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    Predefinito LEGGENDE NERE - La Notte di San Bartolomeo

    https://www.radicicristiane.it/2019/...-di-religione/




    Anna e lo sfregiato. Una principessa estense nella Francia delle guerre di religione

    Autore: Elena Bianchini Braglia

    Edizioni Terra ed identità, Modena 2018, p. 342, € 15

    RC n.140 - gen/feb 2019 di Gianandrea de Antonellis


    Esiste una vera e propria “leggenda nera” anticattolica (anzi, a dire il vero, la leggenda nera per eccellenza, la leyenda negra antispagnola, nasce e si sviluppa proprio in quanto anticattolica, creata e diffusa da ambienti protestanti inglesi). Ma la “leggenda nera” francese, per certi versi, non è da meno. Prendiamo la famosa notte di S. Bartolomeo (tra il 23 ed il 24 agosto 1572), presentata come una sanguinosa trappola tesa ai protestanti: nessuno ricorda che, fino ad allora, con «strage di S. Bartolomeo» si ricordava un altra tragico evento, compiuto tre anni prima nella stessa notte agostana.
    Allora furono massacrati i prigionieri cattolici, inermi ed indifesi, che si erano arresi con la promessa di aver salva la vita dopo la battaglia Orthez (18 agosto 1569): trasferiti a Pau, sei giorni dopo vennero tutti massacrati dagli ugonotti «per festeggiare il successo»
    (p. 172). Elena Bianchini Braglia, già autrice di numerosi saggi “controstorici” che si fanno leggere con la passione di un romanzo, parte dalla ferrarese Anna d’Este (1531-1607) per raccontare l’altra faccia della medaglia delle guerre di religione francesi: ugonotti violenti e blasfemi, nei cui confronti la corte e soprattutto Caterina de’ Medici, solo formalmente cattolica, ma la cui politica fu sempre rivolta alla pacificazione, al compromesso.
    E la stessa strage di S. Bartolomeo doveva, nelle intenzioni del Re, consistere nella sola eliminazione dei capi ugonotti: fu il popolo parigino, stanco delle continue vessazioni dei protestanti, che interpretò le parole del re «Uccideteli tutti» come un invito a vendicarsi di anni ed anni di continue vessazioni. Una storia quasi mai raccontata, che ora viene finalmente resa nota.


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    http://www.vittoriomessori.it/blog/2...timone-vivaio/


    di Vittorio Messori

    SULLA STRAGE DI S. BARTOLOMEO

    È un po’ noioso: ma non è colpa nostra se bisogna sempre ricominciare. Da oltre due secoli, ai cattolici e alla loro Chiesa vengono rinfacciati i misfatti che avrebbero commesso. Ed ogni generazione di credenti deve far fronte a queste accuse, vagliarle, discernere il vero dal falso e stabilire – in verità e coscienza – se davvero occorre pentirsi. O se, invece, la ricostruzione oggettiva dei fatti porti a respingere simili, aggressive richieste di perdono o, almeno, a diminuire la responsabilità gettata sulle spalle dei cattolici del passato.

    Nella rubrica su Avvenire passai in rassegna alcuni di questi “luoghi comuni” per eccellenza (sono, infatti, sempre gli stessi: Galileo, le Crociate, l’Inquisizione, i Borgia, Pio IX e via salmodiando), consapevole che ogni nuova generazione deve informarsi e, dunque, dovevo vincere il fastidio di ripetere cose mille volte già dette, da innumerevoli autori. Se le solite accuse sono reiterate, così devono essere reiterate anche le repliche, a beneficio
    di coloro per i quali quelle invettive suonano come una novità. Come dicono i napoletani, «nessuno nasce imparato». Neanche i cattolici…

