggiori ricchezze da redistribuire e soddisfazione diffusa. In tempi di crisi multiple (e dal 2018 in avanti si sono sperimentate la crisi dell’epidemia, quello russo-ucraina, quella energetica e inflazionistica) stare all’opposizione paga: è come riempire una tinozza sotto un temporale. Basta stare fermi. Gli anglosassoni si sono premurati di tenere Fratelli d’Italia sempre all’opposizione per cinque anni, mentre nel frattempo si alternavano il governo giallo-verde, quello giallo-rosso ed il governo tecnocratico di Mario Draghi. Decisivi sono stati i due anni di governo Draghi, con cui l’elettorato della Lega Nord è stato svuotato a favore di Fratelli d’Italia.
    Ritocca le “regole del gioco”. Non ci sarebbe stata nessuna schiacciante vittoria di Fratelli d’Italia se, nel corso della legislatura precedente, non si fosse “pasticciato” con la Costituzione. Decisivo, infatti, è risultato il referendum del settembre 2020 per la riduzione dei parlamentari, non seguito da un’iniziativa del governo giallo-rosso per rivedere in chiave proporzionale la legge elettorale. In questo modo, allargando a dismisura i collegi e conservando la componente maggioritaria del Rosatellum, si è creata una legge fortemente distorsiva, che ha permesso alla coalizione guidata da Fratelli d’Italia di conquistare il 55% dei seggi col 42% delle preferenze.
    Controlla le opposizioni. La mancata revisione della legge elettorale è stato il “primo regalo” fatto da PD e dal M5S a Fratelli d’Italia. Il secondo, ancora più clamoroso, è stata la decisione di non allearsi in vista delle elezioni, nonostante la legge elettorale premiasse le coalizioni ed avesse una componente maggioritaria. Se si controlla tutto lo spettro del Parlamento, è facile indirizzare la palla nella direzione voluta.
    Demonizza/Pubblicizza l’avversario. Il fenomeno “Giorgia Meloni” è stato interamente creato, alimentato e irrobustito dal Gruppo l’Espresso e dai poteri anglofili che stanno dietro alle testate La Repubblica/Huffington Post. Per cinque anni, le testate di sinistra hanno garantito una copertura mediatica costante a Fratelli d’Italia, pubblicizzandola in ogni maniera. Spesso i giudizi erano “negativi”, talvolta pure “positivi”: in ogni caso, ne hanno parlato per cinque anni, portandola all’attenzione dell’elettorato. È la stessa tecnica con cui i media di sinistra americani stanno “tenendo in vita” Donald Trump in vista delle prossime elezioni.
    Abbassa i toni. Molto difficilmente Fratelli d’Italia avrebbe vinto le elezioni ripetendo, come faceva nel 2014, che l’Italia deve abbandonare l’euro. I mercati finanziari avrebbero accompagnato la campagna elettorale con assalti speculativi che avrebbero dissuaso l’elettorato, già stressato da mille crisi (epidemia, guerra, energia, inflazione), dal fare l’ennesimo salto nel buio. Molto probabilmente, però, le pulsioni “anti-sistema” di Fratelli d’Italia esploderanno a breve, stupendo molti.
    Veniamo quindi al punto decisivo: perché gli anglosassoni hanno sapientemente lavorato perché le elezioni del 2022, indette dopo le dimissioni “spontanee” di Mario Draghi, fossero vinte da Fratelli d’Italia? Innanzitutto, così facendo, si assicurano una perfetta continuità nella politica estera del Paese: dovrebbe infatti apparire strano a molti, ma le posizioni più simili a quelle di Mario Draghi verso Russia, Iran e Cina, si trovano proprio nell’unico partito che era all’opposizione del suo governo!

    Questo, tuttavia, è ancora un elemento secondario. Il punto decisivo, come già scrivemmo nella nostra analisi che seguì le dimissioni dei Mario Draghi, è la volontà degli anglosassoni di servirsi dell’Italia e del suo enorme debito pubblico per innescare l’ennesima crisi in Europa, già provata da guerra, carenza di gas, venti di recessione, prezzi alle stelle e stretta monetaria delle banche centrali. A luglio era difficile capire quale fosse il copione che avevano in mente gli angloamericani per l’Italia. Molto si è capito nel corso di settembre, dopo l’insediamento a Downing Street della nuova premier conservatrice Liz Truss. La neo-premier si è lanciata in una serie di duri attacchi contro l’indipendenza della Bank of England e, contemporaneamente, ha varato un maxi-taglio delle tasse da 45 miliardi, provocando il crollo della sterlina (ai minimi storici nei confronti del dollaro) e alimentando diversi dubbi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche britanniche: la strategia della Truss mira, chiaramente, a costringere la Bank of England a monetizzare il debito pubblico britannico, alimentando l’inflazione che già viaggia verso il 20% in Gran Bretagna. Il primo viaggio all’estero della neo-premier Giorgia Meloni dovrebbe essere proprio a Londra e tutto lascia supporre che là riceverà istruzioni su come “replicare” le ricette britanniche in Italia. Il seguito è facilmente prevedibile: attacco alla BCE, taglio delle tasse, tracollo dei Btp, nuova eurocrisi, default del debito pubblico italiano.

