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    Predefinito BIBBIA - Commento sulla Storicità della Genesi, di P. Marco Sales

    Spesso i cattolici si sentono proporre l'argomento delle somiglianze della Genesi con i miti di altri popoli… di sicuro molti si saranno immaginati che la Chiesa tenesse nascoste queste similitudini e invece non è così, infatti, nelle note della Vulgata del 1911 di Padre Marco Sales, c’è tutto esposto dettagliatamente in modo che ognuno possa rendersi conto da sé. In questo testo il commentatore elenca le somiglianze e le differenze. E le differenze sono tante e importanti. E dunque, se nella Genesi ebraica ci sono contenuti originali che nelle altre genesi non ci sono è chiaro che il discorso della derivazione da quelle pagane non regge.

    Riporto il notevole commento del Sales.

    [Grassetti colorati personali].


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    Valore storico della Genesi. — Come già si è detto, il libro della Genesi narra la storia dell'umanità dalla creazione del mondo fino alla dispersione dei popoli originati da Noè (i, 1-xi, 26), e la storia del popolo ebreo dalla vocazione del suo capostipite Abramo fino alla morte di Giuseppe in Egitto (xi, 27-L, 26).
    Ora lasciando per il commento le varie questioni particolari, a cui dà luogo il primo libro del Pentateuco, gioverà trattare separatamente e più a lungo la questione generale del suo valore storico, tanto più che anche in tempi recenti sorsero in proposito varii errori, che la Chiesa dovette condannare.

    Errori antichi. — I primi attacchi contro il valore storico della Genesi, e specialmente dei primi capitoli, ebbero luogo nelle antiche scuole di Alessandria. Quivi i Giudei cominciarono a gettare il dileggio sulle favole delle mitologie pagane, e i filosofi greci, dopo aver tentato di spiegare come simboli i miti pagani, attaccarono a loro volta le narrazioni della Genesi, sforzandosi di mostrare che erano assurde, ed equivalevano a semplici miti. I dottori Giudei, quali Aristobulo (Origene, Contr. Celsum, IV, 51) e Filone (Legis Allegoriae, lib. I, t. I, p. 44, 52; lib. II, p. 70; De mundi opificio, t. I, p. 37, 38) e le loro scuole, si lasciarono scuotere dalle difficoltà, e credendo di meglio salvare la veracità della Scrittura, interpretarono in senso allegorico le varie narrazioni. In ciò furono più tardi seguiti da Clemente Alessandrino (Strom., lib. v, II ; lib. VI, 16) e da Origene (De Principiis, lib. IV, n. 16; Contr. Cels., lib. IV, 38 ; VI, 60), mentre gli antichi attacchi furono rinnovati da Celso (Contr. Cels., lib. IV, 36; VI, 60) e da Porfirio (Euseb., H. E., VIII, 19; Socrates, H. E., III, 23), e specialmente da Giuliano apostata (S. Cirillo A., Contr. Iulianum, lib. II e III).

    I razionalisti moderni fecero eco agli antichi e, quantunque in seguito alle scoperte recenti nell'Egitto e nell'Assiria, siano costretti ad ammettere che la storia dei patriarchi da Abramo in poi contiene almeno una parte di verità, si accordano però nel riguardare come leggenda e miti le narrazioni dei primi undici capitoli della Genesi, ad eccezione forse del diluvio, che può essere ritenuto almeno in parte per una catastrofe reale. Altri però negano il valore storico di tutta la Genesi.
    Così pensarono L. de Wette, Ewald, Nòldeke, Schrader, ecc., e tra i più recenti sostengono tali teorie: E. Ryle (The early Narratives of Genesis, Londra 1892), Hastings (Dictionary of the Bible, art. Cosmogony, ecc.), Cheyne (Encyclopaedia biblica, art. Creation, Deluge, ecc.), Gunkel (Genesis iibersetzt und erklart, Gottingen 1901), Driver (The Book of Genesis, Londra 1904), Budde (Das Alte Testament und die Ausgrabungen, Giessen 1903), Holzinger (Genesis, Tubingen 1898), Dillmann (Genesis, Leipzig 1892), Strack (Genesis, Munchen 1894), ecc. Vedi una esposizione di questi errori nel Dici, de la Bib, art. Mytique (sens.).

    Teorie di alcuni cattolici recenti.
    Alcuni cattolici dei nostri giorni, mossi senza dubbio da buone intenzióni, credettero di poter meglio rispondere alle difficoltà degli avversarti della Bibbia, mettendo in dubbio, oppure negando, la verità storica di parecchi fatti della Scrittura, e specialmente della Genesi. A tal fine ebbero ricorso ai diversi generi letterarii e alle citazioni implicite, oppure si studiarono di applicare ai fatti storici, quanto vien detto dei fenomeni naturali, ritenendo che come questi vengono descritti secondo le apparenze esterne, cosi quelli siano narrati secondo ciò che comunemente si dice o si crede, senza preoccuparsi gran che della loro verità oggettiva. (Vedi Introduzione generale, capo li). Così la pensava Hummelauer nel noto opuscolo Exegetisches zur Inspirationsfrage, Freiburg i. Br. 1904, e così pensarono pure i suoi seguaci Nikel (Glaubwiirdigkeit des Alteri Testament, ecc., Mùnster 1908) e Peters (Glauben und Wissen, ecc., Paderborn 1907; Bibel und Naturwissenschaft, Paderborn 1907 ; Die grundsàtzliche Stellung, ecc., Paderborn 1905), ecc.

    Il P. Lagrange (Rev. Bib., 1896, p. 207 e ss. ; 397 ; 404 e ss.), dopo aver distinto nella Bibbia la rivelazione dall'ispirazione, a aver affermato che nella Scrittura tutto è ispirato, ma non tutto è rivelato, conchiude dicendo che non tutto ciò che è ispirato è anche insegnato. Per conoscere poi nella parte solo ispirata (e non rivelata) della Bibbia ciò che è insegnato e ciò che non è tale, si deve badare all'intenzione dell'autore umano. Quello che l'autore umano ha detto con intenzione di insegnarlo è infallibilmente vero (Rev. Bib., 1895, p. 567), può invece non essere tale ciò che fu detto senza intenzione d'insegnarlo (Rev. Bib., 1896, p. 404-5; 506-7; 516-7). Ora l'intenzione dell'autore si manifesta dal genere letterario adoperato, e poiché fra i generi letterarii usati dagli scrittori sacri vi è anche la storia primitiva, che è un misto di fatti, e di leggende o tradizioni popolari, in essa fa d'uopo distinguere il fondo o la sostanza garantita dalla veracità divina, e certe circostanze, le quali possono essere considerate come metafore o allegorie, o accomodazioni ebraiche della tradizione orale (Rev. Bib., 1896, p. 507-17).

