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  1. #21
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    Predefinito Re: Umberto Eco ha fatto anche cose buone? (Discussione sull'UR Fascismo)

    Ha fatto certamente una cosa buona: l'ultima in assoluto che è la stessa per tutti gli uomini.

  2. #22
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    Predefinito Re: Umberto Eco ha fatto anche cose buone? (Discussione sull'UR Fascismo)

    Citazione Originariamente Scritto da Pestis nigra Visualizza Messaggio
    La mia opinione è che Eco non va letto e non bisogna avere opinioni al riguardo.
    Un falò è meglio.

  3. #23
    SMF
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    Predefinito Re: Umberto Eco ha fatto anche cose buone? (Discussione sull'UR Fascismo)

    Citazione Originariamente Scritto da emv Visualizza Messaggio
    Il fatto che il Regno d’Italia dei Savoia sia diventato giuridicamente legittimo perchè realtà di fatto non legittima certo la cosa agli occhi di Dio. A cui la politica che si vuol dire Tradizionale va sempre riportata. Mi riferisco al Legittimismo che comprende non solo la Legittimità d’origine (la politica di Restaurazione del Congresso di Vienna) ma anche la Legittimità d’esercizio. Il concetto che l’autorità regale è di emanazione divina ha effetti che sono analoghi a quelli dell’autorità del Papa. Ne deriva il concetto della legittimità d’esercizio che va perduta se il sovrano pur legittimo d’origine, non mostra di voler esercitare la sua regalità come divina e se attua politiche scellerate liberali come ad es. quella di Carlo Alberto caduto nell’illegittimo esercizio con il suo appoggio ai protestanti svizzeri, la sua politica di espansione ai danni degli Stati italiani per rovesciare legittime monarchie sacre in monarchie costituzionali.

    Il Principe di Modena Francesco d’Este-Austria (ramo cadetto degli Asburgo), futuro Francesco V, riteneva il progetto unitario pernicioso perché contrario alla legittimità e ai diritti dei Sovrani d'Italia e pertanto aveva il desiderio di costituire una Confederazione Italiana degli stessi. Il progetto, con una presidenza dell’Imperatore d’Austria, era all’unanimità condiviso dai principi e trovò l’unica opposizione in Italia nello Stato sabaudo di Carlo Alberto.

    Il fatto che Benedetto XV abbia tolto il Non expedit ho dei dubbi che sia stata una buona mossa.

    Come anche il rifiuto di Pio VII di partecipare al progetto mistico di Santa alleanza, dello Zar Alessandro I: non avrebbe potuto salvare lo Stato Pontificio dall'invasione?

    Pio XII si riferisce alla Chiesa che non ha preferenze, d’altronde la Chiesa ha abbandonato dal Medioevo la dottrina dell’azione diretta nella politica, preferendo l’azione indiretta. Forse queste mosse sono state funzionali la salvare la Chiesa e farla giungere fino ai nostri giorni, dobbiamo pensare che sia così. Ma come dici tu stesso possiamo, noi non chierici, avere preferenze. Ora io sto riflettendo sulla questione del Legittimismo. Sono lecite preferenze diverse da quella della Monarchia sacra tradizionale?

    Se la Chiesa ci deve essere maestra possiamo dedurre dal suo esempio che sia giusto fare quello che è possibile appoggiando le forme meno peggiori che la politica ci offre. Questo con la testa, ma con il cuore si dovrebbe monarchici sacri. Perché se non ci è possibile perseguire la Monarchia sacra in politica, visto che oggi come oggi una monarchia costituzionale è pura utopia e una legittima monarchia sacra è roba da universi paralleli, va bene ma il vero ideale rimane quello: ciò che ci è possibile oggi è solo una monarchia spirituale. Ciò che non possibile oggi un giorno lo sarà. Ho votato ma non potrò mai amare chi ho dovuto votare.

    Lo Stato Italiano dal 1870 è oggettivamente illegittimo in tutte le sue forme e ciò è vero come è vero che esiste il Peccato originale.
    Ma è tutto il mondo ad essere illegittimo. Questo non vuol dire che non gli si debba obbedire perchè anche se indegne le forme statuali odierne sono pur sempre l'immagine dell'autorità paterna divina.
    Facciamo alcune precisazioni sulle premesse dalle quali partire, @emv.