    Prima o poi, dunque, bisognava parlare (non l’ho ancora fatto né negli articoli né nei libri) della notte più tristemente celebre, quella tra il 23 e il 24 agosto 1572 quando la liturgia celebrava – e ancora celebra – la ricorrenza di san Bartolomeo e che vide scorrere un mare di sangue. Per i francesi è la Saint-Barthélemy ed è da sempre uno dei cavalli di battaglia della propaganda anticattolica. Come mi confermava un collega parigino, ancora oggi non c’è dibattito dalle sue parti dove alla fine qualcuno non dica, con aria di sfida: «Oui, d’accord, mais qu’en faites vous de la Saint-Barthélemy?», come la mettiamo con la strage di San Bartolomeo? Quella strage – orrenda, precisiamolo subito – è un’arma di battaglia sia per gli increduli che per i protestanti, visto che essi ne furono le vittime. A questo proposito, non ho dimenticato quanto mi disse – nell’unico incontro che, purtroppo, abbiamo avuto – Jean Dumont, lo studioso francese morto di recente che dedicò la sua vita a cercare di costruire, con oggettività e rigore, una “controstoria” cattolica che contrastasse il cumulo di diffamazioni, magari anche in buona fede, per mancanza di informazione corretta. Mi disse, dunque, Dumont (parlavamo giusto di un suo studio sulle guerre di religione in Francia, dopo la Riforma protestante): «Lavoro per stabilire la realtà dei fatti – realtà che spesso è ben più favorevole alla Chiesa di Roma di quanto non credano i suoi stessi fedeli –, perché sono convinto che è un modo per far progredire l’ecumenismo. Questo sarà più agevole, se permetteremo ai protestanti di rispettare di più i cattolici e il loro passato. Se mostreremo che non siamo quei “mostri” che spesso credono, il dialogo ne sarà grandemente avvantaggiato. Al contrario di quanto molti pensano oggi, accettare acriticamente le accuse, senza verifica e senza chiarire le circostanze che spieghino e magari giustifichino, danneggia il clima ecumenico».

    Parole d’oro: prego prenderne nota (non a caso le ho messe in corsivo), perché mostrano come l’impegno dell’ “apologeta” sia nella linea del dialogo realistico e, dunque, autentico; mentre quella resa senza alcuna difesa che tanti cattolici praticano lascia l’interlocutore nei suoi pregiudizi e, così, lo rende più chiuso o, almeno, diffidente.

    È in questo spirito, dunque, che affronteremo quella strage famosa, entrata a far parte fissa del rosario dei “misteri vergognosi” addebitati alla Chiesa. Innanzitutto, ricordiamo i fatti. Il 18 agosto del 1572 si celebrano a Parigi le nozze di Margherita, figlia di Caterina de’ Medici (la fiorentina vedova del re Enrico II e madre del regnante, Carlo IX) con Enrico di Borbone, re di Navarra. Questi è calvinista ed è destinato a succedere al trono di Francia: non a caso il papa, Gregorio XIII, si è opposto a quelle nozze ed è grande il malcontento nella Capitale, soprattutto tra i popolani. Pochi sanno che, al contrario di quanto si crede (vittime come siamo dello specchio deformante della Rivoluzione Francese) il popolo di Parigi è stato tra i più fedeli all’ortodossia cattolica, mostrandosi impermeabile alle eresie che invece hanno trovato molti proseliti nel Midi e all’Est, verso l’Alsazia e la Lorena.