    Applicando poi alla Genesi i principii posti, il P. Lagrange nella narrazione della creazione (Rev. Bib., 1896, p. 381 e ss.) distingue il fondo o la sostanza contenente le verità dogmatiche, e la lor cornice letteraria. Il fondo fu rivelato da Dio, la cornice, ossia l'ordine delle varie opere, fu ispirato da Dio, ma ha una certa analogia colla cosmogonia assiro-babilonese. Non si può quindi inferire che Dio abbia create le cose in quest'ordine, poiché l'ordine appartiene solo alla cornice letteraria. Similmente per quanto si riferisce a Gen. II, 4-III, 24, distingue (Rev. Bib., 1897, p. 341-379) la sostanza dell'insegnamento da ciò che può essere considerato come un semplice simbolo. La sostanza dell'insegnamento, ossia la parte dogmatica della narrazione che è vera storia, si riduce principalmente all'affermazione della creazione e dell'innocenza della prima coppia umana, innocenza a cui fé' seguito il peccato originale. L'uomo e la donna sono destinati l'uno all'altro con una certa preeminenza dell'uomo. L'uomo è composto di anima e di corpo, ebbe il pieno possesso della sua intelligenza e fu dotato da Dio di immortalità. Sottomesso a una prova vi soccombette per suggestione diabolica, e perduta l'innocenza si trovò in preda agli stimoli della concupiscenza. Ornai dovrà combattere col male, ma potrà vincere, benché la lotta abbia luogo nel dolore e sia seguita dalla morte. La felicità primitiva è perduta per sempre. Tutti i figli d'Adamo nasceranno peccatori, e porteranno il castigo della colpa. Tuttavia Dio non abbandonò l'uomo, ma ordinò un nuovo stato di cose. Il resto è antropomorfismo, o simbolo. Così ad esempio i due alberi del Paradiso terrestre sono simboli, e tali sono pure gli animali condotti davanti ad Adamo, il serpente seduttore di Eva, le tuniche date ai nostri progenitori, la spada fiammeggiante dei Cherubini, ecc. La formazione di Eva dalla costa di Adamo è una parabola (in questo il P. Lagrange segue Caetano, In Scripturam commentarii, t. I, pag. 22 e ss., Lugduni 1639, il quale pensava che parecchi dei fatti narrati fossero semplici metafore), ecc. Gli stessi principii vengono poi applicati a varii altri passi della Genesi (Vedi La méthode historique, ecc., Paris 1904, p. 198 e ss. ; R. B., 1901, p. 619: 1902, p. 124).

    Queste stesse teorie, seguite da Durand. da Prat, da Lesétre, ecc., furono esposte con chiarezza ancora maggiore dal P. Zanecchia (Scriptor sacer sub divina inspiratione, ecc., Romae 1903, p. 88 e ss.) e dal P. Bonaccorsi (Questioni Bibliche, Bologna 1904, p. 79-95 e ss.), e vennero portate alle estreme conseguenze da Minocchi (La Genesi con discussioni critiche, Firenze 1908. p. 2, 4, 12, ecc., 79-84) e da altri.
    Non si deve omettere che alcuni fra gli scrittori ricordati ed altri ancora (Lenormant, Origines de V histoire d' après la Bible e les traditions de peuples orientaux, Paris 1880-82, messo all'Indice nel 1887: Loisy, Les mytes babyloniens et les premiers chapitres de la Genèse, Paris 1901 ; Holzhey, Schòpfung, Bibel und Inspiration, Stuttgart und Wien 1902 ; Koch, Das zwanzigste lahrhundert, Miinchen 1906: Engert, Die Weltschòpfung, Miinchen 1907, ecc. Vedi anche Zapletal, Der Schòpfungsbericht, Regensburg 1911) ritengono che le narrazioni della Genesi siano un'adattazione di miti e di leggende assiro-babilonesi, purgate da ogni elemento politeistico. Tutte queste teorie vanno rigettate.



    Carattere storico della Genesi.
    Prima di provare il carattere storico della Genesi, giova richiamare alla mente due principii dell'ermeutica sacra: 1° Le parole di un autore vanno prese nel loro senso ovvio, ossia nel senso proprio e letterale, a meno che forti ragioni non persuadano il contrario. Non si potrà quindi interpretare in senso allegorico una narrazione, che in sé e nel contesto si presenta come storica, e che presa in quest'ultimo senso non dà luogo ad alcun inconveniente ; 2° Nell'interpretazione della Scrittura si deve ritenere che il vero senso è quello che ci viene proposto dalla Chiesa e dall'unanime consenso dei Padri. Ciò posto diciamo, che il carattere storico della Genesi viene dimostrato: 1° dall'indole stessa delle narrazioni e dal loro nesso; 2° dall'autorità degli altri libri sacri ; 3° dal consenso dei Santi Padri ; 4° dall'insegnamento della Chiesa.

    1° L'INDOLE DELLE NARRAZIONI GENESIACHE E IL NESSO CON CUI SONO COLLEGATE TRA LORO E COL RESTO DELLA STORIA SACRA. — Chiunque infatti legga senza preconcetti le pagine della Genesi, vedrà subito che tutto l'andamento della narrazione è quale si addice a un libro storico, che espone fatti realmente avvenuti, e nulla vi si trova che faccia sospettare nell'autore l'intenzione di presentare allegorie, o parabole, o leggende. Qualunque autore che voglia riferire cose realmente avvenute, non può parlare diversamente, o usare un altro metodo. Nella Scrittura vi sono bensì delle allegorie, delle parabole, e qualche favola, ma il loro carattere appare manifesto, o dalle affermazioni dell'autore, o dal contesto, o dalla natura del racconto. Nulla di questo si verifica nel libro in questione, anzi vediamo che nello stesso Pentateuco, quando si ricorda qualche narrazione della Genesi, o qualche sua circostanza, si suppone sempre che si tratti di fatti storici. (Vedi p. es. Esod. XX, 10; XXXI, 17, dove si dà come ragione dell'istituzione del Sabato il fatto che Dio ha lavorato sei giorni, e si è ripesato al settimo giorno). Per conseguenza va applicato il grande principio di S. Tommaso (Summa Theol., I. P., q. CII, a. 1): In tutte le cose che la Scrittura ci propone per modo di narrazione storica, si deve ritenere come fondamento la verità della storia (e sopra di essa fabbricare le esposizioni spirituali). Perciò le narrazioni della Genesi essendo proposte come storiche, sono da ritenersi come tali.
    Questa conclusione appare ancor più manifesta se si considera l'intimo nesso che unisce assieme le varie narrazioni. L'autore del Pentateuco e della Genesi, Mosè, ha voluto infatti manifestamente scrivere una storia sommaria del popolo ebreo. Egli ne descrive i principali avvenimenti fino al momento in cui sta per entrare in Chanaan, e perciò narra le sue peregrinazioni nel deserto durate quarant'anni, la sua uscita dall'Egitto, le persecuzioni ivi sofferte, ecc. Ora la storia d'Israele nell'Egitto suppone manifestamente la storia di Giacobbe, di Isacco, e di Abramo.