    L'indifferenza tra le diverse forme di governo, entro i limiti del rispetto della legge naturale, dei diritti della Chiesa e del bene comune della società, è parte integrante della dottrina della Chiesa. L'insegnamento di Papa Leone XIII, rinvenibile nell'Enciclica Libertas del 1888, n'è prova sufficiente: "Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa". Tale insegnamento ricalca quello espresso da San Tommaso d'Aquino sia nella Summa theologiae che nel De regimine principum. È lecito preferire, almeno in astratto, una forma di governo ad un'altra, ma non è lecito, senza contraddire il Magistero della Chiesa, considerare illegittime forme di governo in sé lecite. Perciò, è lecito preferire la monarchia all'aristocrazia o alla democrazia, ma non è ammesso ritenere la democrazia o l'aristocrazia in se stesse illegittime. Va da sé che qui non s'intende la democrazia nel senso moderno del termine, con tutte le implicazioni ideologiche del caso, bensì un sistema rappresentativo caratterizzato da un certo livello di partecipazione popolare, tendenzialmente più esteso che nelle monarchie o nelle aristocrazie "pure", che ha storicamente trovato riscontro in diverse realtà del mondo antico pre-cristiano, del Medioevo cattolico e dell'età della Controriforma cattolica.

    Con questo argomento non c'entra in senso stretto la questione della potestas directa in temporalibus della Chiesa: i sostenitori di questa tesi, reputano anch'essi ogni forma di governo legittima entro i limiti summenzionati. Quello che però aggiungono è che, qualsiasi forma di governo assuma un determinato Stato, la Chiesa ha un potere d'intervento diretto negli affari temporali. Questa tesi è divenuta col tempo sempre più minoritaria tra i teologi e i dotti di Santa Romana Chiesa, dopo che S. Roberto Bellarmino elaborò la tesi della potestas indirecta in temporalibus, nonostante l'iniziale diffidenza con la quale fu accolta. Diversi autori cattolici ritengono che, implicitamente, la tesi del card. Bellarmino fosse già stata insegnata nel Medioevo. Altri no, perché reputano che, nel Medioevo, la tesi prevalente fosse quella della potestas directa. Se volessimo assumere quest'ultima opinione, dovremmo constatare che, anche quando i teologi e gli studiosi cattolici tendevano a sposare la tesi del potere diretto sugli affari temporali da parte della Chiesa, l'autorità ecclesiastico-pontificia non ebbe mai preclusioni verso forme di governo diverse da quella monarchica. Si pensi al fatto che la Repubblica di Venezia era un sistema di governo misto, con elementi aristocratici e democratici: la Chiesa non ne condannò mai le istituzioni politiche e giuridiche. La stessa opera di difesa delle libertà comunali dalle ingerenze imperiali da parte della Chiesa e dei Papi in particolar modo può essere considerata un'opera di difesa di realtà il cui reggimento politico interno era di tipo misto (chiaramente con variazioni locali dettate dalla diversità delle varie situazioni esistenti all'epoca).

    Riguardo alla legittimità del potere politico, la distinzione alla quale sembri fare cenno è corretta: un conto infatti è possedere un titolo giuridico legittimo per l'esercizio del potere politico, un conto è invece esercitare legittimamente quel potere conferito dal possesso del potere politico. Tra le due cose c'è una distinzione, ma la questione è: quando l'esercizio illegittimo del potere politico diviene tale da far perdere la legittimità anche del titolo giuridico in virtù del quale si possiede l'autorità politica? Non è possibile dare una soluzione - per così dire - "matematica" al problema, perché molto dipende dalle circostanze. In linea di massima, i criteri che la dottrina cattolica offre, in accordo con la legge e il diritto naturale, sono questi: quando la persona fisica o morale che possiede l'autorità legittimamente, ne abusa gravemente e ripetutamente in modo certo (o travalicando dai limiti che gli sono riconosciuti dalle leggi o violando i diritti della Chiesa o violando la legge naturale o recando un danno particolarmente nocivo al bene comune), è lecito procedere alla destituzione di colui o coloro che detengono il potere, osservando le debite precauzioni e purché si sia ragionevolmente certi che, così facendo, non si rechino alla società più danni di quelli ai quali si vorrebbe porre rimedio. Un altro caso è quello di chi, pur avendo un titolo giuridico legittimo per governare, di fatto finisce per non esercitarlo più oppure per esercitarlo in modo gravemente deficitario al punto da recare un grave danno al bene comune della società. In concreto, è molto difficile individuare il momento esatto in cui l'abuso, il mancato uso o l'uso gravemente deficitario dell'autorità legittima porta alla perdita del titolo giuridico. È una questione la cui soluzione è demandata all'esercizio della virtù della prudenza.

