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«Forse è colpa anche delle vostre famiglie». «No, l’abbiamo fatto noi, la responsabilità è nostra». Dialogo fra un gruppo di cittadini di Mompiano e una decina di minorenni autori di atti vandalici e aggressioni nel quartiere fra gennaio e febbraio 2021. Un frammento del confronto avuto poco prima dello scorso Natale. Un passaggio nel percorso di recupero dei ragazzi cominciato alcuni mesi prima.
Si chiama giustizia riparativa, coinvolge i protagonisti del reato, le vittime e anche la comunità colpita, allo scopo di sanare le lacerazioni, ricostruire la fiducia, preservare la coesione sociale. È il primo progetto del genere a Brescia, fra i primi in Italia. L’iniziativa, ancora in corso, è stata presentata l'altro ieri ai cittadini del quartiere nell’incontro dal titolo «Quando la comunità è protagonista. Minori e reati: un’esperienza di giustizia riparativa a Mompiano». Un passo indietro, ad inizio 2021, quando un gruppo di minorenni si rese autore di gesti vandalici, risse, aggressioni verbali e fisiche anche contro coetanei. Epicentro il piazzale Vivanti e le zone vicine alla fermata della metro; ma episodi si registrarono anche al Villaggio Prealpino e in via Marconi. A Mompiano si diffusero paura, sconcerto, rabbia, malessere. Le forze dell’ordine individuarono poi gli autori. Il Tribunale dei minori ha ritenuto di avviare un progetto sperimentale di giustizia riparativa, che ha coinvolto il Comune e i suoi servizi sociali, l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, l’Istituto di mediazione familiare e sociale, le cooperative Calabrone e Bessimo, il Punto comunità di Mompiano. Gli operatori hanno lavorato sul gruppo dei ragazzi, su quello delle vittime e con una rappresentanza del quartiere. Una dozzina di cittadini di varie realtà, che «ha riflettuto sulle ricadute di quei comportamenti aggressivi sulla gente del quartiere, in termini di emozioni e conseguenze», ha spiegato Gianfranco Ruggeri, coordinatore del Punto comunità. Considerazioni che sono state fissate in una «lettera ai ragazzi per fare capire loro il danno provocato».
I destinatari, con l’aiuto degli operatori, hanno discusso, riflettuto, dialogato, stilando una risposta che hanno poi consegnato all’incontro di fine dicembre: «Non siamo dei mostri, non dovete avere paura di noi», il succo della replica. È un percorso di maturazione e di reciproca consapevolezza. «La crescita di questi ragazzi - ha sottolineato la procuratrice dei minori, Giuliana Tondina - è responsabilità anche delle comunità. Mompiano è stata capace di farlo». In alcuni dei minori coinvolti «ho visto grandi trasformazioni, la capacità di pensare fuori dal gruppo. Si sono confrontati con il dolore altrui». Dentro il gruppo, ha spiegato Ilaria Marchetti dell’Istituto di mediazione familiare e sociale, «ci sono state dissociazioni e assunzioni di responsabilità individuale e collettiva».
La logica della forza come unico modo di esprimere il conflitto, il disagio, la relazione o la rabbia è stata in parte superata. Il disaccordo, hanno capito, si può mostrare con la parola. Durante uno degli incontri con gli operatori, una ragazza che la madre cercava di giustificare, non ha esitato: «No, ciò che è successo è colpa mia». Finora non c’è stato un incontro fra gli autori dei reati e le parti offese. «Qualcuno dei ragazzi sarebbe disposto, ma non è ancora il momento. A non essere pronte sono le vittime, le grandi assenti della giustizia riparativa», ha commentato Marchetti. L’esperienza condotta a Mompiano viene salutata con soddisfazione anche dal sindaco Emilio Del Bono. «Le istituzioni ci sono e reagiscono, facendo ognuna la propria parte», ha detto, ricordando che «questi ragazzi non sono marziani, ma appartengono alle nostre comunità. Non possiamo pensare che sia un problema soltanto di repressione o di ordine pubblico». Sono minori che «vanno restituiti alla società trasformati». Con azioni come quella attuata per le vicende di Mompiano «si evitano i rischi banlieue nei nostri quartieri».
Gianfranco Ruggeri è uno fra i protagonisti del progetto. «L’incontro del gruppo di cittadini con i ragazzi è stato molto bello, emozionante. Prima sono rimasti un po’ sulle loro, poi si sono sciolti. Tutti avevano dentro qualcosa. Questa esperienza serve anche a noi cittadini per porci domande e cercare risposte sul disagio e i comportamenti violenti dei giovani».