    Mosè però volle ascendere più alto nella storia e far conoscere le prime origini di Israele, mostrando perchè Dio avesse voluto in mezzo all'umanità perversa scegliersi dapprima alcuni uomini, e poi una famiglia, e finalmente un popolo per farne i depositarii della promessa di un futuro salvatore. Egli fu quindi naturalmente portato a connettere Abramo per una lunga serie di antenati a Sem, a Noè, a Seth e a Adamo, i quali tutti avevano ricevuto e tramandato ai loro discendenti la promessa del liberatore. Era poi necessario spiegare perchè fu necessario questo liberatore, e quindi si doveva parlare del primo peccato, della felicità da cui era stato preceduto, ecc., e risalire fino all'origine stessa del mondo. Così ha fatto Mosè, presentandoci tutti questi fatti come strettamente fra loro collegati, e passando dall'uno all'altro senza nulla mutare del suo metodo. Anzi sembra che egli stesso abbia voluto escludere di avanzo la distinzione sul diverso valore storico, che si vorrebbe da alcuni stabilire tra le narrazioni dei fatti prima di Abramo e le narrazioni dei fatti posteriori, poiché ha diviso la Genesi in varie sezioni corrispondenti a varii periodi cronologici successivi, e comincia ogni sezione con una formola pressoché identica: queste sono le generazioni di, ecc., equivalente a: questa è la storia. Ora se è indubitato che nelle ultime sezioni della Genesi tale formola indica una vera storia, non vi è alcun motivo per negare che indichi una vera storia anche nelle sezioni precedenti.

    2° L'AUTORITÀ DEGLI ALTRI SCRITTORI DEL VECCHIO E DEL NUOVO TESTAMENTO. — Un'altra prova dell'autorità storica della Genesi ci è fornita dalla testimonianza degli scrittori del Vecchio e del Nuovo Testamento, i quali citano frequentemente le narrazioni della Genesi, senza mai lasciar anche solo sospettare che non si tratti di fatti storici. Basti citare qualche esempio:

    1° La creazione del cielo e della terra, Gen. I, 1 ; Salm. XXXII, 6, 9; IXXXVIII, 12-13; CXXXV, 5-9; Gerem. X, 1 1 ; II, 15; Eccli. XVIII, 1 ; Macab. VII, 28.
    2° Le acque che coprono la terra, Gen. I, 2, Salm. CIII, 6.
    3° Creazione del firmamento, Gen. I, 6: Gerem. X, 12 ; LI, 15.
    4° Le acque sopra il firmamento, Gen. I, 7 ; Salm. CXLVIII, 4.
    5° Formazione dei continenti e dei mari, Gen. I, 2, 6-7, 9-10; Giob. XXXVIII, 4-11; Salm. XXXII, 7; CIII, 6-9; CXXXV, 5-9.
    6° Creazione del sole e della luna, Gen. I, 14-18; Salm. XXXV, 7-9.
    7° Creazione dell'uomo e sua caduta, Gen. I-III ; Sapienza, X. 1-2.
    8° Dominio dell'uomo sugli animali, Gen. I, 26, 28; Eccli. XVII, 4.
    9° Adamo creato immediatamente da Dio, Gen. I, 26-27 ; Eccli. XIIX, 19.
    10° L'uomo fatto ad immagine di Dio, Gen. I, 27; Sap. n, 23; Eccli. XVII, 1.
    11° Adamo formato di fango, Gen. II, 7; Giob. X, 8-9; Tob. VIII, 8; Eccli. XVII, 7 ecc.
    12° Anima soffio di Dio, Gen. II, 7 ; Giob. XXVIII, 3, ecc.
    13° Il paradiso, Gen. n, 8 ; Eccli. Xl, 28; Ezech. XXVIII, 13; XXXI, 8.
    14° L'albero della vita, Gen. II, 9 ; Prov. III, 18; XI, 30; XIII, 12; XV, 4.
    15° I fiumi del Paradiso, Gen. II, 11-14; Eccli. XXIV, 35-37.
    16° Eva compagna d'Adamo, Gen. II, 1822 ; Tob. VIII, 8 ; Eccli. XVII, 5.
    17° Caduta di Adamo dovuta all'invidia del demonio, Gen. III, 1 e ss. ; Sap. II, 23-24 ; Os. VI, 7.
    18° Il peccato cominciò nella donna, Gen. III, 6; Eccli. XXV, 53.
    19° Il serpente mangierà la terra, Gen. III, 14; Is. IXV, 25.
    20° L'uomo tornerà nella polvere, Gen. III, 19 ; Giob. XXXIV, 15 ; Eccli. XVII, 1 ; XXXIII, 10.
    21° La storia del diluvio e della distruzione di Sodoma, la fuga e la benedizione di Giacobbe, la storia di Giuseppe venduto ed esaltato sono ricordate nella Sapienza (X, 1-14), e l'Ecclesiastico ricorda le storie di Enoch, di Noè, di Abramo, di Isacco (XIIV, 16-26).

    La lista si potrebbe continuare ancora, ma le referenze citate sono più che sufficienti a provare la nostra conclusione, la quale risulta ancora più chiara dal Nuovo Testamento.
    Gesù Cristo infatti afferma che Dio da principio creò l'uomo, e lo creò maschio e femmina (Matt. XIX, 4 ; Gen. I, 27), che Adamo ispirato da Dio promulgò la legge del matrimonio (Matt. XIX, 5; Gen. II, 24), che Abele giusto versò il suo sangue (Matt. XXIII, 35; Gen. IV, 8). Egli conferma la narrazione del diluvio e della moglie di Lot (Luc. XVII, 26-32), e l'esistenza di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (Luc. XIII, 28).
    S. Pietro riconosce come fatti storici la storia di Noè e del diluvio (I Piet. in, 19 e ss. ; II Piet. II, 5 ; III, 7-9, ecc.), la storia di Lot e la distruzione di Sodoma e Gomorra (II Piet. II, 6-8), la benedizione data ad Abramo (Atti, III, 25), le parole dette da Sara (I Piet. III, 6; Gen. XVIII, 12).
    S. Paolo afferma che Dio fece il mondo e tutte le cose, e che Egli è il Signore del cielo e della terra (Atti, XVII, 24), e fece l'uomo di terra (I Cor. XV, 45-47 ; Gen. II, 7) e a sua immagine (I Cor. XI, 7). Prima fu creato Adamo e poi Eva (I Tim. II, 13), e l'uomo non è dalla donna, ma la donna dall'uomo, e l'uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo (I Cor. XI, 8-13; Gen. II, 21-23). Eva fu sedotta dal serpente, non già Adamo (II Cor. XI, 3 ; I Tim. II, 14; Gen. III, 6). Adamo col suo peccato recò nocumento a tutti i suoi discendenti (Rom. V, 12-19), e fu il peccato che introdusse nel mondo la morte (Rom. V, 12, 14; Gen. III, 3, 19). Abele offrì a Dio un'ostia migliore di quella di Caino (Ebr. XI, 4). Enoch fu trasportato perchè non vedesse la morte (Ebr. XI, 5). Noè fu salvato colla sua famiglia nell'arca (Ebr. XI, 7). Abramo ubbidì a Dio e partì senza sapere dove andasse, pellegrinò poi per la terra promessa, abitando sotto le tende con Isacco e Giacobbe (Ebr. XI, 8-10), e ricevette la promessa di una benedizione per tutte le genti (Gal. III, 8). Il sacerdote Melchisedech benedisse Abramo, che ritornava dopo aver sconfitti i re elamiti, e ricevette da lui le decime (Ebr. VII, 1 e ss. ; Gen. XIV, 1 e ss.). Abramo fu giustificato per la fede (Rom. IV, 3 ; Gal. III, 6 ; Gen. XV, 6) ed ebbe due figli uno dalla schiava, e l'altro dalla donna libera (Gal. IV, 22-30 ; Gen. XVI, 1 ; XXI, 1). Sara, sterile, ottenne di concepire, benché avanzata in età (Ebr. XI, 11 ; Gen. XVII, 15-21 ; XVIII, 9-14) ; Abramo fu costituito padre di molte genti (Rom. IV, 16 ; Gen. XVII, 1), ricevette il segno della circoncisione (Rom. IV, 11; Gen. XVII, 9), e per avere offerto il suo figlio Isacco meritò che gli venisse confermata con giuramento la benedizione promessa (Ebr. VI, 13 e ss. ; Gen. XXII, 1-18). S. Paolo afferma ancora che alcuni senza saperlo diedero ospizio agli angeli (Ebr. XIII, 21 ; Gen. XVIII e XIX), e che Isacco figlio della promessa ebbe due figli da Rebecca, il maggiore dei quali fu assoggettato al minore (Rom. IX, 7-13 ; Gen. XXV, 20 e ss.), e che Esaù per una pietanza vendette la sua primogenitura, e ricercò poi invano colle lacrime la benedizione dei primogeniti (Ebr. XII, 16 e ss.). Lo stesso Apostolo attesta ancora che Isacco benedì Giacobbe ed Esaù, e che Giacobbe morente benedì ciascuno dei figli di Giuseppe. Questi a sua volta prima di morire predisse l'uscita dei figli d'Israele dall'Egitto, e dispose delle sue ossa {Ebr. XI, 20-22 ; Gen. XXVII, 27 ; XLVIII, 15 e ss. ; L, 24).
    S. Giovanni ricorda che Abele fu ucciso da Caino (I Giov. in, 12), e che il demonio fu mentitore e omicida fin da principio (Vang. VIII. 44; Gen. III, 3, 19), e nell'Apocalisse (II, 7; XXII, 2, 14) parla dell'albero della vita piantato nel paradiso (Gen. II, 8, 9).
    S. Giacomo (II, 21-23) scrive che Abramo fu giustificato per la fede e per le opere, e che offrì il suo figlio Isacco.
    S. Giuda (vv. 7, 11, 14) ricorda la via di Caino, Enoch settimo patriarca da Adamo, e la distruzione di Sodoma e Gomorra.
    Gli Evangelisti S. Matteo (I, 1 e ss.) e S. Luca (III, 32 e ss.), dando la genealogia di N. S. Gesù Cristo l'uno sino ad Abramo, e l'altro sino adAdamo, vengono ancora a confermare le genealogie, che si hanno nella Genesi, relative agli antenati di Abramo e ai suoi discendenti.
    Questi pochi esempi sono più che sufficienti per mostrare come gli autori del Vecchio e del Nuovo Testamento abbiano sempre riguardati come storici i fatti narrati nella Genesi.

