LA MOGLIE DEL SOLDATO: I SEGRETI DEL FILM CHE HA ‘INVENTATO’ LO SPOILER
Il 30 ottobre 1992 esordiva nelle sale britanniche La moglie del soldato, straordinario melodramma a tinte noir destinato a incantare il pubblico con un colpo di scena entrato negli annali del cinema: a venticinque anni di distanza, torniamo ad esplorare i numerosi motivi di fascino del capolavoro di Neil Jordan.

APPROFONDIMENTO di STEFANO LO VERME — 30/10/2017

È lecito domandarsi quale sarebbe stata la sorte di un'opera come La moglie del soldato se fosse uscita nelle sale oggi, anziché venticinque anni fa. Nell'epoca del predominio dei social media, laddove lo spoiler è lo spauracchio in assoluto più temuto tanto dai fan quanto dagli addetti ai lavori, ormai ci appare pressoché impossibile supporre che un film o una serie TV siano in grado di conservare i propri 'segreti' oltre lo spazio di qualche ora, se non addirittura di pochi minuti.
Pertanto, chissà quale sarebbe stata la fruizione in epoca odierna di cult come Psycho, Il pianeta delle scimmie, I soliti sospetti o Il sesto senso: pellicole che nei rispettivi colpi di scena hanno trovato non soltanto un elemento di indiscutibile forza narrativa, ma anche un mezzo per alimentare la curiosità del pubblico... una curiosità che, contrariamente a quanto avviene oggi, si propagava nell'arco di settimane e di mesi. E forse nessun film ha saputo sfruttare il potenziale di un mistero inconfessabile, da scoprire soltanto nel buio nella sala, con un acume paragonabile a quello de La moglie del soldato.
Proiettato fuori concorso alla Mostra di Venezia il 2 settembre 1992 e il 18 settembre al Festival di Toronto, il capolavoro scritto e diretto da Neil Jordan faceva il suo debutto in patria il 30 ottobre, esattamente un quarto di secolo fa. A chi non l'avesse ancora visto, raccomandiamo di sospendere qui la lettura e, senza informarsi oltre, di fidarsi di noi e recuperare appena possibile questo imperdibile gioiello; dopo potrete tornare a leggere con calma (e a ringraziarci per il consiglio). Di seguito, infatti, ripercorreremo la storia di quell'indimenticabile colpo di scena, ma anche gli altri ingredienti che hanno reso La moglie del soldato uno dei più bei film degli ultimi venticinque anni.
Quando, il 30 ottobre, The Crying Game (il titolo iniziale, The Soldier's Wife, era stato cambiato da Jordan su suggerimento nientemeno che di Stanley Kubrick) arriva nelle sale in Gran Bretagna, l'accoglienza non è particolarmente calorosa. Il 12 ottobre un ordigno dell'IRA era esploso in un pub a Covent Garden, provocando una vittima e quattro feriti: si trattava di una delle numerose azioni terroristiche dell'Irish Republican Army che, nel corso di quell'autunno, avrebbero riportato in primo piano le tensioni fra gli indipendentisti irlandesi e il governo britannico. Il fatto che la pellicola di Neil Jordan offrisse un ritratto simpatetico di un militante dell'IRA costituisce una spinosa ragione di controversia; a peggiorare la situazione si aggiunge il recente fallimento della casa di produzione del film, la Palace Pictures. Il responso della critica, in compenso, è positivo all'unanimità, e alla Miramax ci vedono abbastanza lungo da acquistare La moglie del soldato (dopo un precedente rifiuto) per distribuirlo a fine novembre negli Stati Uniti e spalleggiarlo durante la "stagione dei premi".
