Originariamente Scritto da
Giò
Quando nel 1926 l'allora governo fascista procedette ad una riforma della legislazione ecclesiastica, da parte vaticana si reagì elogiando i miglioramenti che il regime s'apportava a compiere ma ricordò che, non essendo ancora stata data soluzione alla questione romana, la Santa Sede non poteva che denunciare il carattere unilaterale della predetta legislazione. Mussolini ebbe in merito uno scambio epistolare con l'allora ministro Rocco, coinvolto nella riforma della legislazione ecclesiastica. Nella lettera di Mussolini a Rocco, che fu resa pubblica solo diversi anni dopo, è possibile leggere quanto segue: "Il regime fascista, superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato così il principio dell'agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia. Con profonda fede nella missione religiosa e cattolica del popolo italiano, il Governo Fascista ha proceduto metodicamente, con una serie di atti amministrativi e di provvedimenti legislativi, a restituire allo Stato e alla Nazione italiana quel carattere di Stato cattolico e di Nazione cattolica, che la politica liberale si era sforzata, durante lunghi anni, di cancellare. E ciò il regime fascista ha fatto con piena spontaneità e con assoluto disinteresse, senza esitazioni né deviazioni, anche quando i suoi sforzi erano misconosciuti o scarsamente riconosciuti, solo come adempimento di un alto dovere, non come strumento o, peggio ancora, come espediente politico. È logico pertanto che il Governo Fascista giudichi con piena serenità le attuali manifestazioni della Santa Sede e le reputi degne della più attenta considerazione. Non si può certo negare a priori la possibilità di un migliore assetto giuridico dei rapporti tra la Santa Sede, considerata come organo centrale e supernazionale della Chiesa Cattolica, e lo Stato italiano, allo scopo di meglio garantirne la libertà e l'indipendenza, anche per via di accordi bilaterali, e anche se da tali accordi dovesse derivare una revisione della legge delle guarantigie. Questa sistemazione non potrebbe avere in via pregiudiziale altri limiti che quelli della esclusione di ogni straniera ingerenza nei rapporti tra la Santa Sede e l'Italia, e il rispetto della unità nazionale e della integrità dello Stato. (...) Ho sempre ritenuto il dissidio tra la Chiesa e lo Stato funesto per entrambi, e storicamente fatale, in un tempo più o meno lontano, il suo componimento. Se le notizie che stai per ricevere lo annunzieranno prossimo, ne avrò profonda gioia. Se altrimenti fosse, continueremo, in attesa di tempi migliori, a compiere, come per l'innanzi, con ferma coscienza, il nostro dovere di italiani e di cattolici" (Roma, 4 maggio 1926). Dopo che le trattative per la stipulazione dei Patti Lateranensi furono concluse, dalle memorie di Edvige Mussolini, sorella del Duce, sappiamo che Benito disse a sua nipote Rosetta Mancini: "Quando leggerai sui giornali la notizia dei Patti tra lo Stato italiano e la Chiesa, ricordati del segno della Croce che mia madre, tua nonna, mi tracciava sul capo ogni sera, mentre io mi addormentavo nella nostra povera casa di Dovia". Stante ciò, ti domando: come fai ad essere tanto sicuro che si trattasse "solo" di ego politici contrapposti e non di convinzioni differenti che si confrontavano e, in una certa misura, scontravano?