    3° LA TESTIMONIANZA DEI SANTI PADRI. — Riguardo all'opera dei sei giorni vi furono bensì alcune divergenze tra i Padri, e parecchi tra essi interpretarono in senso allegorico i giorni genesiaci (p. es. Sant'Atanasio, Orai, il contr. Arian., n. 49 e 60 ; Sant'Agostino, De Genesi contra Man. ; De Genesi ad litt. ; De Genesi in litt., libri Xll; De Civ. Dei, 1. XI, Confess., 1. XI, XII, XIII; Retract., 1. I, 18, ecc.), ma per riguardo ai racconti successivi alla creazione, tutti (eccettuati Origene, Clemente A. e tra i recenti il Card. Gaetano) si accordano nel ritenerli come storici, e molti di essi biasimano apertamente le temerità di Origene. Così la pensano ad esempio: Sant'Epifanio (Haeres. IXIV, 4, 47), S. Metodio di Olimpia (Bibl. Phot. or. de resurr., Migne P. G., t. CIII, col. 1112), S. Basilio (In Hexaem. hom. in, 9 ; hom. X, 1), S. Giov. Crisostomo (In Genesim, Hom. XIII, 3), Sant'Agostino (De Gen. ad litt., 1. VIII, cap. 2), ecc., e quando si leggono i loro commentarii e le loro opere di controversia, si vede subito che non erano loro sconosciute le principali difficoltà che si muovono intorno a tale questione, e perciò, se non ostante tali difficoltà hanno creduto di doversi attenere al senso storico letterale, si è perchè erano persuasi che altrimenti ne sarebbe andata di mezzo la fede.

    4° L'INSEGNAMENTO E LA PRATICA DELLA CHIESA. — Che la Chiesa nel suo insegnamento pratico e ordinario riguardi come storiche le narrazioni della Genesi, è un fatto indubitato, e non mancherebbe di suscitare scandalo nei fedeli quel predicatore che insegnasse diversamente. Basta inoltre leggere il Catechismo del Concilio di Trento, dove si parla della creazione e del matrimonio, e basta consultare l'appendice: Breve storia della Religione, che si trova nel Compendio della Dottrina cristiana prescritto da Sua Santità Pio X, per convincersi pienamente che la Chiesa, maestra infallibile di verità e sola legittima interprete della Scrittura, ritiene come storici i fatti narrati nella Genesi.
    A conferma gioverà qui riferire la risposta della Commissione Biblica intorno al carattere storico dei tre primi capi della Genesi, pubblicata il 30 giugno 1909.

    [Nota personale: posto il testo in italiano, originalmente in latino]

    I. I diversi sistemi esegetici che sono stati escogitati e sono sostenuti da un'apparente scientificità per escludere il senso storico letterale dei tre primi capitoli del libro della Genesi, sono solidamente fondati?

    Risposta: No.

    II. Nonostante il carattere e il genere storico del libro della Genesi, il particolare legame dei primi tre capitoli tra essi e con i capitoli seguenti, la molteplice testimonianza delle Scritture, tanto dell'Antico che del Nuovo Testamento, il pensiero quasi unanime dei Padri e l'opinione tradizionale, trasmessa dal popolo di Israele e sempre mantenuta dalla Chiesa, si può insegnare che questi primi tre capitoli della Genesi contengono non narrazioni di avvenimenti veramente accaduti, cioè rispondenti alla realtà oggettiva e alla verità storica, ma contengono o favole ricavate da mitologie e cosmogonie di antichi popoli e adattate dall'autore sacro alla dottrina monoteistica grazie all'eliminazione di ogni errore politeistico, o allegorie e simboli senza alcun fondamento nella realtà oggettiva, proposti sotto forma di storia per inculcare verità religiose e filosofiche, o, infine, leggende in parte storiche e in parte fittizie composte liberamente per l'istruzione e l'edificazione degli spiriti?

    Risposta: No per entrambe le parti.

    III. Si può, in particolare, mettere in dubbio il senso storico letterale in quei capitoli in cui si tratta di fatti che toccano i fondamenti della religione cristiana: tali sono, tra gli altri, la creazione di tutte le cose operata da Dio all'inizio del tempo; la particolare creazione dell'uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l'unità del genere umano; la felicità originale dei progenitori nello stato di giustizia, integrità e immortalità; l'ordine dato da Dio all'uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione dell'ordine divino per istigazione del diavolo sotto l'apparenza di un serpente; la perdita dei progenitori di quel primitivo stato d'innocenza; e la promessa di un Redentore futuro?

    Risposta: No.