    Con uno spregiudicato, ma piuttosto bambinesco, machiavellismo, il Gruppo l’Espresso ed i poteri anglosassoni si servono di Fratelli d’Italia (esplicito riferimento alla libera muratoria) per portare avanti la loro strategia anti-italiana ed anti-europea. Vedremo gli sviluppi.
    concorso cimad 2022

  8. #28
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...-anglosassone/

    All’inizio dell’ottobre 2022, il conflitto russo-ucraino sembra ormai aver compiuto il giro di boa ed imboccato l’ultimo tratto verso la conclusione. Il 20 settembre si sono tenuti i referendum con cui Mosca si è annessa le quattro regioni ucraine separatiste, allargando alle stesse, almeno in teoria, il proprio ombrello nucleare. Come ampiamente previsto dalle nostre analisi, tali referendum non hanno fermato la controffensiva ucraina, né innescato una significativa reazione russa. Attorno il 5 ottobre, gli ucraini hanno operato il previsto sfondamento nella regione di Kherson, fondamentale per il controllo della foce del Dniepr ed un’eventuale offensiva su Odessa. Neppure lo spettacolare attacco ucraino al ponte sullo stretto di Kerch, sabato 8 ottobre, ha risvegliato la Russia dal suo inspiegabile “torpore”. Continuando a lasciare intatte le vitali infrastrutture ucraine che riforniscono il fronte (ferrovie e ponti), Mosca si è limitata ad una serie di velleitari raid su alcune città ucraine, raid soprattutto con finalità mediatiche, tesi cioè a dimostrare che la Russia non è passiva. Paradossalmente, le iniziative sempre più audaci da parte di Kiev sono state accompagnate da voci sempre più insistenti di prossimi negoziati, tanto che si è parlato di un prossimo possibile incontro a Putin e Biden a margine del G20, programmato per metà di novembre in Indonesia.

    È tempo quindi di ordinare questi elementi apparentemente contraddittori, sviluppando la tesi già esposta nei nostri precedenti articoli: che, cioè, Vladimir Putin, “l’allievo di Henry Kissinger”, non abbia mai voluto riportare una schiacciante vittoria militare in Ucraina ma, al contrario, sia più o meno velatamente d’accordo con gli anglosassoni per un conflitto “controllato” in Ucraina. I vantaggi riportati dagli anglosassoni, in questi primi sette mesi di guerra, sono così eclatanti ed evidenti che, in ogni caso, si può già apertamente parlare di una schiacciante vittoria per Washington e Londra. Grazie, infatti, alla decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ed alla sua “maldestra” gestione della guerra, gli anglosassoni hanno:

    portato l’intera Penisola Scandinava nella NATO, compresi i Paesi prima neutrali (Svezia e Finlandia);
    ottenuto l’accesso de facto dell’Ucraina alla NATO, che sta ricevendo armamenti sempre più moderni e sofisticati dall’Occidente;
    trascinato l’Unione Europea verso una nuova crisi energetica/finanziaria;
    distrutto i gasdotti tra Russia e Germania, colpendo al cuore il sistema industriale tedesco;
    riconquistato competitività industriale e incassato lauti guadagni dalla vendita di gas liquefatto (per quanto riguarda gli USA, meno l’Inghilterra);
    distrutto il nocciolo delle forze armate russe e “sistemato le cose” sul fronte occidentale in vista del confronto con la Cina.
    Gli angloamericani, alla luce dei successi riportati, dovrebbero edificare un monumento a Vladimir Putin che, con investimenti modesti, ha consentito loro di agguantare enormi guadagni. Diversi elementi, infatti, inducono ormai a pensare che nei prossimi mesi si arrivi ad una qualche forma di armistizio/negoziato che consenta a Vladimir Putin di rimanere in sella e chiudere il conflitto in maniera più o meno onorevole. Tuttora, grazie alla fiammata dei prezzi degli idrocarburi, Mosca sta già incassando molte più risorse rispetto al periodo pre-bellico: è stato stimato che lo sforzo bellico in Ucraina sia stato in gran parte finanziato dalle maggiori entrate derivanti dalla vendita del metano e del petrolio. Tuttavia, ciò non sarebbe certamente sufficiente a Vladimir Putin per “salvare la faccia”: occorre qualche guadagno territoriale tangibile. Tutto lascia supporre, quindi, che la controffensiva ucraina proseguirà sino almeno alla totale riconquista della sponda occidentale del Dniepr, ossia alla liberazione della regione di Kherson. A quel punto, Kiev sarà sufficientemente forte e Mosca sufficientemente umiliata per chiudere il conflitto, o più probabilmente “congelarlo” a tempo indefinito: in sede di negoziati, Putin potrebbe vedersi riconosciuto il controllo sostanziale (ma non formale) del ponte terrestre che unisce la Russia alla Crimea e, quindi, del Mar di Azov gravitante attorno alla città di Mariupol. Una conclusione “onorevole” che permetterebbe all’allievo di Henry Kissinger di rimanere saldamente al potere, in vista del prossimo conflitto tra anglosassoni e cinesi.