    Gli ugonotti non riuscirono neppure ad avere un luogo di culto nella grande città, che era una specie di isola cattolica in mezzo a un Regno che stava suddividendosi tra le due confessioni. Il fermento nei quartieri poveri è aumentato dal fatto che, per assistere alle nozze, giungono nella Capitale in pompa magna i membri dell’aristocrazia calvinista, accompagnati da minacciosi “bravi” e manifestamente sprezzanti verso quelle che considerano le “superstizioni papiste”. Tra l’altro, i cattivi raccolti hanno provocato un forte rialzo del prezzo del pane, creando un malcontento che è esasperato dalla calura, con una siccità che dura da mesi e che ha lasciato Parigi quasi all’asciutto. Caterina, amante degli intrighi politici e del potere, è molto inquieta perché il figlio, il re, è sfuggito al suo controllo politico e sembra sempre più influenzato dal capo del partito ugonotto, Gaspard, conosciuto come ammiraglio di Coligny. Questi sta quasi per convincere Carlo IX a dichiarare
    guerra alla Spagna, impegnata contro i protestanti nella guerra dei Paesi Bassi. Sia subito chiaro: la figlia di Lorenzo de’ Medici non ha alcuna preoccupazione religiosa, della teologia è disinteressata a tal punto che, nei suoi lunghi e continui maneggi, ha oscillato periodicamente tra cattolici e riformati, tra fedeltà all’Impero e all’Inghilterra anglicana. Se detesta il Coligny è perché il suo orgoglio è ferito: nessuno, tranne lei, deve avere influenza
    sul figlio. Capo del “partito ugonotto” è quell’ammiraglio, capo del “partito cattolico” (ma anche qui la differenza è politica ben più che religiosa) è il duca di Guisa. Tutta questa potente famiglia nobiliare è da sempre nemica di Coligny, tanto da avere progettato di ucciderlo. Un proposito del quale Caterina pensa di approfittare. In effetti, quattro giorni dopo le nozze, un sicario, l’avventuriero Maraudel, spara un colpo di archibugio contro l’ammiraglio e fugge, non accorgendosi che la vittima è soltanto ferita e in modo non grave.
    Il clamore è enorme. Gli aristocratici protestanti, ancora in città, vanno in giro minacciosi con i loro armati e arrivano al punto di dichiarare pubblicamente che se il re non farà giustizia per quell’attentato, ci penseranno loro. Si vendicheranno cominciando da Caterina e dai duchi di Guisa, per passare poi al clero: minaccia da non sottovalutare visto che gli ugonotti hanno già fatto strage in Francia, negli anni passati, di centinaia di ecclesiastici.
    Qualcuno, tra quei nobili passati al calvinismo (e, spesso, segnati dall’estremismo dei convertiti e dei settari) fa girare la voce che è il momento di liberarsi dello stesso Carlo IX e di mettere sul trono un altro re, magari il giovane sposo protestante, Enrico re di Navarra.
    Caterina – che aveva progettato di uccidere soltanto il Coligny – si vede in grave pericolo, anche perché il figlio ha ordinato un’inchiesta severa e imparziale ed è certa che sarà scoperta come mandante. E sa che i suoi nemici chiederanno per lei il patibolo. Così, con l’appoggio di alcuni membri della Corte e, soprattutto, della famiglia Guisa, improvvisa un piano disperato per salvarsi: convincere il figlio che il trono è in pericolo, che gli ugonotti
    complottano, che la difesa della Francia esige che si preceda l’insurrezione, eliminando i capi. Una sorta di hitleriana “notte dei lunghi coltelli” in anticipo di quasi quattro secoli. In un drammatico colloquio Carlo IX, che non ne vuol sapere, è alla fine convinto che il pericolo è gravissimo e imminente e che bisogna agire subito. Molti storici pensano che Caterina non esagerasse, che davvero la rivolta stesse per cominciare. In ogni caso, il re dà l’ordine di chiudere le porte della città e di sopprimere gli esponenti ugonotti più in vista, a cominciare dal Coligny, a letto per la ferita. La disposizione di uccidere è limitata a una lista stilata in fretta, ma la situazione sfugge subito al controllo. Il popolo ne approfitta per sfogare il suo rancore contro l’alterigia ugonotta, procedendo a una strage dove sono uccisi anche alcuni cattolici. In effetti, ai plebei eccitati si sono subito uniti i soliti delinquenti, sadici, profittatori che non mancano mai in questi casi e molto spesso le vittime cadono per vendette private. Non ci sono cifre precise dei morti ma la stima che raccoglie i maggiori consensi parla di duemila vittime. Il re ha spedito messaggeri nelle province perché imprigionino i capi dei calvinisti ma li proteggano dagli assassini. Ma, malgrado gli ordini – anche perché questi spesso giungono quando è ormai tardi – il popolo approfitta delle voci che arrivano da Parigi per procedere alla vendetta per le stragi, i saccheggi, le distruzioni di chiese operate dagli eretici.