    IV. Nell'interpretazione di quei capitoli che i Padri e i Dottori hanno diversamente interpretato, senza lasciare alcunché di certo e definito, è permesso, fatto salvo il giudizio della Chiesa e mantenuta l'analogia della fede, seguire e difendere quella opinione che ciascuno giudichi la più prudente?

    Risposte: Sì.

    V. Bisogna sempre e necessariamente prendere in senso proprio tutte e singole le parole e le frasi che si incontrano nei suddetti capitoli, così che non è mai permesso allontanarsene, anche quando le medesime espressioni appaiano utilizzate in un senso manifestamente improprio, metaforico o antropomorfico così che la ragione impedisce di sostenere il senso proprio o la necessità obbliga ad abbandonarlo?

    Risposta: No.

    VI. Presupposto il senso letterale e storico, si può sapientemente e utilmente utilizzare una interpretazione allegorica e profetica per alcuni passi di quei capitoli, secondo l'esempio illustre dei santi Padri e della Chiesa stessa?

    Risposta: Sì.

    VII. Siccome scrivendo il primo capitolo della Genesi, l'autore sacro non ha avuto l'intenzione di insegnare scientificamente la costituzione intima delle cose visibili e l'ordine completo della creazione, ma piuttosto ha voluto dare alla sua gente un racconto popolare conforme al linguaggio comune dei suoi contemporanei, e adattato ai sentimenti e alla capacità degli uomini, è necessario cercarvi scrupolosamente e sempre la proprietà del linguaggio scientifico?

    Risposta: No.

    VIII. Nella denominazione e nella distinzione dei sei giorni di cui parla la Genesi nel primo capitolo, si può prendere la parola Yom (giorno) sia nel senso proprio di giorno naturale, sia nel senso improprio di un certo spazio di tempo, ed è lecito agli esegeti disputare liberamente di questa questione?

    Risposta: Sì.

    Difficoltà contro la storicità della Genesi. — 1a obbiezione. I razionalisti (Gunkel, Die Genesis, Gottingen 1902, p. XIII-XIV) negano la storicità della Genesi, perchè dicono che non si può spiegare come Mosè abbia potuto trovar le fonti
    necessarie alla composizione del suo libro. Niuno fu presente alla creazione, e d'altra parte Israele è un popolo relativamente giovane, e Mosè è molto più recente degli scrittori, che ci hanno dato il libro dei morti, e la stela di Hammurabi, ed altri noti monumenti. Come adunque egli, che viveva solo circa 1500 a. C., potè narrare la storia di ciò che era avvenuto migliaia e migliaia di anni prima?

    R. — Tutti i Santi Padri spiegano la conoscenza che Mosè ebbe delle origini del mondo e dell'umanità, ricorrendo alla divina ispirazione. Lo Spirito Santo potè direttamente rivelare a Mosè le cose contenute nella Genesi, oppure, come inclinano a pensare gli esegeti moderni, lo mosse ad utilizzare antiche tradizioni in parte scritte e in parte orali, facendogliene conoscere le verità. Niente di più naturale infatti che Dio stesso abbia rivelato ai nostri progenitori l'origine delle cose, e il modo con cui essi furono creati, e che tale rivelazione unitamente alla promessa del Messia e agli altri fatti della storia primitiva siasi poi trasmessa di generazione in generazione e forse anche venisse messa per iscritto molti secoli prima di Mosè. È certo infatti che presso varii antichi popoli si constata la presenza di narrazioni più o meno analoghe a quelle della Genesi, specialmente per quel che si riferisce alla formazione dell'uomo per uno speciale intervento di Dio, al paradiso terrestre, e alla primitiva condizione felice dell'umanità, alla caduta, ecc. Ora questo fatto non si può altrimenti spiegare senza ricorrere a una tradizione primitiva comune a tutti i rami della famiglia umana, tradizione che si conservò in tutta la sua purezza nel popolo eletto, ma venne invece deformata e in parte corrotta presso gli altri popoli.

    2a obbiezione. Un'altra difficoltà contro la storicità della Genesi, è tratta dalle rassomiglianze, che presentano alcune sue narrazioni coi miti e le leggende assiro-babilonesi. Tali rassomiglianze si riferiscono alla creazione, al Paradiso e alla caduta del primo uomo, ai patriarchi antidiluviani, al diluvio e alla torre di Babele.

    R. — Gli assiri-babilonesi essendo ancor essi di razza semitica, non deve far meraviglia che le loro leggende abbiano una certa rassomiglianza colle narrazioni della Bibbia; è però indubitato che vi sono molte dissomiglianze e che tali leggende, anche purgate da ogni errore politeistico e morale e religioso, non hanno potuto entrare nella Bibbia, e non possono spiegare né l'opera dei sei giorni seguita dal giorno di riposo, come viene descritto nella cosmogonia mosaica (vedi nota Gen. h, 3), né gli altri avvenimenti della Bibbia.

    La leggenda babilonese sulla creazione era conosciuta da lungo tempo grazie ad alcuni frammenti di Beroso (275 a. C.) riferitici da Eusebio (Chron. I, 19, 15, ed. Schòne) e dal neoplatonico Damasco (Quaestiones de primis principiis, XX, p. 384, ed. Kapp.), ma sopra di essa gettò nuova luce la scoperta di gran parte del poema intitolato Enuma elis, fatta da G. Smith, e da questi pubblicata nel 1876. Più tardi si trovarono altri frammenti, e può essere che col tempo si riesca ad avere l'opera intera. Il poema nella forma attuale rimonta a circa 2000 e più anni a. C., ma per il fondo è molto più antico. Occupa sette tavolette e comprende 994 linee (Cf. Dhorme, Choix de textes religieux Assiro- babyloniens, p. 3 e ss., Paris 1907).
    I Tavoletta. - Prima che vi fosse il cielo, e prima che vi fosse la terra, e prima che vi fossero gii dèi, vi erano Apsu (l'Oceano) e Tiamat (il mare) e confondevano assieme Se loro acque. Apsu e Tiamat generano dapprima gli dèi, ma questi avendo turbato il riposo di Apsu, egli si accorda con Tiamat e ordisce una trama affine di distruggerli. Ma Ea, il. più astuto degli dèi, scopre la trama, e le fa abortire. Allora Tiamat, pieno di ira, genera serpenti e dragoni e uomini-scorpioni ed altri mostri, che lo aiutino, e li lancia contro gli dèi.
    II Tavoletta. - Ea riferisce al suo padre Ansar i disegni di Tiamat, e Ansar manda contro Tiamat un altro suo figlio per nome Anu, il quale però alla sola vista di Tiamat prende la fuga. Allora Ansar spedisce Marduk figlio di Ea. Questi acconsente a muover guerra a Tiamat a condizione di essere prima esaltato nell'assemblea degli dèi.
    III Tavoletta. - Ansar manda il suo messaggiero Gagà a convocare gli dèi a banchetto. Quésti si riuniscono, mangiano e bevono, si ubbriacano e schiamazzano.
    IV Tavoletta. - Gli dèi conferiscono a Marduk il potere di creare e di annientare, ed egli fa subito mostra del potere ricevuto facendo scomparire e poi apparire di nuovo un vestimento. Armatosi poi di un arco, di una rete e di parecchi venti impetuosi, si avanza contro Tiamat, e con una saetta gli trapassa il corpo e lo uccide. Poi ne sparte in due il cadavere, come si spartirebbe un pesce, e con una metà ne copre il cielo e per mantenere in alto le acque tira la serratura e pone un guardiano con ordine di non lasciare uscire le acque. Poi costruisce parecchie città per gli Dei, Anu Bel, Ea.
    V Tavoletta. (molte lacune). - Marduk mette nel cielo le stelle, i pianeti, la luna, tere che i babilonesi avessero conservato il il sole. Fa brillare la luna, e le affida la notte, e la stabilisce come corpo notturno per regolare i giorni, ecc.
    VI Tavoletta. (rimangono pochi frammenti). - Per dare adoratori agli dèi, Marduk forma gli uomini prendendo del suo sangue, oppure, secondo altri, semplicemente del sangue.
    VII Tavoletta. (lacune considerevoli). - Marduk è glorificato nel consesso degli dèi. Si riassumono le varie opere di Marduk e i varii titoli che ha per essere onorato dagli dèi e dagli uomini. Egli viene chiamato produttore dei grani e delle piante, delle erbe e degli uomini, ed è probabile che nelle parti mancanti del poema si parlasse anche degli animali, come si ha in altri frammenti (Dhorme, op. cit. p. 83 e ss.).