    Qualora tale scenario, sempre più verosimile, dovesse materializzarsi, si potrebbe quindi parlare di una vera e propria intesa anglo-russa a discapito dell’Europa e, in particolare, di Italia e Germania. A differenza di anglosassoni e russi, che trarrebbero benefici più o meno consistenti dalla guerra in Ucraina, l’Unione Europa si limiterebbe infatti ad incassare un fortissimo choc energetico che, entro breve, evolverà nell’ennesima crisi finanziaria attraverso il canale inflazione-aumento dei tassi. Sotto questa prospettiva, l’Europa, e sopratutto la Germania, sarebbe quindi il principale obiettivo degli anglosassoni, mentre la Russia sarebbe funzionale alla destabilizzazione della potenza tedesca (secondo lo stesso schema del 1914 e 1941).

    Per certi versi, la guerra russo-ucraina del 2022 sta assumendo quindi le sembianze della guerra del Kippur del 1973, già supervisionata da Henry Kissinger nella sua veste di Segretario di Stato della presidenza Nixon (si veda, per maggiori dettagli, “Anni di Crisi”, Sugarco Edizioni, 1982). Un conflitto, cioè, controllato, funzionale ai disegni egemonici degli anglosassoni. Manovrando il presidente egiziano Anwar Sadat, gli anglosassoni riuscirono allora ad innescare il primo choc energetico, tarpando le ali all’industria italiana, tedesca e giapponese e lanciando il sistema dei “petro-dollari” che funziona tuttora tra monarchia arabe, City e Wall Street. Manovrando il presidente russo Vladimir Putin, il quasi centenario Henry Kissinger ha ripetuto lo stesso schema, affossando l’industria europea, rilanciando quella americana, minando alle fondamenta l’euro (precipitato ai minimi degli ultimi 20 anni) e ridando ossigeno al dollaro in affanno. A Berlino si inizia a capire che la Russia di Vladimir Putin non è più un partner affidabile. Tutto lascia supporre che, a Pechino, si inizi a pensare lo stesso.
    concorso cimad 2022

  9. #29
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    Predefinito Re: La guerra egemonica

    http://federicodezzani.altervista.or...ippur-ucraina/

    Il 9 novembre (9/11) 2022, quasi certamente può essere considerato uno spartiacque nel “confronto” tra Russia ed Occidente in Ucraina: una fase, quella della presunta guerra per procura “senza esclusione” di colpi, si conclude, e ne inizia una nuova che, quasi certamente, culminerà tra un paio di anni con la vittoria repubblicana alle presidenziali americane ed il riavvicinamento, formale, tra la Russia di Putin e l’America “nazionalista”. Nel frattempo, fin da queste ore, diventa sempre più evidente l’inconfessabile e segreto accordo tra Putin ed anglosassoni che si è sempre celato dietro la “guerra” in Ucraina. Un accordo, supervisionato quasi certamente dal centenario Henry Kissinger, che fa del conflitto in Ucraina una sorta di “riproposizione” della guerra del Kippur del 1973, profittevole, in fondo, per tutte la parti coinvolte.

    Andiamo con ordine. Fin dalle eclatanti vittorie riportate dagli ucraini nel settore di Charkov agli inizi di settembre, è emerso chiaramente che Mosca avesse ormai perso qualsiasi iniziativa strategica in Ucraina. Non solo: una lunga seria di elementi (la mancata distruzione dei ponti sul Dniepr, il mancato impiego dei bombardieri strategici, la mancata distruzione della logistica che portava le armi occidentali dalla Polonia al fronte, il ritardo nella mobilitazione totale, etc.) lasciava chiaramente intendere che Vladimir Putin non avesse mai davvero cercato una vittoria militare sul campo. La volontà, apparentemente inspiegabile, di mantenere il dispositivo militare a livello di “operazione speciale” oltre qualsiasi limite temporale ragionevole, indicava chiaramente che “l’allievo di Kissinger” si fosse accordato con gli anglosassoni per una guerra limitata, che garantisse qualche forma di guadagno ad entrambe le parti (e a discapito del resto del mondo).

