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L’affermazione di Biden secondo cui gli Stati Uniti interverrebbero in difesa di Taiwan in caso di attacco da parte della Repubblica Popolare Cinese lede quest’ultima sul piano propagandistico. In particolare, ostacola i suoi già deboli tentativi di assorbimento pacifico dell’isola e incoraggia i taiwanesi a respingere un eventuale sbarco dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) sul posto.
Eppure nel complesso la vicenda non altera la postura di Pechino. Per due ragioni.
Primo, la Casa Bianca ha rapidamente aggiustato il tiro di quanto detto da Biden affermando che gli Usa seguono ancora la “politica della Cina unica”. Quest’ultima differisce dal “principio” formulato dalla Repubblica Popolare sul medesimo argomento. Eppure le due potenze giocano (sempre meno) sull’assonanza tra i due concetti per rifiutare la posizione altrui sullo status di Taiwan e al tempo stesso mantenere un precario equilibrio nell’omonimo Stretto. La postilla della Casa Bianca potrebbe bastare ai cinesi per derubricare cosmeticamente la vicenda a una gaffe di Biden. In realtà è perfetta espressione dell’ambiguità strategica americana nei confronti di Taipei, cui Washington fornisce sostegno militare senza elevare – per ora – il rapporto bilaterale a vera alleanza.
Secondo, da tempo Pechino contempla nei piani di attacco a Taiwan la necessità di respingere contemporaneamente una possibile intromissione di Usa e Giappone. Ciò spiega l’aumento delle operazioni dell’Epl nello Stretto di Miyako, tra l’isola e l’arcipelago nipponico. Qui in futuro navi cinesi potrebbero applicare un blocco navale mentre altre unità conducono lo sbarco anfibio più a sud, magari in prossimità di Taipei e Kaoshiung.
Insomma, un’aspra reazione del governo e dei media cinesi alle parole di Biden è probabile, ma difficilmente queste ultime spingeranno la Repubblica Popolare a concrete contromisure.