    Ora se con questa leggenda si confronta la narrazione della Genesi, si vedrà subito che le rassomiglianze si riducono a poca cosa. Da una parte e dall'altra vi è un caos. L'ebraico theom (abisso delle acque) può forse infatti equivalere al babilonico tiamtu (mare) = Tiamat. La creazione del firmamento e la divisione delle acque superiori dalle inferiori (Gen. i, 6-8) ha una certa analogia colla divisione di Tiamat e una certa analogia vi è pure per la creazione degli astri, del sole e della luna, delle erbe e degli animali e degli uomini. Leggende più antiche però attribuiscono la creazione dell'uomo, non a Marduk, ma a Ea, e secondo altre leggende Ea ora avrebbe creato un uomo, ora due, ora più, ma sempre quando gli uomini già esistevano sulla terra.

    Le dissomiglianze sono molto maggiori. La cosmogonia babilonica non solo è politeista, ma non è neppure creazione. La cosmogonia della Genesi è monoteista e vera creazione. Nella prima preesistono l'oceano (Apsu) e il mare (Tiamat), che generano poi il cielo e la terra gli dèi sono creati, ma subito si ribellano, e la lotta fra Tiamat e Marduk, che avrebbe potuto riuscire fatale a quest'ultimo, è puerile, è indegna della divinità. Nella Genesi invece tutto è sublimità, semplicità e dignità! Dio opera come si conviene alla grandezza della sua natura, non ha da fare sforzi, né da lottare, dice e tutto si fa. Nella cosmogonia caldaica non si fa menzione della luce, e la produzione dell'uomo è grottesca, come è grottesco l'asserire che Marduk creò l'uomo affinchè gli dèi avessero una dimora che rallegrasse il loro cuore, e che per crearlo ebbe l'aiuto di Arourou. D'altra parte in nessuno dei documenti finora pubblicati si parla della settimana, del riposo divino, e della creazione della prima coppia umana. Per conseguenza se si può ammettere che i babilonesi avessero conservato il ricordo molto affievolito e alterato della creazione del mondo, le loro leggende non bastano però a spiegare l'origine delle narrazioni della Genesi.

    Anche per i fatti raccontati, si è voluto trovar l'origine nei miti babilonesi (Minocchi, La Genesi, Firenze 1908, p. 76 e ss.). Così il Paradiso terrestre è una riproduzione di ciò che si legge nell'epopea di Gilgames (Dhorme, op. cit., p. 233 e 277), l'albero della vita allude all'albero di Eridou (Dhorme, op. cit., p. 98), e Adamo non è altro che Adapa (Dhorme, op. cit. p. 148-161), ecc.
    [Nota personale: anche dal punto di vista etimologico Adamo è lo stesso termine Adapa, secondo la rotazione consonantica m-b-p. Vedi ad es. Giacomo-Giacobbe, Aramaico-Arabo]

    Se però si osservano attentamente i testi indicati, si vedrà subito che sono ben lungi dal poter dar ragione delle narrazioni della Genesi, e si constaterà la verità di quanto afferma il P. Lagrange (Rev. Bib., 1897, pag. 377), che presso i popoli antichi, Israele eccettuato, nessuna tradizione ricorda espressamente la storia del peccato originale, né per quel che si riferisce alla sostanza delle cose, né per quel che si riferisce alle circostanze (Vedi n. Gen. in, 24).

    Il mito di Adapa è certo molto antico, ed ha forse qualche vaga e lontana analogia con la storia di Adamo, ma non può in alcun modo essere la fonte, a cui fu attinta la narrazione della Genesi. Adapa non è lo stesso che Adamo, poiché egli non è il primo uomo, né il rappresentante di tutta l'umanità, ma un uomo qualunque fra gli altri, che probabilmente va identificato con Alaparos o Adaparos, il secondo fra i dieci re primitivi ricordati da Beroso. Secondo la leggenda egli fu creato da Ea, ma un giorno, avendo spezzato le ali del vento del Sud, venne citato davanti a Anu. Ea allora lo avvertì che gli sarebbe stato offerto da mangiare, da bere, da vestirsi, e dell'olio, e lo consigliò di accettare l'olio e il vestito, ma di ricusare il nutrimento e la bevanda, perchè questi gli avrebbero causato la morte. Avvenne invece che il cibo e l'acqua offertigli erano un cibo e un'acqua di vita, e così Adapa, avendoli rifiutati, restò privo dell'immortalità.

    Ora è chiaro che qui non vi è alcuna analogia con Eva sedotta dal serpente. Si può domandare inoltre perchè mai Ea fece credere alimento di morte l'alimento della vita? Volle forse ingannare o fu ingannato? D'altra parte Adapa fu privato dell'immortalità, perchè ubbidì agli ordini del suo dio, mentre il contrario avvenne in Adamo. Di più nella Genesi la proibizione riguarda non già l'albero della vita, ma l'albero della scienza del bene e del male, e i vestimenti dati a Adamo ed Eva son ben altra cosa, e vengono dati per ben altro motivo che i vestimenti di Adapa. Né si opponga in contrario il famoso cilindro babilonese rappresentante un albero carico di frutti e due personaggi seduti l'uno a destra e l'altro a sinistra, che stendono la mano ai frutti, e dietro al personaggio di sinistra un serpente. I due personaggi infatti sono vestiti e seduti, e quello che ha le corna rappresenta un dio, e non si può provare che l'altro rappresenti una donna e non piuttosto un'altra divinità, e che il serpente che sta di dietro sia un tentatore. La scena potrebbe benissimo rappresentare due dèi presso l'albero della vita, e il serpente potrebbe essere il loro protettore.

    Similmente non è certo che i Cherubini posti a custodia del Paradiso alludano ai tori alati posti all'entrata dei palazzi assiri. Lenormant aveva bensì letto nel 1873 su di un amuleto il nome Kirubu, ma tale lettura fu riconosciuta sbagliata, e finora non si è trovato nell'assiro un nome corrispondente all'ebraico Cherubim.