No: la logica del male minore sarebbe ritenere una determinata forma di governo illegittima ma da sopportare quel tanto che basta per evitare mali più gravi di quella stessa forma di governo. Qui invece si parla di legittimità morale e giuridica. Ricorda le parole di Pio XII in un noto discorso del 20 febbraio 1949: "La Chiesa di Cristo segue il cammino tracciatole dal divin Redentore. Essa si sente eterna; sa che non potrà perire, che le più violente tempeste non varranno a sommergerla. Essa non mendica favori; le minacce e la disgrazia delle potestà terrene non la intimoriscono. Essa non s’immischia in questioni meramente politiche od economiche, né si cura di disputare sulla utilità o il danno dell’una o dell’altra forma di governo. Sempre bramosa, per quanto da lei dipende, di aver pace con tutti (cfr. Rom. 12, 18), essa dà a Cesare ciò che gli compete secondo il diritto, ma non può tradire né abbandonare ciò che è di Dio". Alla Chiesa non interessa la forma di governo che un popolo si dà. Alla Chiesa interessa che questa forma di governo non menomi i diritti della Chiesa, della famiglia, dei corpi intermedi e degli individui, a prescindere dal fatto che essa sia monarchica, aristocratica o democratica. Questo non toglie che è lecito preferire una certa forma di governo ad un'altra - tant'è che lo stesso San Tommaso d'Aquino disse più volte che la monarchia tra le forme di governo "pure" era la migliore ed espresse il suo gradimento per la cosiddetta "monarchia temperata". Ma un conto è esprimere una preferenza tra diverse opzioni legittime, mentre un conto è ritenere la monarchia la sola forma di governo "buona" o "legittima" che dir si voglia.
Tale principio va applicato anche quando si tratta dei regimi autoritari e/o totalitari. Lo Stato totalitario (o autoritario) antireligioso non può essere accettato in via di principio dalla Chiesa perché menoma i suoi diritti e si fonda su presupposti incompatibili con il diritto naturale ed il diritto divino-positivo. Nemmeno può essere accettato in via di principio quando, pur non negando direttamente i diritti della Chiesa, annulla (o tende ad annullare) i diritti fondamentali della persona umana, delle formazioni sociali intermedie e delle famiglie in quelli dello Stato, che peraltro in tal modo vengono deformati ed estesi in modo eccessivo. Un totalitarismo che assorbe completamente o quasi la persona umana, così come un autoritarismo che traccia un solco profondo tra dominatori e dominati (coi primi che finiscono per opprimere i secondi) non sono legittimi. Ma quando uno Stato totalitario e/o autoritario riconosce a se stesso dei limiti e non fa altro che attuare un regime in cui l'autorità politica ha una certa preponderanza, per quanto significativa, sulle libertà democratiche la Chiesa non ha motivo di opporsi.
Ciano è una figura che ha diverse luci, ma anche molte ombre. Quella di Bottai invece, a mio avviso, fu una figura più disinteressata.
Nella descrizione dell'ur-fascismo fatta da Eco "manca la religione che è rivelata da Dio" perché ne viene negato il presupposto stesso, che è ciò che tu correttamente chiami "religione naturale". Eco si pone nel solco di quella negazione del soprannaturale tipica del razionalismo moderno. Il fascismo, invece, riconosce esplicitamente la dipendenza della creatura (l'uomo) dal Creatore (Dio) e riconosce che da tale dipendenza scaturiscono, per l'uomo stesso, dei doveri da ottemperare con il culto e con le opere. Siamo ben al di fuori dell'ateismo. È proprio questo uno degli aspetti che gli eredi della "modernità ideologica" più non possono tollerare del fascismo. Se in più ci aggiungi il fatto che, storicamente, il fascismo italiano non solo respinse l'ateismo, ma evitò lo scoglio dell'indifferentismo religioso dichiarando il cattolicesimo "quella religione ch'è dei nostri padri e nella quale crediamo" (Benito Mussolini, discorso pronunciato a Villa Glori, a Roma, il 28 marzo 1926 in occasione del settimo anniversario della fondazione dei Fasci), capirai perché l'accanimento verso il fascismo da parte delle forze politiche sovversive persiste.