    Per restare in tema di legittimità del potere politico, va detto che i titoli giuridici legittimi in virtù dei quali si ha l'autorità politica sono i seguenti: elezione, eredità, vittoria nella guerra giusta, cessione, donazione, presa di possesso del potere del primo occupante previo abbandono dell'autorità da parte di chi in precedenza la deteneva e la prescrizione. Affine al titolo giuridico derivante dalla vittoria nella guerra giusta c'è quello dato dal successo di un'eventuale rivoluzione (intendo il vocabolo in senso neutro, per quanto possibile) contro un potere divenuto illegittimo. Quello che però qui c'interessa è l'utimo titolo che ho menzionato: la prescrizione. Questo titolo sorge in due casi: 1) quando il governo di uno Stato, originariamente illegittimo, si stabilizza, resta in pacifico possesso del potere politico e realizza, almeno in una certa misura, il bene comune della società, purché la restaurazione dello status quo ante sia divenuta fisicamente o moralmente impossibile (o quanto meno estremamente remota); 2) quando uno Stato sorto per effetto di un atto di usurpazione, si stabilizza e la sua autorità politica (originariamente tale solo de facto e non de jure) entra in pacifico possesso del potere e realizza il bene comune della società, almeno in una certa misura, purché il ripristino dei diritti sovrani precedenti violati dall'usurpazione sia divenuto impossibile moralmente o fisicamente, se non a detrimento della società medesima.
    Il titolo giuridico di prescrizione non rende moralmente e giuridicamente legittimo l'abuso dal quale è derivato il possesso di fatto del potere politico, che resta qualcosa di ingiusto. Esso sorge solo ed esclusivamente perché qualsiasi società politica organizzata necessita di un'autorità politica che la governi e ripugna all'ordine politico e giuridico conforme al diritto naturale che una società sia stabilmente senza una vera autorità che la guidi. Infatti, in casi del genere, si parla di "legittimità sopravvenuta", conforme alla dottrina dell'andamento progressivo del governo di fatto, come la definì p. Luigi Taparelli d'Azeglio nel famoso "Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto".

    Esposte tali premesse, ne possiamo concludere che:

    - se è possibile considerare la "monarchia sacrale" cattolica il miglior modello politico, non è illecito preferire altre forme di governo, purché siano anch'esse rispettose dei diritti della Chiesa e conformi al bene comune ed alla legge naturale;

    - l'unificazione politica della nazione italiana, avvenuta per mano delle truppe sardo-piemontesi, mosse dai governi liberali del Regno sabaudo, fu priva di un titolo giuridico legittimo. Nelle circostanze dell'epoca, l'unica opzione lecita sarebbe stata quella confederale, così come avrebbe voluto Papa Pio IX;

    - il Regno d'Italia diventò Stato legittimo nel momento in cui la dinastia sabauda ed il regio governo mostrarono segni di essere entrati in pacifico possesso del potere, di aver stabilizzato il proprio controllo politico sui territori acquisiti e sui cittadini ivi residenti e di non poter più ragionevolmente temere una restaurazione dello status quo ante. È vero che la mancata risoluzione della questione romana e l'esistenza di leggi ostili, talvolta apertamente, talvolta larvatamente, nei confronti della Chiesa possono mettere in dubbio che l'autorità politica del Regno d'Italia perseguisse il bene comune della società, ma va onestamente riconosciuto che, persino sotto pessimi governi, se non tutto il bene comune venne perseguito, almeno una parte significativa, sufficiente a far sussistere la società nel suo complesso, sì. Va in più aggiunto che, se è vero che l'avvento del fascismo segnò una rottura netta con il passato anticlericale dello Stato liberale risorgimentale, non si può negare che, col tempo, il rigore di certa pessima legislazione liberale anticlericale era stato mitigato anche prima del 1922, seppur in modo insufficiente. È arduo individuare "scientificamente" il momento esatto in cui avvenne tale legittimazione: credo che sia conforme ad un criterio di prudenza, attenerci alle decisioni che presero i Pontefici dell'epoca, cioè San Pio X e Benedetto XV. Infatti, il primo attenuò il non expedit ed il secondo lo abolì interamente. Se ne può dedurre che la legittimazione avvenne in quel periodo. Del resto, dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, avvenuta peraltro anche col tributo di sangue di innumerevoli soldati e cappellani militari cattolici, chi mai avrebbe potuto pensare alla realistica possibilità di una restaurazione degli Stati pre-unitari?