La strategia ripaga oltre le più ottimistiche previsioni: forte di un passaparola strepitoso e di una campagna di marketing che, grazie alla reticenza complice dei critici, fa leva su un 'segreto' da tenere scrupolosamente nascosto, La moglie del soldato registra cifre sempre più alte al box office, mentre nei mesi a venire il successo americano rimbalza anche in Gran Bretagna e nel resto del mondo. In patria The Crying Game vince il BAFTA Award come miglior film britannico, ma è l'Academy a certificare la sua consacrazione: dopo aver raccolto una decina di trofei sul suolo americano, inclusi il Producers Guild Award e il Writers Guild Award, a febbraio La moglie del soldato ottiene sei nomination agli Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attore per Stephen Rea. Il 29 marzo, Neil Jordan si aggiudica il premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale; il film rimarrà nelle sale ancora per diverse settimane, totalizzando nei soli Stati Uniti sessantadue milioni di dollari d'incasso (abbastanza da finire nella Top 20 annuale) e ben quindici milioni di spettatori. Nel 1999, invece, il British Film Institute lo inserirà al ventiseiesimo posto nella sua classifica dei cento capolavori del cinema britannico.
Uno dei tratti distintivi del cult movie di Jordan risiede nella sua refrattarietà ai tentativi di catalogazione: La moglie del soldato è un'opera impossibile da racchiudere in un genere specifico, un bizzarro ibrido che muta forma più volte nel corso della visione. Un'ambiguità narrativa che si fa riflesso di un'analoga ambiguità tematica, e che punta a spiazzare il pubblico fin dal poster, ormai iconico: quel primo piano in bianco e nero di Miranda Richardson, con lo sguardo minaccioso e una pistola fumante stretta fra le dita. Nella prima parte, del resto, il film si presenta come un dramma a sfondo politico: la melodia romantica dell'incipit, When a Man Loves a Woman di Percy Sledge, cede il posto infatti a una repentina svolta da thriller con il rapimento di Jody (Forest Whitaker), soldato britannico di stanza nell'Irlanda del Nord, sequestrato da un commando dell'IRA di cui fa parte anche Fergus (Stephen Rea).
Ma nel copione di Jordan, i richiami ai cosiddetti Troubles non costituiscono che un mero pretesto. Né Jody, né tantomeno Fergus paiono animati da una reale coscienza politica, e nel loro rapporto di vittima e carnefice subentra fin da subito la dimensione privata: una sorta di intimità nata sotto il segno di un umanesimo che trascende l'appartenenza a fazioni opposte. La moglie del soldato si apre proprio in questo modo: come la storia di un'amicizia inaspettata, nata nelle circostanze più assurde e destinata a un tragico esito. Non prima però che Jody, consapevole della probabilità di non sopravvivere, ottenga da Fergus una solenne promessa: recarsi a Londra per assicurarsi che Dil, la compagna di Jody, sappia di essere stata nei pensieri del partner fino all'ultimo istante. Una promessa che l'uomo deciderà di mantenere, lasciando che il thriller ceda il posto ai sentimenti, con l'incipiente attrazione per quella giovane parrucchiera che di sera si esibisce come cantante in un night club.
Sono già trascorsi quasi quaranta minuti quando incontriamo per la prima volta Dil, la "moglie del soldato", personaggio-chiave del film: un connubio di languida sensualità e di sottile ritrosia, capace di manifestare grinta o dolcezza. Una damsel in distress, che nell'ex combattente dell'IRA suscita un immediato istinto di protezione, ma soprattutto una "donna del mistero" che sul palco, con un abito dorato e gestualità da odalisca, sfodera una grazia ammaliante mentre intona i versi di The Crying Game, malinconica ballata di Dave Berry. Il "gioco del pianto", con la sua inesorabile alternanza fra baci e singhiozzi ("First there are kisses, then there are sighs"), è esattamente il gioco in cui finirà avviluppato Fergus, mentre quello che era partito come un racconto sull'IRA assume le sembianze di un melodramma che si dipana a poco a poco, e che dopo la prima metà della pellicola ci riserva quel famigerato colpo di scena: l'affascinante Dil è in realtà un maschio.
Era la sfida quasi impossibile de La moglie del soldato, l'elemento da cui dipendeva la riuscita dell'intero progetto: trovare un attore in grado di calarsi in un ruolo tanto complesso e, fattore ancora più importante, di trarre in inganno gli spettatori fino alla sequenza clou. Una scommessa vinta da Jordan grazie a un interprete semplicemente perfetto: il ventiquattrenne Jaye Davidson, nato in California ma con radici africane e inglesi, 'scovato' per caso durante un party di Derek Jarman e privo di esperienze nella recitazione. Dotato di un viso di androgina delicatezza, nonché di un talento stupefacente nell'esprimere l'essenza femminile di Dil, Davidson è la vera arma vincente del film: un'indefinibile femme fatale, l'oscuro oggetto di un desiderio che non conosce regole né etichette. Per la sua magnifica prova nei panni di Dil, Jaye Davidson ottiene la candidatura all'Oscar come miglior attore supporter; due anni più tardi tornerà sul set per prestare il volto al malefico Ra nel blockbuster di fantascienza Stargate di Roland Emmerich, ma si tratterà della sua ultima apparizione al cinema.