    Qualcuno ha osservato che se la ferocia, più che nella Capitale, fu maggiore in provincia è perché qui la gente aveva esperienza quotidiana di chi fossero gli ugonotti, che a Parigi non esistevano. Così, ai morti della Capitale si aggiungono gli altri, ancor più numerosi, delle province. C’è chi parla di ventimila morti, ma ora, dopo lunghi studi, molti si dicono certi che, in tutta la Francia, non si andò oltre i 5.000. Anche così, una vera, terribile strage. Mentre il massacro è ancora in corso, Carlo IX e la madre inviano un messo urgente a Roma, dal Papa. Secondo le istruzioni ricevute dal re l’uomo, un aristocratico autorevole, annuncia (solo verbalmente) quella che presenta come una splendida notizia, un segno della Provvidenza divina. L’ammiraglio di Coligny e gli altri Capi protestanti, dice, avevano organizzato un terribile colpo di stato: il re, la famiglia reale, i ministri, il cardinale e i vescovi stessi dovevano essere uccisi per fare della Francia un Paese protestante e muovere guerra alla Spagna e poi al pontefice stesso. Ma Sua Maestà era venuto a conoscenza del complotto e, proprio la notte stessa in cui doveva avere luogo, li aveva preceduti, facendo cadere su di loro quanto progettavano ai suoi danni. Lo stesso nunzio a Parigi invia un dispaccio in cui si dice che il ferimento dell’ammiraglio aveva a tal punto esasperato i capi degli ugonotti che si attendeva di ora in ora una loro reazione violenta. «Presentata così la cosa» ha osservato uno storico «le dimostrazioni di compiacimento di Gregorio XIII appaiono cosa normale e dovuta come le felicitazioni pubbliche che si scambiano i capi di stato di oggi quando qualcuno di loro sfugge a un attentato o a un atto di terrorismo». In effetti, il Papa prese quelle iniziative che vengono ancora oggi ricordate come scandalose: il canto del Te Deum, un’allocuzione al Concistoro per rallegrarsi dello scampato pericolo del Re cattolico e – cosa giudicata ancor più intollerabile – il conio di una moneta commemorativa. Dunque, non per forzatura “apologetica” ma per la forza dei fatti (ormai accertati al di là di ogni dubbio), risulta chiaro che la strage è cosa tutta politica, presa all’interno della Corte, senza alcun coinvolgimento della Chiesa che, anzi, fu colta di sorpresa. Nessun ecclesiastico ebbe un qualche ruolo nella vicenda. Nessun prete partecipò alla riunione notturna in cui tutto fu deciso. Una decisione che fu imprevista e non premeditata, dovuta al fallimento dell’attentato a Coligny. Se questi fosse morto, ci si sarebbe fermati lì. Se l’azione degenerò in una strage che andava ben al di là del progetto, lo si deve all’eccitazione del popolo, sfuggito a ogni controllo. Casi simili, durante le guerre di religione, si verificarono sia da parte cattolica che protestante. Si tenga presente che la Saint-Barthélemy aveva avuto molti, terribili precedenti per mano ugonotta: come les Michelades (dette così perché avvenute durante le feste per san Michele) di pochi anni prima, nel 1567 e 1569, a Nimes, quando i protestanti chiusero di sorpresa le porte della città, massacrarono tra l’una volta e l’altra 500 cattolici, devastarono tutte le chiese, bruciarono in un grande rogo quadri, archivi, arredi liturgici. E tutto questo (come molte altre stragi di cui furono responsabili) a freddo, per odio verso il “papismo”, non nell’eccitazione frenetica della Saint-Barthélemy.

    Per finire, ecco un commento di Ludwig von Pastor, il grande storico del papato, come sempre informato e, dunque, pacato a proposito sia dell’esplosione di violenza popolare che della reazione papale: «Si deve tenere presente quale pericolo minacciasse tutti i cattolici, dal semplice fedele sino al papa, da parte degli ugonotti. Dopo i turchi, la Chiesa non aveva nemici più sinistri e sanguinari dei calvinisti. Ciascuno in Roma conosceva le crudeltà che da anni essi avevano compiuto in Francia e nei Paesi Bassi, e non appena avevano in mano il potere spogliavano sistematicamente i cattolici, saccheggiavano e incendiavano le magnifiche cattedrali, profanavano le tombe degli ecclesiastici, pestavano sotto i piedi le ostie consacrate o le gettavano per nutrimento ai cavalli, violavano le monache e uccidevano preti e religiosi. Quegli strazi, che solo una crudeltà bestiale poteva
    immaginare, venivano compiuti con i cattolici solo perché volevano restare fedeli alla loro fede: sepolti vivi, cotti nell’olio bollente, lingue strappate, sventrati e ancora cose più orrende. Erano giunte in Roma notizie di cacce che venivano compiute, per esempio nel Béarne, contro sacerdoti, quasi fossero fiere, come pure del precipizio presso Saint Séver in cui i calvinisti avevano gettato 200 preti. Una fine di questa furia non poteva prevedersi.
    Proprio nell’agosto della strage giunse in Roma la notizia del lento supplizio dei martiri di Gorkum. Se avessero trionfato Coligny e i suoi compagni, sarebbe finita con la fede cattolica in Francia e nei Paesi Bassi e migliaia di preti sarebbero stati minacciati di morte sicura
    . Ma una Francia protestante, di questo si era persuasi, avrebbe attaccato anche l’Italia, in particolare lo Stato Pontifico. Lutero nel suo scritto Contro il papato fondato in Roma dal diavolo aveva esortato ad attaccare con le armi il papa e “l’intero cancro della Sodoma Roma” e di “lavarsi le mani nel loro sangue”. Il teologo di Jena, Metto Judex, aveva raccomandato una spedizione contro Roma per l’estirpazione del papato. Nessun dubbio che anche i calvinisti di Francia fossero pronti a prendere parte a una tale impresa. «Noi tutti» proclamava Orange nel 1569 «combattiamo contro il demonio, ossia contro l’Anticristo romano». Dunque, ne conclude von Pastor, «se si tiene conto di queste circostanze e dell’opinione dominante in quei tempi sulla necessità e la legalità della distruzione degli eretici, appariranno spiegabili le soddisfazioni del Papa e della curia, che oggi tanto ci colpiscono, per l’improvviso cambiamento avvenuto in Francia a favore della Chiesa».

