La prima delle leggi razziali voleva «la difesa della razza nella scuola fascista», e per questo escludeva dalle scuole, praticamente con effetto immediato, gli alunni e gli insegnanti definiti «di razza ebraica»; definendo all’articolo 6 di razza ebraica «colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica».
Questa definizione è evidentemente ricorsiva, rimandando la definizione "di razza ebraica" a quella di "genitori entrambi di razza ebraica".
Mi sono a volte chiesto se nessuno abbia mai contestato l'applicazione a sé stesso di limitazioni di diritti civili negando la propria inclusione nella "razza ebraica", negando che ci fossero inclusi entrambi i suoi genitori, quindi i quattro suoi antenati di seconda generazione, quindi gli otto di terza, quindi...
Questa obiezione sarebbe stata certamente difficile da superare in un processo civile, in quanto nessuna legge avrebbe potuto contenere una definizione oggettiva e inoppugnabile di "razza ebraica", a meno di collegarla alla pratica religiosa, che comunque è impossibile da controllare per persone già defunte.
La domanda che rilancio è quindi: come hanno potuto essere applicate leggi che non avevano nessun fondamento giuridico?