Ma La moglie del soldato non esaurisce qui le sue sorprese: dopo il romanticismo della parte centrale, completamente focalizzata sulla relazione tra Fergus e Dil, la sceneggiatura imprime un'altra svolta alla trama, con l'improvvisa ricomparsa di un personaggio che pareva essere uscito di scena. Complice del sequestro di Jody, la Jude interpretata da Miranda Richardson piomba nel film all'improvviso come una donna-fantasma, scampata alla rappresaglia delle truppe britanniche e determinata a ritrascinare Fergus in quell'esistenza che l'uomo credeva di essersi lasciato alle spalle. È lei ad assestare alla storia una brusca virata verso i territori del noir, e la Richardson (in quello stesso anno da applauso anche ne Il danno di Louis Malle) disegna una dark lady da antologia: a partire dal suo rinnovato look, con tanto di caschetto bruno e guanti scuri, Jude incarna l'anima nera dell'opera e di Fergus, braccato dalle lunghe ombre di un passato che non sembra lasciargli scampo.
Il nuovo plot innestato nell'intreccio, ovvero il piano dell'IRA per assassinare un anziano giudice inglese, è un classico MacGuffin di ispirazione hitchcockiana, ma è necessario a creare un punto di congiunzione tra le due vite di Fergus, la cui doppiezza (a Londra si fa chiamare con un altro nome, Jimmy) fa da contraltare, su un piano etico, alla duplice natura di Dil, creatura ermafrodita ammantata di purezza. Il risultato sarà un 'corto circuito' che costringerà il protagonista, come da tradizione per gli antieroi del cinema noir, a risolvere i conti con se stesso e con gli spettri della sua coscienza, cercando un riscatto morale che tuttavia metterà a repentaglio sia lui, sia l'ignara Dil, in un susseguirsi di twist narrativi e di rovesciamenti nei rapporti di forza fra i personaggi.
Come abbiamo provato ad illustrare, sarebbe riduttivo ed ingiusto racchiudere la profonda bellezza de La moglie del soldato in un singolo colpo di scena, per quanto memorabile esso si sia dimostrato (al punto da aver dato luogo a numerose citazioni e parodie). Nel film più apprezzato della propria carriera, Neil Jordan costruisce un meccanismo formidabile per la fluidità con cui oscilla da un genere all'altro, per il tenebroso fascino con cui irretisce lo spettatore e per la sua abilità nel coinvolgerci nelle sorti dei protagonisti. Ma l'aspetto probabilmente più interessante, nonché il più potente di The Crying Game, consiste nella sua riflessione sulla natura totalmente libera, inafferrabile, arcana dell'amore. La moglie del soldato ci fa vivere la passione tra Fergus e Dil con un perturbante senso di vertigine: è un'opera che dipinge il desiderio come l'affacciarsi sull'orlo di un baratro di cui non si vede la fine, ma nel quale si è tentati di tuffarsi, attirati da un richiamo irresistibile.
Può darsi, allora, che non sia un caso se il film si chiude con la favola della rana e dello scorpione, già raccontata in precedenza da Jody a Fergus e nel finale ripetuta da quest'ultimo a Dil: un'allegoria sull'irrazionalità delle nostre scelte e sull'impossibilità di sottrarsi alla propria natura. È forse la vera ragione dell'incanto sprigionato dal sentimento tra Fergus e Dil: un sentimento che va oltre le nozioni di eterosessualità, omosessualità e transgenderismo, configurandosi prima di tutto come l'unione, unica e irripetibile, fra due esseri umani. È, in fondo, il motivo che ci spinge a cimentarci con il "gioco del pianto", nonostante tutti i rischi, e ad abbandonarci alla sua spaventosa meraviglia.

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