A mio avviso, ci sono diversi elementi che impediscono di collegare fascismo e giacobinismo sul piano dei contenuti. Nel giacobinismo l'idea di nazione è concepita in termini democratico-plebiscitari, mentre nel fascismo il concetto di nazione è assunto e declinato secondo i termini dell'organicismo politico-sociale. Nel giacobinismo lo Stato è comunque espressione di un contratto sociale che presuppone individui originariamente isolati fra loro che s'accordano per vivere assieme, mentre nel fascismo è riconosciuto come società necessaria al di fuori della quale non è possibile alcuna convivenza civile. Ma la differenza ancora più profonda e significativa è data dal fatto che il giacobinismo pretende di rinnovare la società facendo piazza pulita delle tradizioni storiche e di larga parte del vissuto precedente del popolo, collocandosi su un piano utopico, mentre invece il fascismo, pur dicendo di voler forgiare l'italiano nuovo, intende innovare mantenendo una continuità col passato, seppur senza accettarlo acriticamente, e rispettando i limiti dati dalla realtà oggettivamente conosciuta. Ne abbiamo diverse prove anche da varie citazioni di Mussolini. Ecco alcuni esempi:
- nel discorso di Ferrara del 4 aprile 1921, disse: "(...) noi fascisti diciamo che, al di sopra di competizioni e dissidi, c'è una realtà unica, comune a tutti quanti, ed è la realtà della nazione, ed è la realtà della patria, alla quale siamo tutti legati come l'albero attraverso le sue radici è legato alla terra che lo ha fecondato";
- "Domandiamo: che cosa significa originale? Una cosa, forse, mai detta, mai vista, mai pensata, mai fatta? Allora di originale nell'universo non c'è che la creazione ordinata da Dio, secondo si legge nella Genesi. Tutto il resto è derivato. Dopo tre o quattro millenni d civiltà, è difficile essere originali in politica, in arte, in filosofia, in matematica e in tutto il resto. L'adagio latino Nihil sub sole... è una sintesi di saggezza. E il nuovo dovrebbe essere costituito dal programma fascista? Per quanto orgogliosi, non giungiamo a simili aberrazioni. Non intendiamo di avere scoperto l'America e nemmeno la polvere. Non abbiamo voluto dar fondo allo scibile. Non abbiamo la pretesa grottesca di considerarci gli apportatori di un nuovo vangelo per la salvezza degli italiani. Abbiamo il senso del limite, il senso delle possibilità e rifuggiamo dai deliri di grandezza" - così in un articolo pubblicato su "Il Popolo d'Italia" del 14 ottobre 1921;
- nel discorso al Senato del 27 novembre 1922, il Duce disse: "Non intendo improvvisare del nuovo: l'esempio delle altre rivoluzioni m'insegna appunto che non si può dar fondo all'universo e che ci sono dei punti fondamentali nella vita dei popoli che conviene rispettare";
- in un discorso al popolo di Perugia, dichiarò: "Forse noi siamo i portatori di un nuovo sistema politico; siamo i portatori di un nuovo tipo di civiltà e questo tipo di civiltà parte da presupposti lapidari, infrangibili e fondamentali in tutte le società umane" (5 ottobre 1926);
- nel settimo capitolo della sua autobiografia, uscita nel 1928, dichiarò che "non esiste una rivoluzione che possa cambiare la natura degli uomini";
- nella seconda parte della Dottrina del Fascismo (1932), Mussolini scrisse che lo Stato fascista "non crea un suo dio così come volle fare a un certo momento nei delirî estremi della Convenzione, Robespierre né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo. Il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio così com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo".
Nella prima citazione viene espresso il concetto che siamo tutti legati dalla patria comune e che nessuna progettualità politica può prescindervi; nella seconda è respinta ogni pretesa di originalità assoluta; nella terza si prende atto degli esempi del passato per trarne la conclusione che, oltre un certo limite, non si può cambiare la società; nella quarta si dice che il nuovo tipo di civiltà voluto dal fascismo parte da premesse essenziali ad ogni società, dalle quali nessuno può prescindere; nella quinta è escluso che una rivoluzione politica possa avere un valore palingenitico tale da mutare la natura degli esseri umani; la sesta citazione non necessita di molte spiegazioni, essendo sufficientemente chiara.