    L’andamento delle operazioni sul campo, già all’inizio di ottobre, consentiva agli analisti più lungimiranti (cioè, noi), di capire quali fossero i termini di questo accordo inconfessabile tra Putin ed anglosassoni. Dopo essersi ritirato da Charkov, Putin si sarebbe ritirato anche dalla sponde occidentali della foce del Dniepr, abbandonando Kherson e sopratutto abbandonando qualsiasi rivendicazione su Odessa. In sostanza, Putin si sarebbe accontentato del ponte terrestre con la Crimea e della città di Mariupol (obiettivi, probabilmente, ottenibili nel 2014 senza alcuna guerra), lasciando il resto dei territori occupati agli ucraini. Così è puntualmente stato: il 9 novembre, il ministro della Difesa russo ha infatti ordinato il ritiro dalla riva occidentale del Dniepr e le autorità russe hanno esplicitamente dichiarato di essere pronte ai negoziati secondo “l’uti possidetis”. Come un moderno presidente egiziano Anwar Sadat, Putin può quindi vantare alcuni ingrandimenti territoriali tali da consentirgli la permanenza al potere e, sopratutto, può, insieme alla cerchia di oligarchi a lui vicina, incassare gli enormi profitti derivanti dall’impennata del prezzo del gas e del petrolio.

    Se non è difficile individuare i “guadagni” di Vladimir Putin derivanti dal conflitto “controllato” in Ucraina, è ancora più facile elencare quelli degli anglosassoni, che possono vantarsi di aver riportato una vittoria pressoché totale. Più volte si è scritto quali siano i risultati ottenuti dalle potenze anglosassoni, ma giova ancora ricordarli: la penisola scandinava e l’Ucraina sono state attirate nell’orbita della NATO, un agguerrito vallo è stata edificato dal Mar Baltico sino al Mar Nero, il nocciolo dell’esercito russo è stato distrutto, enormi guadagni sono stati garantiti alle major americane che esportano gas liquido e petrolio, l’Europa (Germania e Italia in testa) sono state gettate in una severa crisi energetica che ridà competitività all’industria americana, è stata infine impresso quello slancio finale all’inflazione che, attraverso il rialzo dei tassi delle banche centrali, culminerà nella prossima crisi finanziaria mondiale (con epicentro, quasi certamente, l’Italia). In sostanza, grazie al conflitto “controllato” in Ucraina ed a Vladimir Putin, le potenze marittime anglosassoni possono vantarsi di aver chiuso vittoriosamente “il fronte occidentale”, in vista dello scontro, quello sì davvero decisivo, con la Cina nel Pacifico.

    Le elezioni dell’8 novembre per il rinnovo del Congresso americano sanciscono, quasi certamente, l’inizio del declino dei democratici anti-russi e l’inizio della riscossa dei repubblicani filo-russi (ed anti-cinesi). Allo stesso tempo, le elezioni dell’8 novembre decretano quindi l’inizio del ravvicinamento tra Russia ed USA che culminerà con la prossima “intesa” tra la Russia di Vladimir Putin e l’America nazionalista. Difficile immaginare i tempi e le forme esatte di questo riavvicinamento: è però certo che, fin dalle prossime settimane, Londra e Washington inizieranno a fare pressione su Kiev per intavolare negoziati secondo l’uti possidetis (lasciando così il ponte terrestre con la Crimea ed il Mare di Azov ai russi). Emblematico è, questo proposito, l’articolo recentemente apparso sul New York Times per mano di Charles A. Kupchan, figura di spicco del potentissimo Council on Foreign Relations. In ogni caso, è certo che gli anglosassoni, dopo aver ottenuto la distruzione del Nord Stream 1 e l’affossamento del Nord Stream 2, non permetteranno mai nei prossimi anni il ripristino dei normali flussi energetici tra Russia ed Europa, in modo tale che l’Unione Europea si decomponga progressivamente nel mix letale di recessione ed inflazione.

    In questo quadro di sempre più palese convergenza tra la Russia di Putin e gli anglosassoni, sono sopratutto interessanti le mosse della Germania che, sfidando apertamente gli Stati Uniti, cerca di mantenere e persino rafforzare i legami con la Cina, che ormai si prepara alla sfida per l’egemonia mondiale. Si configura così progressivamente un’Eurasia in cui le due massime potenze agli antipodi cercano di convergere in funzione anti-americana: in mezzo, come ai tempi del peggior leninismo, l’incognita di un’inaffidabile ed ambigua Russia in balia degli elementi anti-nazionali. Si vedranno gli sviluppi.
    concorso cimad 2022

 

 
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