    Certo, terribili furono le guerre di religione in Europa e finirono, tra l’altro, per aprire la strada al sincretismo, al deismo, all’agnosticismo se non all’ateismo degli illuministi, stanchi di stragi che si richiamavano alla fede. Ma terribili furono entrambi i contendenti, non certo uno solo. E su tutto, poi, aleggia una domanda che pochi sembrano ormai porsi e che, invece, è essenziale: chi aveva cominciato? chi aveva iniziato a istigare all’odio?

    © Il Timone


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    https://www.radiospada.org/2018/12/u...gismo-eretico/

    Giuliano Zoroddu

    I manuali scolastici, anche al netto di una storiografia sempre più equilibrata, presentano quasi sempre i cattolici come dei fanatici persecutori di eretici e dissidenti vari, rappresentando questi ultimi come mitissimi agnelli barbaramente scannati sull’altare del potere ecclesiastico. Protestando anzitutto la assoluta falsità di questa visione, proponiamo al lettore la storia di 40 gesuiti per lo più ventenni,che, inviati in Brasile da san Pio V, furono massacrati a largo delle Canarie il 15 luglio 1570 dagli Ugonotti (i Calvinisti di Francia), capitanati da Jacques Sória, corsaro francese a servizio della calvinista Giovanna III regina di Navarra. Una storia fra le tante che non si insegnano nelle scuole: la storia della Chiesa perseguitata a morte dagli eretici,non miti agnelli, ma barbari assassini.