    Si deve ancora aggiungere che solo la Genesi annunzia la disfatta del demonio tentatore per opera del futuro Messia riparatore.

    Per riguardo ai patriarchi antidiluviani, Beroso ci ha conservato una lista di dieci re: Aloros, Alaparos, Amelon, Ammenon, Megalaros, Daonos, Evedorachos, Amempsinos, Otiartes, Xisoutros, i quali avrebbero regnato in complesso 120 sari, ossia 432 mila anni. Questi re sarebbero i dieci patriarchi antidiluviani, che vengono chiamati nella Genesi (v, I e ss.): Adam, Seth, Enos, Cainan, Malalael, Iared, Enoch, Mathusalem, Lamech, Noè. Tanto gli uni che gli altri ebbero una longevità straordinaria, e durante la vita dell'ultimo di ciascuna serie (Xisoutros e Noè) venne il diluvio.

    Vi è certamente qualche rassomiglianza fra le due narrazioni, ma le divergenze sono pure assai notevoli sia nei nomi, sia nella qualità delle persone, e sia negli anni che ciascuno ha vissuto. Presso Beroso infatti si tratta di re di Babilonia, e si indicano gli anni favolosi del loro regno; nella Genesi invece si parla degli autori o capi del genere umano, e si indicano gli anni della vita di ciascuno. Parecchi nomi poi sono assolutamente diversi, e mentre ad es. Evedorachos (ass. Enmeduranki) che si vuole identificare con Enoch, fu il re che secondo Beroso ebbe più lungo regno (64.800 anni), Enoch invece fu il patriarca antidiluviano che ebbe vita più corta (300 anni). Con ragione pertanto i migliori assiriologi escludono che la lista della Genesi dipenda da quella di Beroso, e per spiegare le rassomiglianze che vi si riscontrano si può ammettere che rappresentino entrambe la tradizione primitiva, conservatasi pura nella Bibbia, e deformatasi presso i Babilonesi (Ved. n. Gen. v, 31).

    La stessa osservazione va applicata alla narrazione del diluvio che si ha nella Genesi (Ved. n. VIlI, 12) e nell'epopea di Gilgames (Dhorme, op. cit. p. 100 e ss.; 120-127). La narrazione caldaica è antichissima ed era già fissata per scritto 2000 anni avanti Cristo. L'uomo salvato dal diluvio viene chiamato Utnapistim, e altrove riceve il nome di Atrahasis (= Hasisatra = Xisoutros), e l'autore del terribile disastro è

    Bel, il quale contro la volontà degli altri dèi decide di inondare tutta la terra, e di far perire tutti gli uomini. Ea, mosso a compassione del re Utnapistim, si sforza di salvarlo, e riesce nel suo intento, facendogli costruire un'arca, nella quale egli si rifugia coi suoi parenti e cogli animali del campo, durante l'inondazione causata dal diluvio. Il cataclisma è così spaventoso che gli stessi dèi atterriti cercano un rifugio,

    salendo sino al cielo di Anu. Il Dio Bel se l'ebbe a male quando si accorse che Utnapistim era scampato al flagello, ma si placò per l'intervento di Ea, ed elevò Utnapistim, la sua moglie e il pilota dell'arca alla dignità di dèi, concedendo loro l'immortalità. Abbiamo notato altrove (Gen. VIII, 12) i punti di contatto e le divergenze che vi sono fra la leggenda babilonese e la narrazione biblica, per spiegare i quali non è necessario ricorrere all'influenza degli scritti babilonici sui libri sacri verificatasi al tempo della cattività (Goldziher, ecc.) o dei re (Kuenen, Budde, ecc.) o delle lettere di Teli El-Amarna (Gunkel, Zapletal, ecc.), ma basta ammettere un'unica tradizione conservatasi pura nella famiglia di Abramo, alteratasi invece presso gli e altri semiti.

    L'indipendenza della Bibbia da Babilonia è sostenuta dai migliori assiriologi che si sono occupati della questione, quali: Iensen, Zimmermann, Hommel, Ieremias, Grimme, Meyer,- ecc.

    Riguardo alla torre di Babele nulla finora si è trovato nelle iscrizioni cuneiformi.

    (Ved. n. Gen. XI, 9).

    3 obbiezione. - Contro la storicità della Genesi si portano ancora come argomenti: 1° gli indizi di poesia che si scorgono specialmente nei primi capitoli, e 2° le interpretazioni allegoriche di numerosi passi date dai Santi Padri.

    R. È facile però rispondere a tali difficoltà. Possiamo ammettere benissimo che nei primi capitoli vi sia della poesia, e si possa scorgere il parallelismo, ma tale poesia era inevitabile. Come infatti si sarebbero potute narrare opere così meravigliose anche colla massima semplicità, senza colpire fortemente l'immaginazione del lettore? La poesia è nelle cose stesse, e l'uso del parallelismo non è contrario alla verità. Non fu esso infatti adoperato da Mosè nei suoi Cantici e da tanti altri autori ispirati? D'altra parte come si poteva parlare al popolo di verità così sublimi senza far uso di antropomorfismi e di metafore? In ultimo, come si è già osservato altrove, nell'interpretazione della Scrittura si deve seguire la Chiesa, a cui appartiene di determinare in quale senso debbansi prendere le varie narrazioni bibliche.

    Ora, come si è pure veduto, la Chiesa ha sempre riguardato e riguarda come storico il libro della Genesi e specialmente i primi capitoli e perciò ogni buon cattolico deve attenersi a quanto la Chiesa insegna, e uniformare il suo giudizio a quello della Chiesa.

    Relativamente alle interpretazioni allegoriche o spirituali dei Santi Padri, abbiamo già detto che, se vi è qualche divergenza fra loro per quanto si riferisce al primo capo, tutti, eccettuati Origene e Clemente A., si accordano nel ritenere la storicità della Genesi. Le loro interpretazioni allegoriche non escludono, ma anzi suppongono i fatti storici e si basano sopra di essi.

    Sappiamo infatti da S. Paolo (II Cor. X, 6) che gli avvenimenti del Vecchio Testamento erano figure di ciò che doveva avverarsi nel Nuovo Testamento, e quindi tali avvenimenti, oltre all'essere considerati in sé nella loro realtà storica, possono ancora essere riguardati come figure, e venire spiegati in relazione alle cose figurate. Così ha fatto parecchie volte San Paolo (I Cor. X, I e ss. ; Gal. IV, 22 ; Ebr. VI e VII), e così sul suo esempio hanno fatto i i Santi Padri e i Dottori della Chiesa, ma da ciò non è lecito conchiudere che essi non ritenessero come storici i fatti, che considerano come figure e tipi di cose avvenire.
    Niuno dei Padri (sempre eccettuati Clemente e Origene) ha mai detto che le narrazioni della Genesi siano semplici leggende o miti, o parabole o allegorie.