    Riguardo alla decisione pontificia di non voler entrare nella Sant'Alleanza, posso dirti che il Pontefice non avrebbe mai potuto aderire ad un'intesa del genere, stante i presupposti religiosamente ambigui dai quali partiva. L'alone mistico che sembrò circondarla non poteva nascondere il fatto che si trattava dell'unione di tre sovrani appartenenti a tre confessioni religiose differenti ed in conflitto tra loro: la cattolica, la luterana e la scismatica orientale. Del resto, se lo Stato pontificio avesse fatto parte della Sant'Alleanza, sarebbe stato parte in causa in conflitti di fronte ai quali era bene che il Papato fosse istanza super partes.

    Citazione Originariamente Scritto da emv Visualizza Messaggio
    Sono tutti veri gli argomenti che hai portato con dovizia di particolari ma poi c’è il calendario dell’Era fascista, quell’istituto per cui sui documenti ufficiali e sugli edifici si metteva insieme l’anno laico dalla marcia su Roma e l’anno cristiano. Non è questo un osare mettere sullo stesso piano i due poteri? Non richiama, certo anche in misura minore, il calendario giacobino?
    E pare che in qualche libro fosse stato utilizzato da solo senza più l’anno cristiano.

    Ecco io credo che, per il valore simbolico enorme, ciò dimostri che il Fascismo in nuce aveva questa tendenza e solo dover condividere la casa Italia l'abbia indotto a moderati consigli.
    Però anche qui vedi la grande differenza: il giacobinismo pretese di ridefinire il calendario e le festività, in antagonismo con la Chiesa e le tradizioni consolidate del popolo, mentre invece cosa fece il regime fascista italiano? Ben lungi dall'abolire le feste religiose, le riconobbe, equiparandole alle feste civili, che tutti dovevano rispettare. Le ricorrenze meramente civili del regime, che spesso erano ricorrenze di taglio patriottico (come il 4 novembre), affiancarono quelle della Chiesa. Così come l'era fascista affiancava, non sostituiva, la datazione tradizionale cristiana. Certamente poteva suonare un po' troppo altisonante o peggio ancora megalomane parlare di "era fascista", essendo pur sempre il fascismo un moto politico, per quanto epocale, ma se andassimo a vedere certe cronache tardoimperiali (anche a cristianizzazione già avvenuta) o medievali, non vedremmo atteggiamenti così diversi nei confronti dei sovrani regnanti. Se non erro, era spesso abitudine nelle datazioni riportare, oltre che l'anno calcolato a partire dalla nascita di Cristo, anche l'anno calcolato a partire dall'inizio del dominio politico di un determinato monarca. Non è la stessa identica cosa, ovviamente, ma un'analogia è rinvenibile.

