Nella Bibbia si afferma l’universalità del peccato ma questa spesso è scambiata per una descrizione della vita di chiunque… Eppure l’esempio di Cristo dovrebbe essere sufficiente per mostrare che la vita umana è stata e può essere senza peccato.
L’affermazione “tutti hanno peccato”, che fu di Paolo di Tarso, o era relativa soltanto a una parte dell’umanità o era solamente un modo soggettivo per definire i limiti umani e in quanto tale potrebbe essere accettata da chiunque ma non da tutti come proprio linguaggio. Se si intende il peccato nel solo senso di occasione mancata, si può ricondurre al peccato questa realtà negativa, anche se non effettivamente esistente per tutti ma comunque per tutti realtà con cui confrontarsi.
Nella Bibbia si racconta anche di una umanità esente dalla trasgressione del peccato, preadamitica, e non è raccontata la sua fine ma il suo riemergere nella storia.
Non c’è dubbio che anche il mondo greco fu coinvolto nella affermazione del peccato eppure lo stesso Paolo che lo aveva affermato non considerava il peccato imputabile senza legge e la legge era stata data per il mondo giudaico.
In che senso a un greco non è imputabile il peccato? Nel mondo greco finanche il delitto è dovuto a incomprensioni non a trasgressione di comandi; per la grecità non serve il comando morale ma la conoscenza in quanto in essa la vita non ha consumato il distacco dalla natura né ha senso per essa definire una occasione mancata un peccato perché l’unica morale utile ad essa è l’etica naturale e basta questa per il greco a tutelare la vita e le sue ragioni.
Quindi non per tutti gli uomini ha senso che la salvezza sia anche redenzione.
Nella Bibbia si considera l’umanità divisa in due grandi famiglie: una contraddistinta dalla presenza giudaica, l’altra dalla presenza greca. Per grecità non si intende solo la storia dell’Ellade (anche l’Italia ha una propria grecità) e si intende anche il cosmopolitismo, da non confondersi con l’essere cittadini del mondo (nozione quest’ultima infatti solo civile non anche naturale). Ai fini del discorso contenuto in questo messaggio, vale dunque pure l’affinità. Per tutti quelli in affinità ai greci, il peccato resta una nozione provvisoria.
La doppia appartenenza, greco-giudaica, è provvisoria ed è segnata dal destino greco: difatti la civiltà giudaica, assumendo in sé quella greca, perde il suo carattere distintivo. Entro questa provvisoria duplice appartenenza ha avuto senso e ha senso l’accettazione , talvolta anche da parte dei greci non giudaici, del linguaggio del peccato, che non conduce allo smarrimento della caratterizzazione greca ma, al contrario, alla perdita, più o meno consistente, di quella giudaica.
MAURO PASTORE