    Intorno all'autorità storica della Genesi si possono consultare: Méchineau, L'historicité des trois premiers chapitres de la Genèse, Rome 1910; Rinieri, Bibbia e Babele, ecc., Siena 1910; Dict. Ap., Babylon et la Bible, Genèse; Brucker, Questions actuelles d'Écriture sainte, Paris 1895 ; L'Église et la critique biblique, Paris 1908 ; Vigouroux, Les Livres saints et la critique rationaliste, Paris 1904 ; La Bible et les découvertes modernes, Paris 1896; Dict. de Théol., Genèse; Dict. de la Bib., Mythique (sens); Pelt, Histoire de VA. T.~ Paris 1907; Nikel, Genesis und Keilschriftforschung, Freiburg i. B. 1903; Das Alte Testament im Lichte der altorientalischen Forschungen: l.Die biblische Urgeschichte, Mùnsterl909 AV.Die Patriarchcngcschickte. Munster 1912: Euringer, Die Chronologie der biblischen Urgeschichte, Mùnger 1909 ; Gòttsberger, Adam und Eva, Mùnster 1910; Heyes, Joseph in Aegyptcn, .Mùnster 1911 ; i Commentarli di Hetzenauer, Murillo, Dier, e la Theologia Biblica di Hetzenauer, ecc.
    Ultima modifica di emv; 20-09-22 alle 23:28
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    Predefinito Re: BIBBIA - Commento sulla Storicità della Genesi, di P. Marco Sales

    I miti astrali.— Fra le aberrazioni razionaliste riguardo all'interpretazione della Bibbia va ancora ricordata quella che tenta di spiegare tutto coi miti astrali. Stucken (Astralmyten der Hcbrder, Babylonier und Aegypten, Leipzig 1896-1901), H. Winckler (Himmels und Weltcnbild der Babylonier, Leipzig 1903), H. Zimmern (Die Keilinschriften und das Alte Testament, Berlin 1903), ecc., si sono sforzati di provare che i patriarchi non sono che divinità astrali venerate nei principali santuarii della Palestina, e trasportati poi nell'albero genealogico degli Ebrei. Così p. es. Abramo non è che il dio Sin, oppure una sua emanazione, Sara è la dea Istar sposa del dio Sin. Anche Giacobbe sarebbe un dio lunare. Giuseppe invece è un dio solare, e Mosè una emanazione di Iahve-Tammuz della steppa. Applicando gli stessi principii ai Giudici e ai Re trovarono che Giosuè è il genio del santuario di Beniamin, Sansone un dio solare, Debora è Astarte, Saulle appare anch'egli come una figura mitologica del dio Luna. Davide rappresenta invece un eroe solare, ecc.

    Non è necessario spendere molte parole a confutare questi sogni, giacché si tratta di interpretazioni soggettive e al tutto arbitrarie e ridicole. Nel testo si sopprime ciò che non va a genio, si torturano in mille modi i nomi proprii, i numeri, le indicazioni geografiche, si mettono a raffronto le cose più disparate, e poi si conchiude ciò che si vuole. Se i figli di Giacobbe, perchè dodici, non sono che i dodici segni dello zodiaco, si potrebbe dire altrettanto dei dodici figli che spesso si incontrano nelle famiglie. E se si applicassero gli stessi principii ai fatti più recenti che vediamo coi nostri occhi, si verrebbe alla stessa conclusione, che cioè non si tratta, se non di miti astrali di niun valore reale.

    Importanza della Genesi. - Il libro della Genesi ha una grandissima importanza sotto l'aspetto dogmatico, morale e religioso.
    Infatti fin dalla prima pagina ci vien presentato Dio come il creatore onnipotente di tutte le cose, che si eleva infinitamente al di sopra di tutti gli esseri creati, e da cui tutto dipende, e a cui tutto obbedisce. Dio è ancora il provisore universale, e come tale provvede alla conservazione e alla propagazione dei vegetali, degli animali e spe-cialmente dell'uomo, e loro assicura il necessario alimento.

    Dio è pure il padre amoroso, che crea l'uomo a sua immagine e somiglianza, gli conferisce innumerevoli doni di natura e di grazia, e quale sovrano legislatore gli impone leggi e precetti positivi. Giudice severo punisce la violazione del suo comando nei nostri progenitori e nella loro discendenza, prende vendetta del sangue di Abele, colpisce col diluvio gli uomini prevaricatori, ne confonde i disegni orgogliosi, e li disperde sulla terra. Pieno di misericordia perdona la colpa, e promette il Redentore, veglia su Noè, gli fa delle promesse e gli impone nuove leggi e rinnova con lui l'alleanza. Finalmente nella persona di Abramo si sceglie un popolo per farne il depositario delle rivelazioni e delle promesse, ed esercitando una provvidenza paterna su Abramo, Isacco e Giacobbe, conduce Israele in Egitto, ove fa innalzare Giuseppe alla diginità di viceré, e provvede acche i figli di Giacobbe diventino un popolo.
    L'uomo è creato immediatamente da Dio, e viene elevato all'ordine soprannaturale. Conoscitore del bene e del male e dotato di libertà, egli trasgredisce il precetto divino, e perde la grazia e lo stato di integrità. Col pentimento riacquista la grazia, ma non già i doni preternaturali, e rimane soggetto alla concupiscenza, al dolore e alla morte.

    Dio è l'autore del matrimonio, e all'uomo incombe il dovere di essere il capo di famiglia, mentre la donna deve star soggetta.
    I primi figli di Adamo esercitarono l'agricoltura e la pastorizia ; le altre arti non furono inventate che più tardi. I discendenti di Caino si abbandonarono al mal fare, e trassero nelle loro vie anche gli altri. Ma in ogni tempo, specialmente nella discendenza di Seth, vi furono dei giusti, e quando i popoli divennero idolatri, Dio ne scelse uno fra i discendenti di Sem acciò in esso si conservasse il vero culto e la vera religione.
    Per riguardo al culto e alla religione la Genesi ci presenta Caino ed Abele, che con diverse disposizioni offrono sacrifizi a Dio, il quale accetta gli uni e rifiuta gli altri. Si parla di Enos come di un fedele adoratore di Dio, e si afferma che Noè uscito dall'arca sacrificò vittime cruente a Dio, il quale le gradì. Abramo, Isacco, Giacobbe professano il monoteismo più puro, e Dio si manifesta parecchie volte ad Abramo, facendogli le più ampie promesse per lui e per la sua discendenza, ne prova la fede e l'obbedienza, e lo costituisce padre di tutti i credenti. Dio appare anche ad Isacco ed a Giacobbe, e i luoghi, dove avvengono le apparizioni divine, diventano centri di culto, nei quali si erige un altare, si invoca il nome del Signore, e si offrono sacrifizi. Le promesse fatte ad Abramo vengono confermate ad Isacco e poi a Giacobbe. Quest'ultimo erige a Bethel una stela in onore di Dio, e la consacra con un'unzione di olio, ed offre in parecchi luoghi sacrifizi a Dio.
    Oltre al sacrifizio la religione patriarcale comprendeva ancora altri riti, quali l'osservanza del sabato e la pratica della circoncisione, segno dell'alleanza contratta tra Dio e Abramo. Era riconosciuto il vincolo del giuramento, e si usavano purificazioni, si mutava il vestimento, si facevano voti e si davano benedizioni. La Genesi insegna pure l'esistenza degli angeli, la loro natura spirituale, ecc. Ved. Dict. de Théol., articolo Genèse.


    https://archive.org/details/ilvecchi...1sale/mode/2up

    Recentemente l'intera vulgata tradotta e commentata da P.Marco Sales è stata ristampata da Effedieffe.
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