    La strage [della Notte di san Bartolomeo,ndr] fu esagerata[1], ma ricordiamo le innumerabili commesse dagli ugonotti e le loro inaudite scelleratezze crudelissime e saccheggi; e solo qui dirò ch’essi nelle diverse guerre distrussero 200.000 chiese, uccisero 256 sacerdoti e 112 religiose, arsero 900 tra città e villaggi, diedero alle fiamme le reliquie de’santi o ne gettarono nei fiumi le ossa, abbatterono i sepolcri dei Papi avignonesi, come di Clemente V e Clemente VI, dei cardinali, dei sovrani e altri, e ne sparsero le ceneri al vento per ludibrio; di che sono piene le storie sanguinolenti e crudelissime, ed in tanti articoli anch’io riprovai.
    La veneranda Compagnia di Gesù conta quaranta martiri della ferocia degli ugonotti, tutti uccisi nello stesso giorno per odio della fede nel 1570. Destinati a portare la luce dell’evangelo tra gl’infedeli e nel Brasile, salparono da Lisbona sopra 3 navi.Erano 39 gesuiti, e tutti sotto la guida del p. Ignazio di Azevedo gesuita portoghese[2].Trovandosi tutti nella sua nave denominata s. Giacomo, mentre navigava verso l’isola di Palma, comparvero 5 navi d’eretici ugonotti, e subito l’assalirono e fermarono agevolmente. Scoperti da’padroni delle navi per missionari cattolici romani, cominciarono ad essere maltrattati, ed il p. Ignazio fra’ primi ad essere costretto a detestare la religione che professava, e per la propagazione della quale aveva lasciato la patria e moveva in lontane regioni. E perché si stette fermo nella medesima, fu sottoposto a crudeli tormenti, finché orribilmente trafitto venne gettato in mare. E dopo lui ebbero egual sorte 38 altri, dopo essere stati uccisi in varie guise crudelissime, tra cui alcuni giovani novizi, e il loro maestro p. Benedetto di Castro. Uno ne rimaneva, e siccome esso accettò d’essere schiavo anziché imitare il glorioso esempio de’compagni, a compiere il numero de’quaranta martiri, come a Sebaste[3], si presentò il nipote del capitano della nave s. Giacomo, giovinetto che ardeva del desiderio di essere novizio della compagnia di Gesù. Egli fu visto afferrare una veste de’trafitti, ed acconciatovisi dentro, mostrarsi in essa;ma non andò spazio di tempo tra il vederlo e l’ucciderlo, col gettarlo in mare,e con ciò dare in se la maggior prova che potesse desiderarsi della sua costanza nella fede. Questi martiri furono subito onorati come tali, non solo in Europa, ma nell’Indie ancora, ed in Roma specialmente per molti anni, finché pubblicati i decreti d’Urbano VIII, si credette erroneamente che anco il loro culto fosse compreso nella proibizione data da quel Papa di venerare i non beatificati solenne mente. Interrotto perciò il culto in Roma e altrove, si diè poi da Benedetto XIV il solenne giudizio, constare del martirio e della causa del martirio de’ Quaranta Martiri, e potersi procedere avanti. Ma essendosi ultimamente osservata che questa causa non era compresa ne’ casi eccettuati da Urbano VIII, chiese la società di Gesù che fosse restituito a’suoi Quaranta Martiri quel culto che già si era loro dato per l’innanzi, e l’ottenne per decreto della s. congregazione de’Riti degli 8 aprile 1854, confermato l’11 maggio dal Papa Pio IX, per cui furono reintegrati all’onore del culto pubblico.

    (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, vol. LXXXIII, pp. 22-23)

    [1] Eccidio di Ugonotti, iniziato a Parigi nella notte fra il 23 e il 24 agosto 1572, ordinato da Carlo IX su consiglio della madre Caterina de Medici, originato dal tentato assassinio dell’ammiraglio Gaspard de Coligny, continuato per sette giorni in tutto il Regno. “Gravissimi furono i motivi che a propria difesa indussero il governo del re, in quei lagrimevoli tempi, a ricorrere a questa estrema misura, senza la quale forse il calvinismo, e la repubblica, o piuttosto le repubbliche federative in cui agognavano i capi ugonotti frastagliare la Francia, avrebbero trionfato della Chiesa cattolica e dell’ unità della monarchia. E fu per sì gravi motivi che in s. Luigi de’francesi di Roma si cantò il Te Deum, e si fecero altre pubbliche dimostrazioni,non perché si avesse avuto parte, o si gioisse della strage (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro sino ai nostri giorni, XXVII, 17) ”.
    [2] P. Inácio de Azevedo; P. Diogo de Andrade; Gonçalo Henriques; Afonso de Baena; Aleixo Delgado; Álvaro Mendes; Amaro Vaz; André Gonçalves; António Correia; António Fernandes Soares; Bento de Castro; Brás Ribeiro; Diogo Pires; Domingos Fernandes; Estêvão de Zuraire; FernãoSanchez; Francisco Pérez Godoy; Francisco Álvares; Francisco de Magalhães; Gaspar Álvares; Gregório Escrivano; João Adaucto; João de Mayorga; João de San Martín; João de Zafra; João Fernandes; João Fernandes; Luís Correia; Luís Rodrigues; Manuel Álvares; Manuel Fernandes; Manuel Pacheco; Manuel Rodrigues; Marcos Caldeira; Nicolau Dinis; Pero de Fontoura; Pero Nunes; Simão da Costa; Simão Lopes.
    [3] Riferimento al martirio dei Quaranta soldati uccisi a Sebaste (Armenia) in odio alla fede cristiana sotto Licinio nel 320.
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    Predefinito Re: LEGGENDE NERE - La Notte di San Bartolomeo

    Tutte le Leggende nere sulla Chiesa:

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