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L’Irlanda del Nord non è più un territorio a maggioranza protestante. Il risultato era nell’aria da anni, complice la maggiore fertilità della comunità cattolica, ed era stato anticipato dalle elezioni dello scorso maggio, che avevano restituito per la prima volta una maggioranza (relativa) del Sinn Féin, il partito di riferimento dei cattolici per l’unificazione dell’Irlanda. I risultati del censimento del 2021 lo hanno certificato. Rispetto alla precedente rilevazione (2011), i cattolici sono aumentati dal 45 al 45,7% e i protestanti sono diminuiti dal 48% al 43,5%. Praticamente identico il calo fra chi si identifica come britannico, dal 48,4% al 42,8%.
L’evoluzione demografica è semplicemente determinante. Da tempo la sinora dominante comunità protestante teme di venire sorpassata, perdere il potere e subire la decisione della nuova maggioranza di uscire dal Regno Unito per congiungersi all’Irlanda. Posta in gioco che ha alimentato decenni di guerra civile a bassa intensità a Belfast e dintorni (i cosiddetti troubles). E che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, con conseguente spostamento del confine doganale nel Mar d’Irlanda, ha drammaticamente riproposto.
In virtù degli Accordi del Venerdì Santo (1998), Londra sarebbe obbligata a indire un referendum sulla permanenza dell’Irlanda del Nord qualora fosse evidente che una maggioranza lo desidera. Ma la formulazione di questo obbligo è volutamente vaga per lasciare margine di discrezione. Soprattutto, a leggere un altro decisivo risultato del censimento, non sono chiare le intenzioni della popolazione locale. Chi si identifica come britannico è calato dal 48,4% al 42,8%, ma il resto si identifica come irlandese (33,3%, dunque probabilmente propenso all’unificazione) e come nordirlandese (31,5%).
Non è scontato che quest’ultimo terzo scarso voglia abbandonare il Regno Unito. Si tratta di persone mediamente più giovani, determinate a lasciarsi alle spalle il tribalismo della società dei padri, attaccate ai vantaggi materiali della vita britannica. È su questo segmento che Londra scommette per evitare un ritorno delle violenze comunitarie, pure ventilato dai riottosi e declinanti unionisti protestanti. Perché certa che, se costretta a tornare alle trattative con Irlanda e Stati Uniti (sponsor della causa repubblicana per ancestrale sentimento anti-inglese), sarebbe costretta a cedere un altro pezzo di sovranità. Tempi lunghi della dissoluzione dell’impero interno di Sua Maestà che informano l’atteggiamento della neopremier Liz Truss, scelta dai conservatori anche perché determinata a rinegoziare l’accordo sull’Irlanda del Nord.