    Citazione Originariamente Scritto da emv Visualizza Messaggio
    Franco fece quello che poteva al meglio, non andò oltre i suoi limiti. Rimise il potere alla monarchia, purtroppo nessun principe ormai vuole esercitare la sua legittimità, contattò anche il Principe d'Asburgo-Austria Ottone ma nulla da fare. La Spagna aveva il suo antico problema del Carlismo ed Alfonsismo, il primo problema di legittimità in Europa. Il Caudillo pensò di affidare la corona all'illegittimo Juan Carlos perchè meno liberale, in ciò dimostrò il coraggio di cercare di rifondare la monarchia sacra e legittima.
    Penso che abbia fatto il massimo che poteva. Cerco gli equilibri erano faragginosi, perché il suo sistema era retto da uomini non da un'ideologia totalitaria o un burocratico statalismo.
    Credo che Francisco Franco dovette scontare il fatto che si ritrovò ad essere a guida dell'unico regime totalitario fascista d'impronta fortemente cattolica in un contesto internazionale segnato dalla sconfitta inequivocabile e rovinosa dei paesi dell'Asse, con i quali era stato precedentemente alleato. Franco allora dovette ridimensionare obtorto collo gli aspetti più strettamente totalitari e fascisti del suo regime, che già comunque presentava un'impostazione meno radicale di quello italiano, prediligendone quelli che più chiaramente erano riconducibili all'applicazione della sola dottrina sociale della Chiesa. Ciò però non bastò ad evitare alla Spagna un notevole isolamento internazionale, che iniziò a venir meno solo con l'inasprimento della guerra fredda, nelle cui dinamiche Franco fu abile ad inserirsi, ritagliando alla Spagna un ruolo che le permise di uscire da quell'autarchia forzata nella quale lo stigma delle origini del regime franchista l'aveva confinata. Purtroppo però questo comportò anche dei compromessi sul piano interno: il regime franchista infatti si resse sempre di più sugli equilibri politici venutisi a creare tra esercito, mondo cattolico/clero, elementi tecnocratici e movimento falangista. Il Caudillo cercò di mediare tra questi elementi (soprattutto a partire dalla fine degli anni '50), ora prediligendo l'uno, ora l'altro, a seconda delle circostanze e delle necessità. Ma questo, se da un lato consentì al regime di sopravvivere, dall'altro lato lo depotenziò molto.
    Ultima modifica di Giò; 29-09-22 alle 07:44 Motivo: correzione refusi
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    Predefinito Re: Umberto Eco ha fatto anche cose buone? (Discussione sull'UR Fascismo)

    Ti ringrazio per la piacevole conversazione @Giò, i tuoi specchietti tematici sono sempre molto istruttivi e, per quanto sono sostanziosi, mi è necessario ritagliarmi un certo tempo per cui a volte non riesco a rispondere subito.
    Rimango convinto che il giacobinismo abbia influito sul Fascismo anche se in un modo, diciamo invisibile, senza grandi tracce documentali, come effetto della grande bolla gnostica, che come sai è una mia tesi contro-storica di lettura degli eventi in chiave spirituale. In qualche modo questa è come una “forza” che agisce, mediante la suggestione, imprimendo un moto agli enti storici. E’ un fenomeno spiegabile secondo lo spirito del tempo hegeliano. Ma è una forza a cui ci si può sottrarre con una notevole forza di volontà.
    IN PALESTINA È GENOCIDIO! ROSA E OLINDO LIBERI SUBITO!
    FUORI DALLA NATO! FUORI DALLA UE! BASTA ECOFOLLIE GREEN!


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    Predefinito Re: Umberto Eco ha fatto anche cose buone? (Discussione sull'UR Fascismo)

    Citazione Originariamente Scritto da emv Visualizza Messaggio
    Ti ringrazio per la piacevole conversazione @Giò, i tuoi specchietti tematici sono sempre molto istruttivi e, per quanto sono sostanziosi, mi è necessario ritagliarmi un certo tempo per cui a volte non riesco a rispondere subito.
    Rimango convinto che il giacobinismo abbia influito sul Fascismo anche se in un modo, diciamo invisibile, senza grandi tracce documentali, come effetto della grande bolla gnostica, che come sai è una mia tesi contro-storica di lettura degli eventi in chiave spirituale. In qualche modo questa è come una “forza” che agisce, mediante la suggestione, imprimendo un moto agli enti storici. E’ un fenomeno spiegabile secondo lo spirito del tempo hegeliano. Ma è una forza a cui ci si può sottrarre con una notevole forza di volontà.
    Figurati, ringrazio te per avermi dato l'occasione di chiarire alcuni punti controversi o di difficile ricostruzione/interpretazione.

    Nel caso del rapporto tra giacobinismo e fascismo, credo che sia fondamentale distinguere tra ciò che è stato proprio del fenomeno fascista e ciò che invece lo ha influenzato a motivo del contesto storico, politico e culturale nel quale esso è sorto. D'altronde, è difficile sottrarsi completamente allo spirito dei tempi che si vivono ed inubbiamente quei tempi erano condizionati da un'eredità illuminista e laicista, nella quale rientrava anche il giacobinismo e che reputo legittimo ricondurre, almeno in una certa misura, alla gnosi, senza con ciò voler negare o minimizzare la complessità degli eventi e delle dinamiche storiche.
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